Quale Europa dopo la pandemia?

La pandemia, sin dai suoi esordi nel nostro continente, ha messo in risalto luci e ombre di quella “macchina” che è l’Unione Europea, che a volte sembra procedere anche a diverse velocità. Oltre a ciò, quando questa situazione sarà un ricordo di cui potremo parlare al passato, quali ruoli le spetteranno, quali obiettivi a cui poter ambire?Ne abbiamo parlato con il giornalista Gianni Borsa, orrispondente dell’agenzia di stampa SIR, esperto di Unione europea e politiche comunitarie.

La pandemia ha messo in risalto il ruolo degli organismi sovranazionali, che forse in precedenza vedevamo come qualcosa di distante. Proprio alla luce di questo, quale è stata, dal suo particolare osservatorio, la risposta dell’UE (ma anche dei vari organismi preposti) di fronte alla problematica generata proprio dalla pandemia?All’apparire, un anno fa, del virus, gli Stati europei si erano mossi senza alcuna concertazione: erano subito emersi malcelati “sovranismi sanitari”, ognuno pensava di fare per sé, salvo poi renderci conto che “siamo sulla stessa barca”. Occorre fra l’altro tener presente – elemento sempre dimenticato – che l’Unione europea non ha tra le sue competenze le politiche sanitarie (che sono di esclusiva competenza nazionale), perché gli Stati membri non hanno mai deciso di convergere in questo settore. Comunque già tra aprile e maggio 2020 l’UE aveva messo insieme una serie di provvedimenti che lasciavano intravvedere un tentativo di risposta comune a partire dall’economia: 240 miliardi di Mes (fondo salva-Stati), 200 miliardi per investimenti Bei, 100 miliardi fondo Sure (risposta alla disoccupazione e alla cassa integrazione). Quindi le regole comuni per mascherine, viaggi, circolazione delle merci. In estate la decisione su NextGenerationEU (il “piano di ripresa” da 750 miliardi, 209 dei quali riservati all’Italia) e la strategia comune sui vaccini: ricerca, contratti (rivelatisi mal scritti) con le Big Pharma affidati alla Commissione, verifiche affidate all’Agenzia europea del farmaco. Insomma, in meno di un anno, pressata dai milioni di contagi e dalle centinaia di migliaia di vittime, l’Europa – Stati e istituzioni di Bruxelles – ha avuto un sussulto di responsabilità.

Quali sono stati i punti di forza ma anche quali le debolezze emerse che sarà assolutamente necessario rinforzare?Direi che progressivamente è scaturita un’azione coordinata e solidale per battere la pandemia, che oggi consiste nell’impegno per la vaccinazione degli adulti europei (circa 250 milioni di persone) entro la fine dell’estate; la vigilanza sulle aziende che producono vaccini affinché forniscano le dosi sulle quali si sono impegnate mediante contratto (e qui scopriamo davvero tante falle); la limitazione dei “viaggi non necessari”; lo studio di un eventuale “passaporto vaccinale” che possa permettere nei prossimi mesi di spostarsi liberamente all’interno dell’UE. Bruxelles garantisce la libera circolazione delle merci nel mercato unico permettendo ai consumatori di trovare i prodotti sugli scaffali dei supermercati. L’Europa comunitaria si impegna inoltre nell’alleanza internazionale Covax al fine di reperire i vaccini per i Paesi in via di sviluppo. È però lecito domandarsi se questa convergenza che si misura sul piano organizzativo e della risposta alla pandemia (peraltro non esente da ritardi ed errori) possa avere riscontri anche sul piano di una maggiore integrazione politica tra i Ventisette. Perché la vera debolezza dell’Europa si misura nel fatto che ci sono ancora insufficienti politiche comunitarie: così, di fronte a ogni sfida globale, si invoca l’intervento “di Bruxelles”, salvo dover ammettere che l’UE non ha adeguati strumenti per rispondere, ad esempio, alla globalizzazione dei mercati e della finanza, alla sfida delle migrazioni, alle pressioni del cambiamento climatico…

Quando questa pandemia troverà finalmente una soluzione e potremo parlarne al passato, cosa si prospetterà per l’Unione Europea? Quale il suo futuro e quali potrebbero essere, mi passi il termine, le sue “ambizioni” in un panorama mondiale?Di certo si sa che ogni passo sulla via della “casa comune” europea è stato generato da situazione di crisi o di estrema difficoltà. La Cee (Comunità economica europea) nasce, non a caso, all’indomani della seconda guerra mondiale, per riportare la pace e consentire la ricostruzione materiale del vecchio continente. Poi si sono succeduti nuovi rafforzamenti della Cee in altri tornanti storici: basterebbe citare la caduta del Muro di Berlino nel 1989; la necessità di “allargare” la ribattezzata Unione europea (1991) ai Paesi ex comunisti; la crisi del debito sovrano dal 2008; la crisi migratoria del 2015… In ogni caso, con maggior o minore rapidità ed efficacia, i Paesi aderenti all’Ue hanno cercato e imbastito risposte comuni che, a partire da una “solidarietà concreta” (come avrebbe detto Robert Schuman, uno dei “padri” dell’Europa), hanno a loro volta promosso nuovi sviluppi sul piano politico. In questa direzione si può ben dire che la pandemia, tra i tanti mali che ha portato con sé, ha ridato ruolo e peso alle istituzioni europee, le quali però ora necessitano di significative riforme per superare gli elementi di freno – culturali, politici, giuridici, economici, fiscali – che permangono sulla strada dell’unità europea. La Conferenza sul futuro dell’Europa, che prenderà avvio il prossimo 9 maggio, è pensata esattamente in questa direzione. E ogni cittadino potrà portarvi il suo contributo (https://futureu.europa.eu/).    

