Ucraina dimenticata

In poco più di anno dalla mia ordinazione episcopale, nel dicembre 2022, ho percorso più di 100 mila chilometri, in Ucraina e all’estero per incontrare ed essere vicino alla mia gente”: il salesiano mons. Maksim Ryabukha è Vescovo ausiliare dell’Esarcato greco-cattolico di Donetsk. La sua diocesi comprende i territori di Dnipropetrovsk, Donetsk, Lugansk e Zaporizza, città in prima linea nella tragedia della guerra che ormai da 26 mesi sconvolge l’Ucraina. Lo abbiamo incontrato nei giorni scorsi a Roma.

Eccellenza, dopo ormai più di due anni di guerra, come vive la popolazione ucraina la convivenza forzata con il conflitto?

Sono due i punti di vista che dobbiamo tenere presenti per rispondere a questa domanda: quello sulla guerra in generale e quello su quanto sta accadendo in questi giorni.
Nessun essere umano cerca mai la guerra per propria volontà!
Anche per gli ucraini questa guerra significa vivere uno sterminio di cui non si riesce a comprendere il motivo se non attribuendone la causa all’odio per la vita dell’altro.
Sappiamo bene che da secoli, almeno dal 1700, la Russia ha sempre cercato di porre fine all’esistenza di una realtà ucraina indipendente. Lo ha fatto togliendo al nostro popolo il diritto alla vita, alla libertà, alla dignità umana… Tutto questo si è ripetuto in maniera se possibile ancora più drammatica tra la fine degli anni ’20 e gli anni ’30 del secolo scorso quando l’holodomor, la grande carestia causata dalle scelte del regime statalista, provocò nel mio Paese milioni di morti: allora eravamo soli e nessuno poté aiutarci.
Se ragioniamo sul presente guardando proprio alla nostra storia, ci è ben chiaro che dinanzi ad un dramma come quello che stiamo vivendo se nessuno reagisce rimarremmo ancora una volta da soli.
D’altra parte, poi, il tempo delle persecuzioni durante l’Unione Sovietica ci ha fatto capire che il regime comunista non ti lascia mai il diritto al pensiero e alla libertà: tu sei importante solo in forza dei bisogni dello Stato.
E non è certamente questo il concetto della vita umana che abbiamo tutti noi!
Noi ci siamo trovati improvvisamente a dover fare i conti con questa guerra. Dopo avere vissuto il crollo dell’Unione Sovietica e del suo regime comunista abbiamo potuto vivere direttamente l’esperienza europea tenendo anche conto che dagli anni ’90 tantissimi ucraini sono emigrati in Portogallo, in Spagna, in Germania ed in altri Paesi del Continente. Abbiamo conosciuto umanità civilizzate e quando tu vedi il bene, il male non ti attira più!
Questa guerra rappresenta per noi il tentativo di qualcuno di farci ritornare ad un modello di vita insensato che non è certamente quello che Dio vuole per noi. Dovremmo proprio essere privi di ragione per essere d’accordo con chi vuole farci diventare animali invece che uomini…
Ecco allora perché gli Ucraini vivono il conflitto come un’espressione di difesa della dignità umana: quella nostra ma anche quella di tutti voi.
Abbiamo sentito, in questi decenni, l’Europa sostenere i concetti della dignità umana, del valore della vita: noi da “ingenui” vi abbiamo creduto a tal punto che oggi sappiamo che i valori che ci avete trasmesso ed in cui abbiamo creduto rappresentano un qualcosa di così importante da impegnarci nella sua difesa.
Quella che si sta combattendo da ormai più di due anni è una guerra ucraina in quanto si combatte sul territorio ucraino ma è anche la guerra del mondo civilizzato.

