L’indifferenza del Venerdì Santo

Anche quest’anno, nella sera del Venerdì Santo, le Vie Crucis attraverseranno le nostre città ed i nostri paesi. Saranno itinerari di devozione con il tempo del silenzio intervallato dai canti, dalle preghiere, dalle meditazioni.
Nessun timore che rumori esterni vengano a “turbare” l’incedere dei fedeli anche perché, a quell’ora, alle nostre latitudini, di persone in giro se ne vedono veramente poche ed anche la stagione non invita ancora gli avventori dei bar ad occupare sedie e tavolini all’aperto. Molto spesso, poi, la croce è preceduta dalle divise degli uomini della Protezione civile o delle Forze dell’ordine per dare al corteo la precedenza che gli spetta nella tradizione cristiana di un Paese come il nostro: è il momento della Via Crucis e gli “altri” devono tenerne conto.
E così è davvero uno shock quando ti ritrovi a vivere per la prima volta la Via Crucis a Gerusalemme.
Cominci a percorrere la Via Dolorosa certo di vivere un’occasione di raccoglimento speciale lungo quell’itinerario che vide il Signore nella sua salita al Golgota.
Ma poi ti accorgi che è praticamente impossibile sostare in prossimità delle stazioni canoniche: le strette e caotiche viuzze della parte vecchia della Città Santa obbligano a fare lo slalom per evitare i carretti carichi di merce, ad appiattirsi contro le pareti per lasciar passare gli altri gruppi di pellegrini, ad aumentare al massimo il volume delle radiotrasmittenti gracchianti per cercare di tradurre in parole comprensibili quello che le guide stanno dicendo…
Distratto dagli odori del bazar e dalle urla dei venditori, ti rendi conto con sgomento che attorno la vita scorre nella sua normalità. Il gesto di devozione che stai compiendo non scalfisce i passanti che ti spingono perché, in quel momento, sei probabilmente solo un ostacolo che rischia di fargli arrivare tardi alla loro meta ma nemmeno gli anziani senza età che fumano il narghilè sulla soglia delle botteghe o i soldati con il dito sul grilletto del mitra il cui sguardo cerca di anticipare ogni possibile pericolo.
A chi ti sta attorno non interessa chi sei e quello che stai facendo.
Capisci di essere circondato dall’indifferenza e che 2000 anni fa le cose non devono essere andate in maniera molto diversa. Verso il dolore del condannato che saliva al Golgota portandosi sulle spalle il patibulum nessuno manifestò solidarietà: Simone di Cirene stava passando di lì per caso e venne costretto a portare quel legno pesante mentre quella della Veronica è una figura sconosciuta ai Vangeli ed introdotta nella tradizione cristiana in epoca più recente.
Probabilmente chi aveva sentito parlare del profeta venuto da Nazareth e magari aveva anche affollato poche ore prima il cortile della fortezza Antonia manifestava in quella vigilia del sabato, dinanzi a quel corteo di morte, solamente una morbosa curiosità: lo stesso sentimento con cui noi oggi, nell’era dell’Intelligenza artificiale, attraverso il gossip cerchiamo di impadronirci della storia di altre persone per poterle criticare e giudicare.
Però proprio lì, in quella parte della Città Santa, puoi comprendere davvero cosa provano quanti subiscono ogni giorno la tua indifferenza, “la malattia più brutta che possiamo avere” come l’ha definita Papa Francesco.
Indifferenza è non considerare l’altro, continuare a vivere la propria vita come se lui non esistesse. Non avere alcuna attenzione verso la sua storia, la sua fede, la sua cultura… Ed in questo modo alimentiamo a dismisura (sono ancora parole del Papa) “la nostra schizofrenia, come se la fede non avesse nulla a che fare con la vita concreta, con le sfide della società, con la giustizia sociale, con la politica tanto che a volte pensiamo che una cosa è la fede con le sue pratiche e un’altra cosa la vita di tutti i giorni”.
A turbare le nostre Vie dolorose non possono essere i rumori esterni ma la nostra incapacità a rispondere all’indifferenza offrendo la speranza. Ma per fare questo dobbiamo davvero essere capaci di un coinvolgimento nell’incontro magari proprio con quell’uomo e quella donna che la società ha condannato e gravato di un patibulum troppo pesante.
Accorgersi dell’altro cambierà certamente lo sguardo con cui guarderemo quella croce che ci precede nella Parasceve.

Mauro Ungaro