La rivolta solidale

La guerra scoppiata a febbraio si aggiunge ad altri, dimenticati, conflitti in corso prima che si martoriasse la vicina Ucraina. Più vicina per effetto di una guerra raccontata minuto per minuto, quale mai una guerra è stata ripresa e vista in diretta. Più vicina dello Yemen, abbandonato al suo destino di rovina e di morte in quella che fu la fiabesca Arabia felix. Più vicina del Libano, il Paese dei cedri dilaniato dalla guerra civile e prossimo al collasso economico, culla della principessa fenicia Europa, che la leggenda dice rapita e posseduta da Giove, costretta, dalla violenza del dio trasformatosi in toro, a lasciare l’Oriente e a farsi profuga nella terra a cui avrebbe dato il nome e indicato la vocazione all’accoglienza e all’integrazione. Forse intuita, quest’ultima, nelle settimane recenti. Quando, in risposta ai colpi di arma da fuoco dell’invasore rintronanti dagli schermi, è esplosa massicciamente la volontà di farsi – non solo dirsi- prossimi ai sofferenti in fuga dall’inferno.Con una miriade di iniziative che anche in Paesi europei illiberali mobilitano uomini e mezzi. Davanti all’orrore sanguinario dell’aggressione putiniana si è imposta la ferma determinazione nell’impegno solidale esteso su larga scala. Al punto da restituire alla parola “solidarietà” quel corpo al quale la retorica aveva, nel tempo, tolto la carne, rendendone talora aerea (nonché sospetta) la risonanza. C’è qualcosa di più dei buoni sentimenti all’origine della mobilitazione in atto, per lo meno nei riguardi dei profughi ucraini. E non in virtù di una piena identificazione, riuscendo impossibile all’umana natura l’impresa di calarsi fino in fondo dentro tristissimi panni, in special modo a coloro che ne indossano altri, comodi e caldi. Alla paura per la pericolosità di una guerra troppo vicina a noi si è unito il sentimento insopprimibile di ripugnanza per l’aberrazione che essa rappresenta e provoca nei suoi effetti smisuratamente distruttivi. Le immagini della tragedia ucraina hanno bucato gli schermi e aperto brecce nei muri ideologici innalzati a protezione di benessere e convenienza. Il bombardamento mediatico dei bombardamenti reali, ancorché ingeneri qua e là un senso di impotente, cinica assuefazione, ha squarciato gli animi spingendo una moltitudine di volontari ad adoperarsi nella missione umanitaria. La spinta a soccorrere vite ferite e a difendere diritti umiliati -degli ucraini e di ogni persona- si alimenta della tensione morale e civile che proietta davanti a sé un altro mondo possibile. Dal grembo dell’Europa, dal suo mitico corpo di donna violata, sta venendo alla luce una compartecipazione che accomuna nel sentire come vitale un’istanza della pace non idealmente vagheggiata bensì avvertita nella sua sovversiva potenzialità di riscrivere le relazioni tra individui, prima che tra popoli, improntandole alla collaborazione. Ma per attuarla serve un’inversione di rotta culturale, educativa, rispetto alla controspinta delle società avanzate che ci vogliono spietatamente competitivi nel perseguire obiettivi individualistici oscurando l’obiettivo più grande, che chiede di convogliare gli sforzi per una pace centrata sull’”armonia delle differenze”, come papa Francesco ha luminosamente risemantizzato la bellezza della comunione. Pena, se non esperimentata e gustata nel piccolo, lo sconcio grande di una guerra permanente che, lasciando in eredità odio e macerie, oltraggia creature e creato. Che i giovani cresciuti in un’Europa senza rigidità di confini reali e mentali giudicano un’anacronistica barbarie contro la quale, a Mosca e a San Pietroburgo, continuano la protesta pur sapendo di rischiare arresti, sevizie, sparizioni.Se la fame d’oro e potenza è la radice della malapianta di ogni guerra, la cooperazione dei talenti può agire come contravveleno attraverso linguaggi, gesti e posture quotidiane capaci di fioriture insperate dall’umana speranza. A partire da un’Europa cantiere di pace da rifondare, uscendo dall’ambiguità.