Lei prima evidenziava la particolarità dell’oggi del conflitto…

Non ce lo nascondiamo: oggi stiamo vivendo un periodo molto difficile.
Probabilmente chi legge questa intervista attribuisce un significato diverso a “difficile” e non si scompone molto dinanzi a questo termine: “oggi fa caldo e quindi diventa più difficile spostarsi in città”.
Per noi il “molto difficile” tocca ogni cellula della nostra esistenza: stiamo vedendo che il concetto di diritto alla difesa sta evaporando e ci sentiamo impotenti dinanzi ad una realtà che ci sta schiacciando.
Dall’inizio del 2024 – e siamo solo in aprile! – i russi hanno lanciato già più di 7.000 missili e droni.
La scorsa settimana un bombardamento notturno (e la maggior parte dei bombardamenti avvengono di notte proprio perché è il momento in cui la popolazione è più indifesa) ha colpito un grattacielo nella città di Kharkiv: i soccorsi hanno iniziato subito ad estrarre dalle macerie morti e sopravvissuti. Qualche minuto dopo è arrivato un secondo missile ed ha fatto strage fra i soccorritori stessi e fra chi non era stato ucciso dal primo scoppio.
È chiaro che per molti queste sono solo notizie di un telegiornale che nemmeno guardi più. I russi uccidevano un anno fa, uccidevano un mese fa ed uccidono oggi: non c’è nessuna novità.
Però per noi questa è la realtà, la quotidianità e non smettiamo mai di porci la domanda: perché?
Quello attuale è un periodo molto difficile anche perché, parlando con le persone fuori dall’Ucraina mi sento spesso chiedere: “Eccellenza, chi è il colpevole di questa guerra?”. Ma come? Il popolo ucraino non ha mai mosso guerra alla Russia e tu mi stai chiedendo se sono io il colpevole? Ma dove stiamo finendo? Il ragionamento umano dov’è?
Poi incontro altri che mi dicono: “Noi siamo pacifisti. Bisogna che tutti facciano tacere le armi!”. La questione singolare è che rivolgono queste parole a noi ucraini e marciano con i cartelli “No war” per le strade di Kiev. Ed allora mi domando: perché nessun pacifista osa dire queste cose in Russia? Perché a Mosca il ragionamento diventa subito inverso? Forse la risposta la immaginate da soli.
Il problema è che, a parole, tutti ci stanno dando dei consigli ma questi consigli non ci aiutano nel concreto.
La difficoltà, lo accennavo rispondendo alla prima domanda, è che noi guardiamo a quel mondo che ci trasmetteva dei valori e ci chiediamo se oggi l’Europa viva effettivamente secondo i valori di cui parlava e parla. Penso al senso della dignità umana, della vita, dell’amore, dell’aiuto reciproco…
Io sono un vescovo di guerra: non sono uno che guarda la guerra al telegiornale ma la vedo ogni giorno con i miei occhi.
Devo dire un “grazie!” profondissimo a tutti i Paesi europei (e non solo) che in questi due anni hanno offerto accoglienza agli Ucraini in fuga dalla guerra. Persone che non hanno più niente per le quali l’unica speranza siete stati e siete voi.
Prima di essere ordinato vescovo, il 22 dicembre 2022, ero direttore della Casa salesiana di Kiev: una realtà viva, frequentata prima della guerra da tantissime famiglie. Per questo, da figlio di don Bosco, sento molto vicino il mondo giovanile e non posso non ringraziarvi di cuore proprio per questa speranza che avete offerto a tanti nostri giovani, a tante famiglie.
Però poi devo anche confrontarmi con domande molto profonde: chi ci sta aiutando nel concreto e sul campo?
Quando affrontiamo il tema di una pace futura, sappiamo che è ingenuo illuderci che essa possa arrivare da una delle due parti in conflitto, Russia o Ucraina. La pace arriverà grazie all’impegno di un terzo che avrà il coraggio di ricordarsi di possedere “per natura” l’autorità morale per intervenire.

Lei accennava poco fa ad “un terzo” che potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel percorso verso la pace. Potrebbe essere il Papa?

Certamente il Papa non si stanca di ricercare la pace anche se non sempre quello che dice viene accolto con grande spirito di apertura, anche nelle due parti coinvolte.
Non ho un nome specifico da attribuire a questo “terzo”. Credo, però, che possa davvero essere chiunque (in modo particolare uno Stato Europeo) si ricorderà di avere voce e buon senso ma sarà anche capace di uno sguardo rivolto un po’ più lontano.
La pace arriva, prima di tutto, quando le persone si sentono ascoltate: anche i Russi (mi riferisco al popolo russo e non a Putin) hanno qualcosa da dire così come gli Ucraini.
Sento parlare della necessità della riconciliazione ma tu non puoi perdonare fino a quando, nel mondo civile, non constati che qualcuno ha smesso di fare il male.
Se un bambino vede che hanno stuprato sua madre e ucciso suo padre e non riceve nemmeno una richiesta di scusa, come fa a perdonare? Avrà bisogno di esprimere il proprio dolore ed avrà bisogno di qualcuno che lo ascolti. Ecco quel “terzo” deve fare tutta la fatica di coinvolgersi di ascoltare ma anche di proporre.
Ho un grande rispetto per l’Italia perché qui ho sempre trovato gente che mi ha capito e quindi è riuscita ad insegnarmi tantissimo. Mi sento profondamente salesiano anche per la capacità di visione che ho imparato dai miei maestri in Italia.

Sta forse invitando l’Italia ad essere più protagonista nella ricerca di quella pace che potrà porre termine al conflitto in Ucraina?

Anche!

Mauro Ungaro

(Foto padre Ignatius Moskalyuk)