Guardare al futuro puntando sul lavoro di squadra

La Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali è, ogni anno, un momento per fare il punto della situazione sulla nostra professione ma anche per confrontarci sulle tematiche e le necessità più rilevanti cui la società in evoluzione ci mette di fronte.Quest’anno indaghiamo il tema scelto da papa Francesco, “Ascoltare con l’orecchio del cuore”, insieme a don Alessio Magoga, direttore del settimanale “L’Azione” della diocesi di Vittorio Veneto.

Il tema scelto da papa Francesco per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali 2022 è “Ascoltare con l’orecchio del cuore”. Cosa significa questo oggi per un giornalista? A quali attenzioni particolari, dal suo punto di vista, ci sta richiamando il Santo Padre?Il messaggio del Papa è un forte invito a saper ascoltare, ad ascoltare in profondità, con pazienza e stupore, quello che gli uomini e le donne di oggi vivono.Per chi si occupa di comunicazione – ma non solo, dato che il messaggio getta luce su quanto vive ogni persona e anche la Chiesa – ciò significa che prima di parlare o di scrivere è necessario ascoltare la “realtà”: non fermarsi alla propria visione delle cose o peggio alla propria “ideologia”! Il Papa chiede al mondo dell’informazione – e quindi anche ai nostri settimanali – di lasciarsi “convertire” dalla realtà: quella delle persone concrete, dei fatti che succedono, non quello che abbiamo in testa noi.

Questo tema, che definirei puntuale e particolare, come si rispecchia (o si è rispecchiato) nel tempo della pandemia e nel lavoro svolto durante questo tempo? Limitandomi ai settimanali diocesani, credo che ci siamo impegnati proprio nella direzione indicata dal Pontefice. Durante la pandemia, abbiamo cercato di ascoltare, e quindi di raccontare, quello che stava accadendo. Abbiamo dato ascolto – e poi voce – alle storie di chi ha sperimentato sulla propria pelle la malattia e la perdita dei propri cari. Abbiamo dato ascolto a chi ha vissuto il disagio e la sofferenza di questi due anni di pandemia che hanno segnato diversi ambiti della nostra società: mi riferisco in particolare alle persone con disabilità e agli anziani, che forse hanno pagato lo scotto più alto, ma anche ai ragazzi ed ai giovani, che tra lockdown e Dad hanno vissuto due anni scolastici – per usare un eufemismo – particolarmente duri.Abbiamo saputo ascoltare e raccontare, però, anche il tanto bene che in questo tempo si è compiuto: penso alla dedizione di medici, infermieri e personale sanitario… Ma anche a tutte le esperienze positive che sono state realizzate, con coraggio e creatività, nel mondo del lavoro, della scuola, del volontariato e anche nelle nostre comunità cristiane.

Dove ha notato ci siano invece state “manchevolezze”?Forse siamo stati meno efficaci nel dare ascolto a quanti chiedevano di affrontare il tempo della pandemia in modo diverso: ad esempio, coloro che contestano la campagna vaccinale.Penso a quanti non si sono sentiti rappresentati dalla nostra narrazione, da loro accomunata a quella dei cosiddetti “giornaloni”. Il “dialogo” per essere tale presuppone che entrambi si mettano in atteggiamento di ascolto, altrimenti – come dice il Papa – diventa un “duologo”.Mi resta la domanda se con queste persone si sarebbe potuto (o se possiamo ancora) intessere un confronto schietto e rispettoso, nella logica del vero ascolto, evitando di cadere – come invece mi pare sia avvenuto – in una sorta di “duologo”, appunto.

Ora affrontiamo una nuova emergenza, quella legata al conflitto in Ucraina, che trova spesso spazio di approfondimento all’interno delle nostre testate. Proprio alla luce di questo “ascoltare con l’orecchio del cuore”, come affrontare una tematica così drammatica e cruda come una guerra all’interno dei nostri periodici? Come raccontare ciò che sta accadendo senza “urla e sensazionalismo”?Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, le nostre testate – mi riferisco ai settimanali del Nordest che conosco meglio – hanno investito le proprie energie soprattutto per raccontare le esperienze di generosità e di accoglienza di cui le nostre comunità si sono rese protagoniste in questi mesi.Penso alle numerosissime raccolte di generi di prima necessità e di fondi avviate da Caritas, parrocchie e mille altre realtà di volontariato presenti sul nostro territorio. Penso alle veglie ed ai momenti di preghiera per la pace. Penso anche agli spazi ricavati in strutture parrocchiali ed alle iniziative di singoli cittadini al fine di ospitare i profughi ed inserirli nelle nostre comunità. Penso alle storie delle vittime che hanno trovato spazio sulle nostre pagine: storie, piene di dolore ma anche di grande dignità, soprattutto di mamme con i loro bambini, che desiderano al più presto tornare nella propria terra…

Papa Francesco in più di un’occasione ha invitato noi giornalisti a “consumare le suole delle scarpe”. Dobbiamo però spesso fare i conti anche con la mancanza di “forze fisiche”, ovvero redazioni piccole dove spesso il giornalista si trova ad essere anche grafico, social media manager, segretario… Che spazio c’è oggi, anche nelle nostre testate, per un giornalismo che sia di prossimità e non “di scrivania”?Il giornalismo dei comunicati stampa non può essere l’attività esclusiva o prevalente di una redazione, perché il giornalismo “da scrivania” non ha futuro, nemmeno da un punto di vista economico. Al contrario, come settimanali diocesani, possiamo sviluppare il giornalismo di prossimità in tanti modi, dal momento che abbiamo un ruolo di stimolo all’interno delle comunità cristiane del nostro territorio e possiamo creare occasioni di dibattito. Le nostre testate possono guardare al futuro puntando sul lavoro di squadra, coinvolgendo sempre più i giornalisti di redazione, i propri collaboratori esterni e le testate vicine. Vi sono già alcune interessanti esperienze nel panorama italiano: mi riferisco soprattutto alla collaborazione tra testate vicine. Andrebbe fatto anche un discorso sul coraggio di nuovi investimenti, ma – in un tempo di crisi come questo – forse è già molto che siano garantite le risorse messe a disposizione sino a questo momento.

“L’ascolto sta conoscendo un nuovo importante sviluppo in campo comunicativo e informativo, attraverso le diverse offerte di podcast e chat audio, a conferma che l’ascoltare rimane essenziale per la comunicazione umana”. Si legge questo nel messaggio del Papa per la Giornata delle Comunicazioni sociali. Alla luce di quanto anche da lui affermato, quali nuove sfide e progetti si aprono per i settimanali e periodici cattolici?Il Papa dimostra di essere a conoscenza degli ultimi sviluppi del mondo della comunicazione, che sta conoscendo un forte incremento proprio nel settore dei podcast e dei contenuti audio. Potrebbe essere interessante realizzare – come testate – dei prodotti audio per i nostri lettori, ma questo avrebbe senso solo all’interno di un progetto complessivo di rilancio delle nostre testate. Mi sembrerebbe miope investire, di punto in bianco, energie sui podcast “inseguendo” la moda del momento: ci vuole una visione complessiva.Per certi versi mi sembra più semplice valorizzare chi si occupa, per definizione, dei contenuti audio, vale a dire la radio.Nel nostro territorio ci sono ancora delle buone radio comunitarie, spesso legate alle comunità cristiane. Perché non valorizzarle ulteriormente e propiziare una sinergia tra settimanali e radio?