La ricerca del bene comune

“A Gorizia, in questi due anni, si è (s)ragionato sul fenomeno immigratorio soprattutto in termini di numeri e statistiche in un quadro segnato dalla paura e dalla diffidenza: dimenticando, nell’incapacità diffusa da una parte e dall’altra di andare oltre il proprio prossimo o futuro tornaconto elettorale, che dietro ogni numero c’è una persona con la sua storia ed un bagaglio di sofferenza e dolore spesso ben più pesante di quello materiale con cui pakistani o iracheni sono giunti in riva all’Isonzo”. Questo è stato il passaggio centrale dell’editoriale pubblicato dal direttore Mauro Ungaro sullo scorso numero del nostro settimanale diocesano nel quale si fa appello alla necessaria presa di responsabilità sul caso da parte di chi è chiamato ad amministrare il bene comune. Come non essere d’accordo su tutto ciò. Aggiungerei però che “il ragionamento” sul fenomeno delle migrazioni non è “una partita” che si chiude anche se Gorizia non sarà più sede dell’unica Commissione territoriale per richiedenti asilo della regione. Anzi, essa cerca e ha sempre cercato di trovare accoglimento in tutto l’ Isontino e nel territorio della Bisiacaria dove ben poche comunità si sono dimostrate pronte a promuovere quella cultura dell’incontro tanto auspicata da Papa Francesco in occasione dell’incontro con l’Associazione Italiana Comuni d’Italia, alla fine del mese scorso in Vaticano. Nelle passate settimane, abbiamo appreso che chiuderà il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Gradisca (il Cara) e che esso verrà sostituito dal Cpr dove verranno ospitati in futuro persone straniere provenienti da tutto il territorio Italiano in attesa di espulsione e rimpatrio. Si tratterà dunque di una struttura transitoria. Ma andiamo per gradi dato che il Cara cambierà pelle lentamente e tutto ciò è comprensibile. Questo passaggio va esattamente in direzione di quel patto per la sicurezza con Regioni e Comuni che il ministro dell’ Interno Minniti ha proposto in Regione a Trieste prima della fine dell’estate. Gli obiettivi: fare chiarezza su chi è veramente richiedente asilo a causa di guerre o persecuzioni e chi non ha i requisiti per poter restare in quanto irregolare. Entrano in gioco perciò il piano dei trasferimenti e il conseguente programma di accoglienza diffusa nei comuni dovuto all’abolizione del Cara. Gli esempi sono pochi: solo piccoli numeri di migranti vengono accolti. La suddivisione delle responsabilità in tale materia nella maggioranza dei casi fa paura. Certo si potrebbe dire che sotto molti aspetti sia fallita nei modi pratici la politica dell’accoglienza sin dall’inizio; c’è da dire che il ministro Minniti chiede – in ritardo – di fare luce e chiarezza sui finanziamenti ai Cara; c’è inoltre la necessità di sapere di più sugli appalti di gestione nei Cara (ne è esempio il caso del Cara di Isola Capo Rizzuto – Crotone). A queste note dolenti, vanno però contrapposti quei modelli locali che funzionano. Guardiamo per esempio al Monfalconese: Staranzano, San Canzian, Turriaco e San Pier d’Isonzo sono comunità che ci stanno dimostrando che l’attivazione di precisi percorsi finalizzati all’inserimento lavorativo e culturale dei richiedenti asilo è possibile senza piegarsi alla logica della paura. Gli atteggiamenti dei comuni di Monfalcone, Fogliano – Redipuglia, Grado (“caso Fossalon”) e Gorizia (il disimpegno sugli uomini che hanno stazionato nella galleria Bombi e prontamente “trasferiti” in occasione di “Gusti di Frontiera”), non sono lungimiranti e nemmeno “il silenzio” di altre comunità non è rassicurante. Anche altre comunità della diocesi hanno avviato un cammino percorribile in tal senso (Romans e Aiello). A questo punto è naturale domandarsi: è giusto che certi Comuni possano rifiutarsi di eseguire quello che il Prefetto di Trieste, nonché commissario di Governo nominato e rappresentante dello Stato centrale, ritiene essere un obbligo “di uguaglianza ed equità sociale rispetto a chi già fa la propria parte nella gestione dei migranti”? Forse quello che chiede la dottoressa Annapaola Porzio  è di seguire la via del bene comune astenendosi dagli interessi politici “di campanile”. Allora non ci resta che chiedere ai sindaci di capire quali siano le vere esigenze per il bene comune tenendo presente che sì l’emigrazione è frutto di una scelta propria ma che lo si fa perché in cerca di dignità e pace. Se gli obiettivi dei veri richiedenti asilo sono la prosperità e la salvezza ma anche noi facciamo la nostra parte, vorrà dire che l’integrazione e la conseguente accoglienza diffusa non saranno un incubo che ci fa pensare solo a sicurezza, giro d’affari e clandestinità. Il tema della sicurezza invocato da numerose forze politiche locali è usato solo come strumento di propaganda politica. Ricercare il bene comune invece vuol dire puntare ad elaborare il progresso e a migliorare anche la qualità della vita cristiana di tutti noi.

