Giulio Regeni: verità e depistaggi

Chi mette in atto un’operazione di depistaggio lo fa perché  conosce la verità e vuole impedire che si possa raggiungerla. Sono almeno quattro i più evidenti tentativi di depistaggio messi in opera in Egitto sulla morte del giovane ricercatore friulano Giulio Regeni, ucciso tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2016: il modo in cui fu lasciato il corpo ai margini dell’autostrada alla periferia del Cairo verso Alessandria (adombrava un delitto a sfondo sessuale); l’autopsia con esito ’emorragia cerebrale’ (dovuta ad una lite); l’uccisione di cinque egiziani noti per ruberie e sequestri (per adombrare un sequestro andato male avvalorato dal ritrovamento di documenti di Giulio Regeni in casa del ’capo della banda’); il documentario anonimo diffuso sui canali social pochi giorni prima dell’udienza preliminare del 29 aprile scorso al Tribunale di Roma, dalla quale si attendeva risposta alla richiesta del Pubblico ministero di processare quattro ufficiali della National Security Agency egiziana. Quest’ultimo depistaggio aveva come obiettivo una vecchia e già smentita accusa di spionaggio. Se, come appare evidente ed anche confermato da testimoni davanti agli inquirenti italiani, il depistaggio è frutto di organi di sicurezza dello Stato egiziano, è allora presumibile che quello Stato ed i suoi organismi di sicurezza conoscano esattamente la verità sulla morte di Giulio Regeni e soprattutto perché è stato sottoposto a tortura ed ucciso. Momenti di terribile sofferenza fisica, psichica e morale che emerge dagli esiti dell’autopsia sul corpo di Giulio effettuata in Italia. La prima udienza davanti al Gup del Tribunale di Roma il 29 aprile è stata rinviata perché uno degli avvocati della difesa dei quattro ufficiali egiziani era impedito a partecipare a causa del Covid-19. Si ritornerà in aula il 25 maggio. Si è comunque arrivati ad un passaggio importante, raggiunto grazie al lavoro costante e incisivo degli inquirenti, alla tenace volontà dei genitori di cercare la verità, alla appassionata e competente attività dell’avvocato Alessandra Ballerini, all’appoggio costante ed in aumento delle cittadine e dei cittadini che hanno dato vita al ’popolo giallo’ sui social e non solo, all’appoggio di ’scorta mediatica’ di tanti personaggi dello spettacolo, della cultura e giornalisti con in prima fila l’associazione ’Articolo 21’.  In tutto questo percorso ci sono dei punti da capire anche in merito a ciò che hanno o non hanno fatto organi istituzionali del nostro Stato. Va dato atto al Parlamento, con il presidente della Camera Roberto Fico e la apposita Commissione di inchiesta, di aver deciso e fatto i propri passi istituzionali. Non altrettanto pare di poter dire, sulla base di ciò che di concreto si è potuto registrare, dei Governi che si sono succeduti in questi anni, dei Ministeri più coinvolti nella gestione dei problemi che riguardano gli italiani all’estero. Su questo versante le dichiarazioni, anche forti nelle parole, non sono mancate. Però, i fatti, i silenzi e, specie ultimamente, gli inviti a non irritare il governo egiziano non sono percepiti come volti alla ricerca della verità e alla volontà di fare chiarezza e ottenere giustizia per questo cittadino italiano rapito, interrogato, torturato e ucciso in un Paese che viene dichiarato tanto amico da potergli vendere armi e navi da guerra, pur essendo ritenuto da Organismi istituzionali internazionali uno Stato che viola i diritti umani dei suoi stessi cittadini. Il clima in cui si sta per decidere se ci potrà essere il rinvio a giudizio chiesto dalla pubblica accusa per gli ufficiali egiziani non è dei migliori e noi tutti abbiamo visto talvolta che ’il clima’ ha avuto peso in talune vicende giudiziarie, anche importanti. Quello che finora conforta chi cerca la verità è il lavoro fatto dagli inquirenti italiani, ma adesso tutto il lavoro, loro, degli avvocati egiziani della famiglia Regeni, dell’avvocato Ballerini attende di confluire nella sede del giudizio di un tribunale. Il ’popolo giallo’ continua ad essere vicino alla famiglia di Giulio, è consapevole della delicatezza del momento, continua a far sentire la sua voce affinché opportunismi e supposte ’ragioni di Stato’ non pongano ostacoli e veli a chi vuole verità e giustizia. Intanto, anche in questi ultimi giorni, si diffondono nelle piazze e nei giardini pubblici di molti Comuni italiani le panchine gialle dedicate a Giulio Regeni per ricordare e difendere i diritti di ogni persona. Non succede a Monfalcone, dove pure Giulio ha conoscenti ed amici e dove un numeroso gruppo di cittadini ha fatto richiesta all’Amministrazione comunale di esprimere la propria solidarietà a chi cerca la verità per quel giovane Giulio che da ragazzo ha percorso le strade della città. Il Consiglio comunale eletto nel novembre 2016 non ha trovato finora modo di approvare nemmeno una mozione che esprima apprezzamento e sostegno al lavoro della magistratura e degli organismi parlamentari nel voler dare pace a Giulio, alla sua famiglia, ai tantissimi amici, alla dignità del popolo italiano raggiungendo verità e giustizia sul suo assassinio.