Prima di tutto viene lo stato di bisogno

“Prima i nostri” è uno degli slogan che hanno maggiormente connotato negli ultimi anni le campagne elettorali e le azioni di governo delle coalizioni politiche di destra nel nostro Paese.Mentre l’onda populista segnava il cammino di molti Stati del vecchio e nuovo continente, in Italia numerose amministrazioni locali si sono affrettate ad approvare leggi e ad emanare provvedimenti la cui fruizione era subordinata ad una certa durata della residenza sul proprio territorio. Una legislazione tesa, neppure troppo velatamente, a penalizzare soprattutto la “nuova residenzialita” frutto dell’emigrazione proveniente dall’estero ponendo paletti temporali tanto in ambito occupazionale che abitativo. Una scelta politica cavalcata anche da alcuni sindaci dell’Isontino. Percorrere tale strada – oltre al pericolo concreto di innescare guerre fra poveri –  può portare ad attivare una catena dalle tragiche conseguenze; con il rischio concreto che il concetto protezionistico di “nostro” vada sempre più restringendosi escludendo, di volta, in volta chi è nato in un Paese diverso, chi parla una lingua diversa, chi professa una religione diversa o ha una pigmentazione diversa della pelle rispetto la maggior parte degli elettori del legislatore di turno. E che il tanto sbandierato “nostro”, rovesciando la prospettiva, divenga per gli altri semplicemente “vostro” trasformando l’esclusore in escluso.L’8 luglio 2019 il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia aveva approvato la legge 9/2019 su “Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale”.La legge (all’articolo 88) limitava la concessione degli incentivi occupazionali previsti dall’articolo 77 della legge regionale 18 del 9 agosto 2005 a “assunzioni, inserimenti o stabilizzazioni” unicamente di “soggetti residenti continuativamente sul territorio regionale da almeno cinque anni”.Nel corso della prima seduta del governo Conte bis, il 5 settembre 2019, il Consiglio dei ministri aveva stabilito di impugnare la legge: fra le motivazioni alla base di questa decisione la constatazione che “taluni disposizioni in materia di immigrazione” apparivano “discriminatorie”. Un atto di particolare valenza mediatica proprio perché intervenuto nella seduta di insediamento del nuovo esecutivo che segnava il passaggio dalla guida giallo-verde a quella giallo-rossa del Paese. Il presidente della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia,  Massimiliano Fedriga aveva immediatamente annunciato l’indisponibilità della sua Giunta ad abrogare la legge ed il ricorso alla Corte Costituzionale contro una decisione che presentava non “una questione di mera forma” ma recava “i precisi connotati di un’iniziativa di carattere politico”.La questione è approdata dinanzi ai membri della Consulta nell’udienza del primo dicembre scorso con relatrice la giudice Silvana Sciarra; la decisione in merito è stata presa il 3 dicembre è la sentenza depositata il 21 dicembre.Per il comma 3-quinquies dell’articolo 77 della legge 18/2005 così come introdotto dalla legge 19/2019 è stata dichiarata l’illeggittimità costituzionale (in quanto in contrasto con l’articolo 3 della Carta).Nel suo pronunciamento (consultabile integralmente al link http://www.consiglio.regione.fvg.it/iterdocs/Serv-LC/ITER_LEGGI/LEGISLATURA_XII/TESTI_SENTENZE_CORTE/LR%209_2019_DDL%2054_SENTENZE%20N%20273%20E%20281_2020.pdf in attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) la Corte sottolinea, fra l’altro, che “il requisito della residenza di durata ultra-quinquennale… non costituisce di per sé un indice di elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale”: particolarmente esplicativo è il passaggio seguente della sentenza quando si ribadisce come “il radicamento territoriale non possa assumere un’importanza tale da escludere qualsiasi rilievo dello stato di bisogno ed essendo più appropriato utilizzarlo ai fini della formazione di graduatorie e criteri preferenziali”.La Corte però ha ulteriormente richiamato il legislatore del Friuli Venezia Giulia osservando che “la limitazione introdotta dalla disposizione impugnata risulta in contrasto con la ratio dalla stessa indicata, ossia il riassorbimento delle eccedenze occupazionali determinatesi sul territorio regionale in conseguenza di situazioni di crisi aziendale. Verrebbero infatti esclusi, ad esempio, coloro che, sebbene non residenti, abbiano svolto un periodo di attività lavorativa più consistente rispetto ai soggetti semplicemente residenti, dando così un maggiore contributo a quel progresso della comunità regionale asserito anche dalla difesa della Regione quale motivo ispiratore dell’incentivo. Il che finirebbe per penalizzare la stessa mobilità inter-regionale dei lavoratori”.Una sentenza che si commenta da sola e che può costituire fonte di discernimento davvero importante per quanti, anche nei nostri territori, sono stati chiamati a reggere la Cosa pubblica. E questo assume una rilevanza ulteriore soprattutto in un tempo drammatico di difficoltà sanitaria, economica e sociale come l’attuale in cui gli “stati di bisogno” sono sempre più drammaticamente diffusi.