Ordinati nel servizio, ordinati per servire

Che cosa significa in questo tempo essere ordinati ministri della Chiesa Cattolica che camminano insieme nel mondo attraverso la Fede? Molti non specialisti si porrebbero una domanda ancora più generale: cosa significa assumere questo ruolo? Ma si tratta davvero semplicemente di un titolo o un ruolo?
Partiamo dall’idea possibile di un uomo che segue l’esperienza del “popolo di Dio” a tal punto che con esso vive e sperimenta ogni passaggio dell’esistenza fino ad arrivare a toccare quella salvezza offerta ed espressa dall’Alleanza e dalla risurrezione di Cristo. Certo questione di Credere in Dio e nei propri fratelli.
Nel grande concilio Vaticano II proprio la nozione di “popolo di Dio” permette di comprendere che tutti i battezzati condividono una dignità e una responsabilità comuni nella vita della Chiesa. Questa Chiesa paradossalmente oggi tanto contestata dunque non è altro che la grande interezza di quelle persone che come “corpo di Cristo” possono dimorare in un’azione trasformante, svolgere un ascolto reciproco e una condivisione di quella responsabilità fondamentale per la crescita spirituale e la missione evangelizzatore proprio della comunità cristiana.
Ecco allora che un ministro ordinato può offrire come grande dono di Grazia nella sua vocazione questo atto prioritario.
Se volessimo riflettere maggiormente sulla dimensione del sacerdozio certo dovremo ripercorrere necessariamente l’intera esperienza di Gesù presente nel Nuovo Testamento.
Il grande culmine espressivo si sviluppa nella Lettera agli Ebrei, dove l’autore esprime questo concetto (Eb 2, 14-18) indicando un Cristo che è divenuto partecipe nel sangue nella carne e che ha liberato coloro che erano schiavi e soggetti al timore della morte… in tutto simile ai fratelli per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede delle cose che riguardano Dio e venendo incontro a tutti coloro che subiscono la prova.
Questa citazione parafrasata esprime già qui nella sua concezione una grande dimensione di comprensione e accoglienza, oltre alla più grande dinamica di partecipazione offerta a tutti coloro che testimonieranno nella vita la fede nel Cristo risorto. Ma può bastare questa riflessione per cogliere concretamente che cosa significa vivere una vocazione ministeriale e di servizio in un tempo complesso come quello presente? La capacità di guardare alla Storia con il dono dello Spirito Santo ci permette di comprendere che i “passaggi stretti” appartengono alle caratteristiche antropologiche dell’umano. Da sempre.
In uno scritto del teologo H.U. Von Balthasar “il prete che cerco” egli esprime delle considerazioni che non fanno altro che riecheggiare le stesse riflessioni dell’autore della Lettera agli Ebrei e amplificano alcune grandi domande ancora oggi presenti in un cammino di Fede: come si può avere accesso a Dio? Come si può entrare in relazione con un Dio che si considera trascendente? E ancora come può una persona avere certezza che è in rapporto con Dio? La relazione con Dio è possibile, reale oppure sottoposta a una grande illusione?
E’ quella Storia, nella sua dimensione di continuità, che ci permette di comprendere il perché delle cose; Santa Teresa di Calcutta diceva che non c’è onore più grande di quello di essere chiamati a servire Dio nel ministero ordinato e Sant’Agostino, sempre riflettendo sul carattere spirituale di questo servizio, ricordava di “essere sempre ciò che si riceve per ricevere ciò che si è”. Camminare dunque insieme al “popolo di Dio” (ecco il cuore del percorso Sinodale) evidenzia quel principio originario che riflette l’umanità di Cristo nella volontà del Padre e in cui ogni uomo chiamato al cammino di Fede può edificare per il fondamento del suo percorso: la preghiera e il servire Dio nella comunità dei fratelli con generosa dedizione.
Nella mirabile capacità di essere curiosi esploratori della vita, osservando le grandi opere artistiche e letterarie, si può cogliere la figura del ministro ordinato con quelle capacità appunto di preghiera e sacrificio ( tra tanti le opere del Caravaggio e anche espressioni presenti ne ” il giovane pretore” e nel “Diario di un curato di campagna” di Georges Bernanos) che sanno dimostrare, nella ricerca continua della volontà di Dio, l’impegno concreto nella cura delle anime, per essere luce del mondo e sale della terra, portando speranza e conforto a coloro che sono nel bisogno e nel dubbio. E se nell’Antico Testamento i sacerdoti erano coloro che rappresentavano il popolo di fronte a Dio e ricevevano il compito di intercedere per il perdono dei peccati, questo ruolo di mediatori è stato superato con l’avvento di Cristo sommo sacerdote, che offre se stesso in sacrificio per l’umanità. La missione pastorale allora da qui in poi ha sviluppato il suo carattere nella dimensione partecipativa di una comunità di fede che ha permesso e permette ancora oggi di esplicitare, appunto “nel camminare insieme”, la crescita di quella grande virtù teologale proposta molte volte da San Paolo: la Carità.
Una Carità che elegge ed esplicita la radice più grande e profonda della Misericordia di Dio: il dono del Figlio per tutti. Questo dono lo sperimentiamo anche oggi attraverso queste Vocazioni; quel Vangelo segno tangibile di Speranza e di Amore per il prossimo rivive concretamente nella risposta “Eccomi” delle promesse sacre. Nel loro Sì a Dio, nei nostri fratelli, comprenderemo la grande Verità di Noi stessi: Morire per rinascere a Vita Eterna.

don Manuel Millo