Donne in divisa – “Un cielo sempre più… rosa”

Sara e io ci conosciamo da tantissimo e, se mi sforzo a ripensare gli inizi della nostra amicizia, lei ha già la divisa di hostess portata sotto una cascata di riccioli ribelli. Sara è un condensato di opposti: si definisce timida mentre i più la considererebbero estremamente socievole, ha sempre una parola e una storia […]

25 Gennaio 2024

Sara e io ci conosciamo da tantissimo e, se mi sforzo a ripensare gli inizi della nostra amicizia, lei ha già la divisa di hostess portata sotto una cascata di riccioli ribelli. Sara è un condensato di opposti: si definisce timida mentre i più la considererebbero estremamente socievole, ha sempre una parola e una storia per tutti mentre io la considero una delle persone più riservate che abbia incontrato.
Di sicuro l’aver iniziato a lavorare come hostess di una nota compagnia aerea italiana, mentre i più erano impegnati nelle scalate universitarie o ripiegati nei lavori sotto casa, l’ha resa la più sfuggente fra le amiche, la più imprevedibile e cosmopolita che vive la sua città di origine, Gorizia, la sua famiglia e le sue amicizie, come quel nido sicuro in cui rifuggire dopo tanto girovagare.

Sara, perché una persona così libera come te ha scelto di portare una divisa che ti ha omologato e costretto in determinate aspettative?

Nell’immaginario comune di me bambina ho sempre subito il fascino per la divisa dell’assistente di volo ma non per l’abito di per sé, di cui non ne comprendevo ancora gli oneri e gli onori, ma per quello che rappresentava, per l’esercizio dell’autorità, l’essere considerata un punto di riferimento. La consapevolezza di chi sei e delle responsabilità che hai le comprendi dopo, quando la divisa l’indossi quotidianamente e te ne accorgi perché nonostante tu sia molto giovane, anche le persone più grandi si rivolgono a te, hanno bisogno di te.

Cosa significa per te portare quella divisa?

Significa che in quel momento non sono più Sara, con le mie paure o i miei pensieri, ma sono un’altra persona: un’assistente di volo su cui centinaia di persone faranno affidamento perché, anche se è indiscutibile la figura centrale del pilota, è con l’assistente di volo che le persone si interfacciano, che vedono e che li accompagna nei loro viaggi.

Ti sei mai sentita non all’altezza di quella responsabilità?

No anzi, la mia professione mi ha aiutata a rafforzare la mia autostima. Seppur iniziavo come ventenne insicura, l’esercizio continuo a prendere decisioni mi ha accompagnata anche in una mia personale crescita personale, un lavoro costante anche su me stessa che mi ha forgiata come donna e lavoratrice.

In cosa consiste il tuo “potere” di decidere sugli altri?

Io bado e custodisco la sicurezza dei passeggeri durante i voli e le manovre di imbarco e sbarco (oltrechè svolgere molti altri servizi collaterali) ed in virtù di questo spesso devo prendere decisioni rapide a garanzia di tutti per problematiche sempre nuove e impreviste.

Come deve essere presentata la tua divisa?

Estremamente curata: la prima impressione che si dà è quella fondamentale, la carta d’identità, un messaggio di attenzione che viene dato anche mediante il linguaggio non verbale. Un bottone rotto o i polsini lisi darebbero senso di trascuratezza non solo della tua persona ma anche della Compagnia intera. Per questo le selezioni sono molto severe per ricercare anche la naturale predisposizione dei candidati ad essere persone dotate di un certo rigore.

Lavori nella stessa qualifica e Compagnia dal 1999. E’ mai subentrata in te la noia?

La mia vocazione è costante e viva. Seppur tutti abbiamo alti e bassi, il mio lavoro tutt’ora lo ritengo estremamente stimolante, non è mai monotono e ogni giorno l’equipaggio è diverso così come anche le casistiche da affrontare.

Quale, se c’è, un dispiacere legato alla tua professione?

Come in molte professioni c’è una grande differenza tra ciò che appare e come realmente stanno le cose: gli assistenti di volo sono sempre sorridenti e gentili e le persone talvolta non conoscono tutto l’impegno a monte: la formazione costante, le certificazioni presso l’Enac dopo la specifica preparazione, gli esami per il mantenimento del brevetto, gli ag­giornamenti sulle procedure di sicurezza; tutto questo può rimanere nell’ombra e naturalmente mi dispiace se non traspare quello che quotidianamente io e i miei colleghi siamo chiamati a fare, tuttavia credo che sia una condizione comune anche a molte altre professioni.

Una volta l’hostess era un lavoro esclusivamente femminile, oggi è ancora così?

No, la figura si è completamente mescolata con tantissimi uomini e con equipaggi misti. Forse una volta la presenza femminile era necessaria non solo per uno stereotipo di rassicurazione ma anche per ragione di spazi dove gli aerei erano più piccoli e le donne avevano una corporatura più minuta.

In una battuta: qual è l’aspetto più bello del tuo lavoro e quale il più brutto?

Il più bello è che accresce la propria indipendenza stimolando sempre a superare i propri confini fisici e mentali.
Il più brutto è emerso negli ultimi anni, dalla pandemia in poi: i passeggeri sono più timorosi e può capitare che si innervosiscono con facilità; purtroppo è la triste eredità che il Covid ci ha lasciato ma sono certa che, anche se garantire l’armonia in volo può essere talvolta complesso, ritroveremo tutti la serenità e la giusta leggerezza.