Lo spirito di Gorizia e le risposte alla povertà

“Quest’anno possiamo fare a meno di Gusti di frontiera… se la città è in grado di ospitare centomila persone in vena di bagordi, ma incapace di restituire la dignità a 40 senza un tetto sulla testa. Fate girare. Che si sappia che cosa sta accadendo a Gorizia”: così i social di questi giorni hanno commentato lo svolgimento di “Gusti di frontiera” e la condizione non facilmente gestibile della presenza a Gorizia di una cinquantina di persone (rifugiati e comunque poveri) che da mesi trascorrono le notti sotto le volte della galleria Bombi. Nei quattro giorni di “festa” il gruppo ha trovato posto al dormitorio Caritas del rione di Piazzuta, a dimostrazione che una soluzione (!) era possibile ed è stata trovata. Mentre sono aperte le discussioni (molto amate dalla Gorizia depauperata di oggi) sul futuro di queste persone e di quelle che si aggiungeranno eventualmente, è lecito trarre qualche bilancio e, possibilmente, un insegnamento per tutti. La ospitalità diffusa sul territorio a proposito di stranieri resta la soluzione più seria e concreta, ma per questo Sindaci e Comuni sono chiamati a darsi una mossa; in secondo luogo dopo le ultime scelte del Ministero degli interni e la chiusura della struttura di Gradisca, è pensabile che presto vedremo una iniziativa nuova nelle intenzioni e si spera anche nelle strutture e risorse a disposizione.I mesi estivi hanno posto in risalto una domanda: come rispondere alla condizione di un gruppo di persone che, prima, avevano scelto di stazionare all’esterno della palestra UGG e, dopo essere stati allontanati, nella galleria Bombi. Tutti hanno capito che sgomberare la gente dall’esterno di una palestra (fra l’altro chiusa da anni) non solo non basta, ma crea altri problemi. Di fronte una Amministrazione che sa il fatto suo (cioè ha coscienza del senso di accoglienza e di civiltà che le deriva da una storia ricca non di grandezze decadute ma di signorilità e responsabilità), si impegna da subito a cercare altre soluzioni: dieci persone in una delle parrocchie cittadine, dieci nelle strutture comunali, dieci in Prefettura, dieci in uno degli istituti in via di chiusura presenti sul territorio comunale….  Ad esempio.In caso diverso, proprio in forza delle responsabilità che competono ai Comuni (chiamati come settanta anni fa ad accogliere gli esuli…, e poi altri colpiti da calamità, dal terremoto, ad esempio), l’Amministrazione comunale in collaborazione con Protezione civile, Caritas e altre istituzioni o sodalizi, formalizza un piano concreto di accoglienza e coinvolge la popolazione. Perché? La ragione per la quale agisce responsabilmente è presto detta:  perché è in ballo il buon nome e l’onore di Gorizia e della sua amministrazione. Nome e senso di civiltà che viene prima di ogni altra cosa, anche di una iniziativa enogastronomica che, partita come sfida ed incontro delle diversità e animazione delle diverse componenti della società multiple goriziana, rischia di essere (come del resto il Friuli Doc udinese) solo una mescita. I numeri di partecipazione contano ma non sono tutto. Appunto il buon nome della città merita molto e molto di più.Dal mese di agosto le presenze di persone bisognose alla Galleria Bombi, secondo il gruppo di cittadini che ogni giorno è venuto incontro alle loro esigenze, sono riscontrabili e così anche l’aiuto uscito dalla loro libera iniziativa. Esistono dati precisi a disposizione di tutti. Come abbiamo letto su queste pagine esistono esperienze di accoglienza che fanno onore alla città e anche al Goriziano tutto. Un esempio, mentre il Comune – che ha ritenuto di avvicinarsi prima con alcune grida manzoniane e poi con le idropulitrici (utilizzabili con migliore vantaggio da altre parti della città) – deve dimostrare di avere fatto la propria parte: in ogni caso, le parole di disappunto e di non affezione, pesano su tutti.. Passata la festa, il problema non ha trovato ancora soluzione. Anzi. Lo “spirito di Gorizia” (Geist von Gorz) che è apertura, accoglienza e disponibilità – come ha ricordato il Papa ai sindaci dell’Aci in udienza- deve presiedere a questa ricerca e soluzione, anche perché siamo in autunno… Grazie.