Il futuro è dei giovani, portatori di speranza

Un uno scenario in cui gli equilibri mondiali dipendono dal solipsismo della deterrenza nucleare, le chance a disposizione sono i nostri giovani, portatori di speranza. Questo, in estrema sintesi, il lascito intellettuale donato alla città dall’ex presidente della Repubblica slovena Borut Pahor in occasione dell’incontro “20 anni di Europa vicina”. Ad aprire il pomeriggio domenica scorso a Gorizia, in un gremito Teatro Verdi, il coro dei licei Slataper e scuola di musica Emil Komel. L’incontro inaugura la settimana di celebrazioni dei Santi Patroni, e ha visto alcuni ragazzi di Gorizia e Nova Gorica dialogare con Pahor in una stimolante quanto familiare tavola rotonda.
“Una splendida iniziativa”, ha detto il sindaco, Rodolfo Ziberna. “Ringrazio le pluralità di soggetti coinvolti, dalla Curia al Decanato, al Consorzio universitario e alla Fondazione Carigo, che hanno permesso di conferire uno dei premi più prestigiosi della nostra città quale è il premio Sant’Ilario e Taziano. In questo contesto s’inserisce Pahor: non dimentichiamo il ruolo che ha svolto insieme al nostro presidente Mattarella. Ormai è passata alla storia quell’immagine dei due capi di Stato che, mano nella mano, hanno pregato davanti a un luogo simbolo delle tragedie del Novecento”.
“Offrire ai ragazzi l’opportunità di porre domande a una persona come Pahor, di raffinata cultura e grande equilibrio, è un’esperienza importante”. Dal “Torna a casa” dei Måneskin agli inni nazionali e all’”Inno alla gioia” di Beethoven, si passa al docu-film nel quale alcuni ragazzi esprimono all’unisono quell’idea di confine senza più separazione, dove sentirsi parte di un’unica grande città. Quella simboleggiata anche dal tondo dell’architetto Romano Schnabl presente in sala, grazie al quale è possibile stare con una gamba in Slovenia e un’altra in Italia.
“Sono vent’anni che a Gorizia non c’è più il confine”, ha ricordato l’assessore ai quartieri Maurizio Negro. “Un confine che nei secoli non c’è mai stato, fino al 1947. Abbiamo dovuto soffrire dal 1947 al 2004, perché non divideva solo due territori, ma parenti e affetti”. Un teatro pieno, a dimostranza di quanto sia “un’iniziativa azzeccata”, come rimarca la sindaca di San Floriano, Franca Padovan. “I giovani hanno bisogno di avvicinarsi alla politica, e la figura iconica dell’ex presidente Pahor si rivela la persona più appropriata in questo momento”. Dello stesso avviso la dem Laura Fasiolo, che definisce Pahor “una figura di tutto spessore. Anche se ormai è fuori dai vertici della massima carica politica, per noi rappresenta un pezzo di storia”.
La narrazione prende inizio in una serata piovosa, la stessa pioggia che bagna l’esterno del teatro mentre Pahor racconta, rispondendo alla domanda di un bambino nato nel 2013. “In più di trent’anni di carriera, quella sera di maggio ho letto il mio più bel discorso, dedicato ai bambini come te che a quell’ora stavano dormendo. Il mio auspicio era che il giorno seguente si sarebbero svegliati in un futuro migliore”. L’apice del cambiamento democratico inizia così a delinearsi attraverso tre pilastri, rappresentati da “democrazia, repubblica di Slovenia e repubblica indipendente” all’interno della stessa Europa.
Quel continente che si definirà attraverso i dettami di “pace, verità e conciliazione”, a unire popoli e culture. Consapevoli dei limiti, i politici del parlamento decisero per una nuova costituzione europea, mai approvata. “Sembrava che questa pace potesse perdurare”, finché con la recente invasione russa origina “un mondo meno stabile. Attualmente si conoscono più di 55 conflitti bellici – ha riflettuto Pahor – il mondo è diventato multipolare e necessita di concetti nuovi”. Minata la sicurezza europea, il futuro si prospetta incerto e sotto molti aspetti tragico. “Tutti vorremmo poter vedere un futuro, ma l’Europa si ritrova a un bivio, strade che conducono in direzioni diverse”.
Di qui la necessità di unire le differenze in un sentiero comune. “Le diversità devono essere il collante, come per Gorizia e Nova Gorica. Solo così sarà possibile sopravvivere nel futuro. Preservare le differenze senza perdere la propria unione”. Come quella del 13 luglio del 2020 a Basovizza, commovente dimostrazione di quanto le differenze possano condurre alla coesistenza, a un “futuro in cui ci si rispetti, in contrapposizione all’odio e alle guerre”. Se dopo la Seconda guerra mondiale l’Europa “esportava la pace e la democrazia nel mondo”, l’aggressione russa ne ha trasformato i connotati.
“Gran parte dei politici dello scenario attuale, indipendentemente dall’appartenenza, sono dell’idea che difendere l’Ucraina significhi difendere la democrazia”. E nel rispondere a una provocazione nel pubblico, Pahor ha ricordato come “siamo quasi mezzo miliardo di persone in Europa, ciascuno con il suo punto di vista”. La forza sta nel “creare una patria comune, una casa comune”, sognando di andare “oltre le proprie differenze”, nel reciproco rispetto dell’unicità di ciascuno. “Ci saranno sempre persone che grideranno la propria disapprovazione, bisogna rispettarle e tenerne conto”.
Il dialogo si sposta ai tempi del confine fra le due città. “Quand’ero ragazzo correvo fra le due “Gorizie”, in occasione della Giornata del confine aperto, ed era diverso. Oggi l’opportunità che le due città hanno non è sfruttata appieno. Il passato non si può cambiare. Possiamo fare qualcosa per cambiare il futuro. Finora è stato fatto tantissimo, per sancire l’unione e la coesistenza. Il mio sogno qual è? Che Slovenia e Italia, insieme, vadano oltre questo confine che non c’è più, siano in grado di creare una città unica. Sono convinto che la vostra generazione, che non porta il fardello del passato sulle proprie spalle, sarà in grado di unire due città in una sola. Se l’Europa fosse in grado di finanziare quest’unione, potrebbe mandare un segnale a se stessa e raggiungere lo spirito europeo”.
Un anelito di coesione che potrebbe indicare una giusta direzione agli stessi Balcani “in cerca d’identità”. E sulla questione linguistica, Pahor ricorda la commozione di quel giorno di maggio a Strasburgo, quando poté comunicare in lingua slovena dopo aver innalzato la bandiera del proprio Paese. Anche se in realtà l’emozione più forte resta la preghiera comune con il presidente italiano, “il momento più bello, perché non era solo la coesistenza di due popoli, ma l’amicizia e la volontà di costruire qualcosa insieme”.
Al canto di “Don’t look back in anger” degli Oasis – riproposto dal coro liceale – fa seguito il profondo inno alla pace “Imagine” di John Lennon, coronato dalle conclusive parole di monsignor Redaelli: citando Papa Francesco ha ribadito come “i giovani non sono il futuro, sono l’oggi. Hanno voglia di costruire qualcosa di bello, e questa serata lo ha dimostrato”.

Ivan Bianchi