Il modo migliore per dialogare? Fare qualcosa insieme!

In questa settimana mi hanno scritto in tanti. Per chiedermi se ho visto il Papa, se l’ho visto da vicino, se dal vivo è diverso da come appare in tv.Ho risposto di sì, l’ho visto, ho avuto la fortuna di vederlo da vicino. E ho ripensato al momento del suo arrivo nel Duomo di Firenze, ai delegati assiepati lungo la navata che applaudivano, fotografavano, acclamavano il Pontefice; a tutte quelle persone, me compresa, così serie e composte nella vita di tutti giorni che sono balzate sulle sedie pur di intravedere per un attimo, per cercare di incrociare lo sguardo per un secondo con l’uomo che, con la forza delle sue parole e del suo esempio, sta cercando di far cambiare marcia alla Chiesa. Perché quello che alla fine resta del momento più importante di questo Convegno, sono le parole, la forza e il vigore con cui sono state pronunciate. Un discorso programmatico per la Chiesa italiana che dovrà essere riletto e approfondito, viste le numerose sollecitazioni che offre. Un discorso che si rivolge a pastori e gregge, in quanto cristiani e in quanto cittadini responsabili e consapevoli delle proprie azioni e scelte; con una particolare attenzione ai poveri, alla ricerca del bene comune, ai giovani, invitati a superare l’apatia, a impegnarsi, immergersi nel dialogo sociale e politico, a “non guardare dal balcone la vita”. Un discorso che soprattutto invita all’incontro e al dialogo, ricordandoci che “le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti”. Consapevoli che il miglior modo per dialogare è quello di fare qualcosa insieme. E i delegati hanno cercato di metterlo in pratica da subito, nell’ambito dei lavori di gruppo, ma anche nei momenti di pausa, di condivisione. Certi che non saranno le belle parole a cambiare le cose, che nessuno ha in tasca la soluzione pronta e perfetta; ma pronti a raccontare e a porsi in ascolto, a condividere e a mettersi in gioco. Ponendo l’attenzione (e non siamo abituati a farlo) su quello che funziona, quello che di buono già c’è; perché a  criticare siamo bravi tutti, soprattutto nella polemica fine a sé stessa che però non porta a nessun cambiamento. Questo Convegno probabilmente non ci lascia grandi documenti o proclami; sarebbe auspicabile che ci lasciasse un metodo, un modo di lavorare, di camminare, insieme. Pur consapevoli delle diversità, della varietà delle situazioni, dei problemi e delle soluzioni possibili, ma anche certi che solo aiutandoci reciprocamente a camminare insieme potremmo costruire una Chiesa veramente in uscita, portatrice di un messaggio e di un annuncio che sappia essere attuale anche oggi.