La vita è un dono e come tale va sempre difesa e compresa

In questo tempo pasquale facciamo memoria di due persone che hanno concluso la loro esistenza con una testimonianza luminosa di fede dentro una grande sofferenza personale oggi purtroppo moltiplicata all’infinito in migliaia di storie spezzate di persone, medici, anziani, sacerdoti a causa del virus. Don Tonino Bello, venerato vescovo di Molfetta, del quale il 20 aprile ricorreranno i ventisette anni della morte e san Giovanni Paolo II che abbiamo ricordato il 2 aprile nella memoria dei 15 anni del suo ritorno alla casa del Padre. Di Giovanni Paolo II voglio ricordare, soprattutto dal dramma che ci è dato oggi da vedere, noi per lo più da lontano, ma in particolare con lo sguardo rivolto al Veneto e alla Lombardia, il suo magistero sul mistero della sofferenza nella vita dell’uomo, un mistero vissuto e testimoniato. Lui che la vita l’ha sempre difesa, fin dal concepimento e la sua Enciclica Evangelium Vitae lo evidenzia con forza e verità. La vita è un dono e come tale va difesa e compresa. Ma la stessa può essere attaccata e messa alla prova, in particolare durante la malattia e la sofferenza. Come comprendiamo queste affermazioni in questo nostro tempo che ha mietuto tante vittime nel corpo e nello spirito, che ha posto interrogativi senza risposta sul senso di tanta sofferenza. La sofferenza è un mistero che esige ascolto, silenzio, presenza, stupore, ricerca di senso”. Giovanni Paolo II, dopo tante sofferenze, sperimentate in prima persona, tra le quali un paio d’anni prima, l’attentato in piazza san Pietro, ha messo per iscritto le sue riflessioni, ha raccontato la sofferenza, l’ha chiarita, spiegata, dicendo con chiarezza che se vissuta con Cristo crocifisso, morto e risorto, si trasforma in bene spirituale per la Chiesa e per l’uomo dischiudendo le ricchezze della Redenzione e della Grazia. La sofferenza è paradossalmente una vocazione di vita. Cosa fare quando la malattia e il dolore ti impediscono di parlare?Un amico medico mi ha testimoniato in questi giorni in un sms, dall’ospedale di Alzano Lombardo, la preziosità di vedere il familiare lontano, e che per loro, vedere il congiunto ammalato anche se col volto segnato dal male, anche se la maschera per l’ossigenazione impedisce di poter parlare… Questa è stata anche la scelta di Karol Wojtyla, come mezzo di comunicazione principale dell’ultimo periodo del suo pontificato. Quello di non nascondersi, ma in quel suo stato di fragilità, di mostrarsi e mostrare al mondo, con un linguaggio para-verbale il suo magistero vissuto dentro il mistero della sofferenza. Non è indubbiamente naturale e facile passare dal concepire la sofferenza come problema, dramma umano al coglierla come mistero, ma il cristiano è interpellato ad essere testimone della dimensione salvifica del soffrire e a domandare a Cristo il dono di essere in grado di stare vicino a chi è provato nel corpo e nei sentimenti. Mi sono poi chiesto in questo tempo che cosa avrebbe detto don Tonino di questa pandemia, del non poter incontrare l’altro, avvicinare il volto, stringere la mano o un abbraccio, tutti atteggiamenti dei quali non poteva farne a meno, lui che non amava le mediazioni ma la presa diretta con l’altro. In questo senso, indimenticabile è una delle “parabole moderne” più belle che don Tonino ha lasciato alla sua Chiesa, a commento della parabola del Padre Misericordioso. Certo, forse col suo piglio salentino, ci avrebbe detto che ce la siamo cercata…ma non avrebbe non potuto richiamare le malattie del mondo, come ci ha ricordato Papa Francesco, quando nell’indimenticabile riflessione davanti a una piazza San Pietro totalmente vuota così si è espresso: “Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”. Don Tonino aveva questa visione planetaria incontrando, anzi condividendo il particolare, il piccolo, cioè la concretezza delle ingiustizie, delle povertà, che incontrava nelle strade nel centro storico di Molfetta in tante persone semplici. Certo il dopo, di questo difficile tempo, non sarà facile, anzi ci sarà un futuro impegnativo ed inedito. Dovremo riscoprire tante cose tra cui nell’esperienza di Chiesa, la missione, missione che, come scrive un amico di don Tonino, “manifesta ciò che appartiene a Dio e indica ciò che è compito dell’uomo”. Una parola “scomoda”, “inattuale nella sua perenne attualità”, che “provoca e, come una spada a doppio taglio, penetra nella mente, e ferisce anche l’anima”, ma che è anche “parola consolante, se consolazione significa stare accanto a chi è solo, condividere la sua afflizione e portare insieme il peso e la gioia di ciò che si proclama”. “Che la Pasqua sia, per tutti, una memoria spiritualmente eversiva. Solo allora, questa allucinante vallata di tombe, che è la terra, si muterà in serbatoio di speranze”.Questo l’augurio che don Tonino Bello, in una sua Omelia Pasquale, rivolgeva all’ uditorio, con quel suo stile efficace e provocatorio, che non può lasciare indifferenti e che, oggi, risuona di un’attualità quasi profetica. Il termine “eversivo” evoca immagini tanto rivoluzionarie, di così drastico cambiamento, che non ci sembra facile poterlo attribuire alla Pasqua, un Evento così pregno di riti scanditi, di gesti consolidati, di consuetudini scontate, da rischiare di farcene perdere il senso e il valore profondo. Con quel termine, così forte e inusuale, don Tonino sembra volerci costringere ad uscire dagli schemi abituali, per riscoprire la dinamicità della Pasqua, che è “passaggio”, movimento, azione; che è rovesciamento di pietre tombali, sussulti del cuore, ricerca di vecchi azzimi da eliminare e di nuove focacce con cui sostituirli. Questa Pasqua sarà una Pasqua eversiva, senza riti, nel nascondimento della famiglia, nel silenzio e nella semplicità, ma con un unico cuore, un’unica attesa, un’unica speranza!  …E, se avremo cuore aperto e occhi per vedere, coglieremo il passaggio del Signore  in mezzo a noi!