Siviglia: ripartire dalla propria anima

Ho trascorso quattro giorni a Siviglia, nel sud della Spagna, e come in una vecchia foto di scuola dove scorgiamo il compagno simpatico, quello bravo, quello timido e la famosa “bella della classe”, così Siviglia è la “bella della classe”. A parere di chi scrive, la più bella città d’Europa. Non la più maestosa, la […]

11 Aprile 2024

Ho trascorso quattro giorni a Siviglia, nel sud della Spagna, e come in una vecchia foto di scuola dove scorgiamo il compagno simpatico, quello bravo, quello timido e la famosa “bella della classe”, così Siviglia è la “bella della classe”. A parere di chi scrive, la più bella città d’Europa.
Non la più maestosa, la più sontuosa, la più elegante ma quella di un fascino oggettivo, di una prepotente eccedenza armonica. Un’esplosione di intarsi, stucchi, oro, maioliche, ricami, azzurri, piastrelle, colori, percorsi, acqua, fontane, marmi, busti, veli e tanto altro ancora.
Lì dove gli altri lasciano pareti, loro hanno incorniciato colori. In un misero poggiamano in legno, hanno evocato immagini. In una semplice terrazza, sequenze di smalti ne adornano il sotto e il sopra.
Nessun centimetro architettonico è stato sprecato in un susseguirsi incessante di arabeschi, Azulejos, marmi, suggestioni e ovazioni alle grandi Provincie spagnole, non un angolo dei palazzi borghesi e nobiliari che sia stato vanificato per esaltare il lusso, per unire l’azzurro al verde, l’ocra al rosso, le venature dei marmi bianchi dei busti rinascimentali italiani con la tradizione islamica che esalta, all’opposto, non visi ma natura.
Vasche, piscine e giochi d’acqua nei patii terrazzati sistemati dopo l’ingresso, no giardini ma aiuole lussureggianti di aranci amari e bouganvillea.
E poi palme, tantissime palme secche e altissime a perimetrare con gli scuri cipressi le residenze più importanti, che oscillano in una danza sincronizzata sotto la brezza spinta dal grande fiume Guadalquivir.
In questo angolo dove tanta bellezza, prima araba e poi occidentale, si è sbizzarrita e dove l’una si è sommata all’altra in un risultato inatteso di reciproca esaltazione, agli inizi del secolo scorso arrivava un gruppo nomade. Zingari probabilmente dall’est Europa. Poveri, capelli lunghi e sporchi, maleodoranti e, chissà, probabilmente con una vita di espedienti per sopravvivere.
Dai più venivano perseguitati, schifati, derisi e loro, piccola e povera comunità, si riunivano nei peggiori sobborghi periferici in locali bui, solitamente evitati, per condividere i lamenti della loro miseria.
Questo lamento greve e duro col tempo si incrociò con le corde delle chitarre che ne addolcirono il suono e poi con le nacchere che ne scandirono il ritmo.
Poi arrivarono corpi ondeggianti dapprima in solitaria e poi in gruppo a battere le mani e i piedi senza pretesa di raccontare storie, ma solo accentuarne emozioni. Scarpe povere su tavole di legno vecchio per far risuonare meglio il battito tra il vociare distratto degli avventori ubriachi. Corpi prima vestiti di stracci lisi e poi, per esaltarne un’inattesa popolarità, ravvivati di pois, ricami, vecchi scialli e veli. Nasce così il Flamenco, la musica e la danza tradizionale Andalusa, un’arte nata dall’innesto di culture differenti diventata poi simbolo, con la mattanza dei tori nella Corrida, della città di Siviglia.
I Sivigliani, di ogni ordine ed età, sono ben consapevoli del loro patrimonio immateriale di tradizioni e usanze e lo esaltano orgogliosi non semplicemente rievocandolo, ed in questo l’enorme sorpresa, ma rivivendolo quotidianamente. Animano i loro costumi per farne rivivere non solo un ricordo ma quello che Siviglia oggi è: la capitale del Flamenco e della Corrida, in una bolla anacronistica contemporanea dove se fuori si modernizza tutto e rapidamente, dentro il tempo resta fermo e identico.
Al resto ci pensa un clima caldo, un fiume dedicato anche al canottaggio internazionale, gli Erasmus dei tanti ragazzi provenienti dalle Università straniere.
Dicono che la città si sia risvegliata dalla fine del secolo scorso dopo decenni di sporcizia e degrado. Un’informazione che infonde fiducia alle altre città europee che, in amnesia della propria identità, si sono fermate non sapendo da dove riiniziare. Siviglia suggerisce di ripartire dalla propria anima.