In questo momento vediamo il Regno Unito raggiungere l’immunità di gregge, gli Stati Uniti procedere a grandi passi nella campagna vaccinale. Nei Paesi dell’Unione europea la cosa invece sembra procedere più lentamente e i singoli Paesi non sembrano seguire delle linee unitarie (a volte addirittura al loro interno…). Viene quindi da domandarsi: quanto è realmente unita quest’Unione?Il Regno Unito e gli Usa si sono incamminati sulla giusta strada per quanto riguarda la campagna vaccinale. Non dimentichiamo però che questi due Paesi hanno un terribile record di morti da Covid! Nel frattempo i Ventisette, con il coordinamento UE, stanno finalmente risalendo la china. Resta il fatto che, come dicevamo poco fa, occorrerà assegnare alla stessa Unione europea una reale competenza, con poteri, fondi e strumenti necessari, per realizzare una politica sanitaria di scala continentale. Altrimenti al prossimo tornante – che si chiami influenza aviaria, “mucca pazza” o Covid – saremo ancora in balìa degli eventi.

Pochi giorni fa abbiamo assistito a quello che è stato denominato “Sofagate”, con la sedia “negata” a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE. Come va letto questo avvenimento, sia dal punto di vista legato più prettamente alle cariche istituzionali, che appunto in un’ottica diciamo “europeista”?La sedia mancante per la presidente della Commissione va letta sotto vari aspetti. Primo: non si lascia in piedi una signora. Non è questione di vecchia “cavalleria”, ma di rispetto, di attenzione, di buon senso. Secondo: è emerso un evidente errore del protocollo, sia UE che turco. Terzo: è oltremodo chiaro che Erdogan voleva dimostrare che il suo interlocutore è l’Europa intergovernativa, o “delle nazioni” (rappresentata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel), piuttosto che un organismo sovranazionale con ambizioni federali (le cui istituzioni sono Parlamento europeo e, appunto, Commissione). Quarto: qui è il punto più grave; s’è gridato allo scandalo perché Von der Leyen è rimasta in piedi, ma pochi gridano allo scandalo, ben più grave, sofferto, vergognoso, su come vengono trattate ogni giorno le donne in Turchia e sul recesso di Ankara dalla Convenzione di Istanbul, ovvero la carta europea, paradossalmente firmata proprio nella città turca, per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne.

Il Friuli Venezia Giulia – e Gorizia in modo speciale – vive “sulla pelle” il territorio di confine, sentendolo non come una limitazione ma vivendolo come un tutt’uno con la propria realtà territoriale. Guardando appunto al futuro dell’Europa, che ruolo potranno avere i territori di confine come il nostro?I confini possono essere, come sappiamo, sia limiti che “ponti”. Ovvero possono chiuderci in noi stessi oppure metterci in relazione con gli altri, siano essi persone, comunità, Stati, continenti. È sui confini, e sul modo di interpretarli, che si gioca una buona fetta del futuro dell’Europa e del mondo. Superare i confini con una logica di cooperazione è esattamente il contrario del nazionalismo (oggi lo cosmetizziamo con il termine sovranismo), che nella storia ha generato solo guerre, distruzioni, povertà e morte. Sui confini si giocano scambi economici, sociali, culturali. Da città come Gorizia ci aspettiamo forme moderne, lungimiranti ed esemplari di incontro e dialogo tra “diversi”.

Poco fa abbiamo accennato appunto all’allargamento nel prossimo futuro a nuovi Stati membri. Quali nuovi scenari e soprattutto nuovi equilibri possiamo ipotizzare?Guardando ai Balcani, appena al di là dei nostri confini nazionali, non possiamo che insistere su un progressivo processo di “avvicinamento” di questi Paesi (Serbia, Bosnia-Erzegovina, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord, Kosovo) agli standard UE riguardanti pace, democrazia, stato di diritto, protezione delle minoranze, libertà religiosa, lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, sviluppo economico e della pubblica amministrazione. Avere dei vicini pacificati e “sicuri” gioverebbe alla stessa Unione europea. È poi in atto un dialogo serrato, non meno complesso, col “vicinato orientale” (Ucraina, Moldavia, Armenia, Azerbaigian e Georgia), mentre assai problematica oggi si rivela la presenza ingombrante e minacciosa, di Russia, Turchia e Bielorussia. In questo senso occorre creare una, finora inesistente, politica estera dell’UE, che contribuisca ad assicurare al nostro continente e alle regioni circostanti (pensiamo anche a Medio oriente e Africa), pace, stabilità e sviluppo.