Giovani: bisogno di obiettività e di pace

Come reagiscono i più giovani di fronte alla tragedia del conflitto in atto, ormai da più di un anno, nel cuore dell’Europa? Come possono farsi proprio loro, con le loro idee, i loro ideali e i loro valori “testimoni” di unità e pace?Ne abbiamo parlato con don Paolo Biscotti, incaricato dell’oratorio cittadino del Convitto salesiano San Luigi.

Don Paolo, per iniziare, parliamo un po’ della realtà del San Luigi, testimonianza storica di accompagnamento ed educazione a Gorizia…L’oratorio è una realtà aperta e accoglie ragazzi e giovani di tutta la città: abbiamo un bel gruppo delle elementari, uno delle medie, uno del biennio e uno del triennio delle scuole superiori e una comunità educatori. Tutti questi giovani provengono da tutte le parrocchie cittadine e tutte le attività sono frutto della collaborazione delle Unità Pastorali “San Giovanni Bosco”, il cui responsabile è don Vincenzo Salerno, e “Porte aperte”, il cui responsabile è don Nicola Ban.Insieme agli educatori e in collaborazione con i catechisti delle varie comunità progettiamo e realizziamo il “Sabato Insieme”, il centro estivo della città e campi scuola in montagna.Non da ultimo l’oratorio è inserito all’interno degli spazi del Convitto San Luigi, dove i salesiani accolgono, ininterrottamente dal 2015, i minori migranti non accompagnati che arrivano dalla rotta balcanica alle porte di Gorizia, in collaborazione con i Servizi Sociali, le Forze dell’Ordine e l’amministrazione pubblica. Prestiamo accoglienza e percorsi educativi di inserimento sociale e lavorativo; attualmente accogliamo 88 ragazzi. Abbiamo in corso anche un meraviglioso “esperimento” di convivenza con i minori stranieri, perché le etnie sono tante: pakistani, egiziani, marocchini, indiani, albanesi, kosovari, tunisini… Inoltre è attivo un processo di integrazione di alcuni di loro nelle attività dell’oratorio.Infine, in collaborazione con l’associazione “La Ginestra” e la Fondazione Contavalle da quest’anno abbiamo anche avviato un piccolo doposcuola per i ragazzi delle scuole medie e il biennio delle superiori.

Parlando delle tematiche di attualità che stanno coinvolgendo tutti noi, come le sembra sia sentita dai giovani la guerra in corso in Ucraina? Ne parlano o la sentono come un argomento e un vissuto “lontano”?Proprio recentemente ne abbiamo parlato e abbiamo coinvolto nel dibattito 20 universitari, 63 ragazzi del biennio e 36 del triennio.I ragazzi più grandi, gli universitari, allo scoppio del conflitto, quando ne parlavano molto i telegiornali, lo sentivano come un argomento molto vicino a loro e fonte di preoccupazione. Diversi di loro si sono attivati in prima persona all’Oratorio San Luigi, raccogliendo vestiario e portandolo con furgoni presso la casa salesiana in Moldavia, a Chisinau, per la successiva distribuzione alle case salesiane di Leopoli e Kiev.Con il passare dei mesi però l’interesse e il coinvolgimento sono andati via via diminuendo. Attualmente è un argomento non molto presente nella loro quotidianità, se non per qualche annuncio.Da quanto abbiamo raccolto, il 20% degli universitari sottolinea come questo conflitto non sia sentito così vicino come poteva essere quello che aveva interessato la vicina Ex-Jugoslavia ma lo sente comunque con una certa intensità, in quanto prossimo ai i confini dell’Unione Europea e della NATO, e con la possibilità di un rischio di escalation dietro l’angolo; per non parlare poi delle dinamiche economiche che stanno ancora influenzando i nostri mercati, soprattutto quello dell’energia e del grano, sentito soprattutto attraverso i telegiornali o letto in qualche post o articolo che, di tanto in tanto, vedono comparire navigando in rete.Per la restante parte dei giovani universitari purtroppo l’argomento sembra essere passato decisamente in secondo piano rispetto ad altre notizie quotidianamente ascoltate sui media e sui social.Il conflitto non è per loro quindi così rilevante da essere ancora oggetto di conversazione ordinaria, tuttavia continua ad essere ancora presente nella preghiera personale, come spesso sollecitato da papa Francesco.Per quanto concerne gli adolescenti del triennio, dalla terza alla quinta superiore, e del biennio, prima e seconda superiore, il 40% sente il conflitto come qualcosa di lontano, mentre la restante parte continua ad informarsi leggendo qualche notizia di tanto in tanto.In ogni caso abbiamo però rilevato come, pur non seguendo i ragazzi in maniera diretta le fasi del conflitto, una volta messi di fronte a testimonianze, video registrati sul campo… rimangono molto colpiti e si dimostrano davvero interessati.

I ragazzi hanno forse mostrato, nel corso dei mesi e dell’escalation del conflitto, alcune paure, timori, per quello che sta succedendo, magari spaventati dal fatto che potrebbe allargarsi?Metà dei giovani universitari a cui è stata posta questa domanda non manifesta attualmente particolari preoccupazioni in merito ad una escalation del conflitto. L’altra metà invece teme che la guerra possa ulteriormente coinvolgere altri Paesi.Vi è poi una certa preoccupazione legata al tema del nucleare, poiché si è consapevoli che la Russia è tra i Paesi più armati di questo tipo di ordigni – possiede quasi 6000 testate nucleari -, pertanto il loro utilizzo potrebbe essere non così improbabile.Infine, una piccola parte guarda al conflitto in corso con un po’ di preoccupazione dovuta alla narrazione diretta di quello che accade da parte di rifugiati provenienti dalle zone del conflitto, ascoltati tramite i social o con testimonianze.La quasi totalità degli adolescenti invece manifesta il timore che il conflitto possa allargarsi ai Paesi europei e Nato; alcuni manifestano anche timore per un ingresso diretto dell’Italia nel conflitto e quindi un coinvolgimento dei propri familiari o parenti, generando in qualche adolescente anche un po’ di ansia.È infine forte in molti il timore per le conseguenze economiche che il conflitto ha causato e che continuerà a generare, quali l’aumento dei prezzi di diversi prodotti, la scarsa reperibilità di alcuni materiali e le grandi uscite economiche da parte degli Stati per finanziare la fornitura di armi all’Ucraina.

Rispetto ai “figli degli anni ’80 e ’90” che hanno vissuto le guerre nei Balcani, poi Iraq e Afghanistan solo attraverso le notizie che arrivavano da lontano dai corrispondenti, oggi i ragazzi hanno in mano i potenti social che rendono le notizie e gli aggiornamenti accessibili in qualsiasi momento, in diretta. Come utilizzano i social in questo contesto?Un recente studio afferma che gli adolescenti dai 13 ai 18 anni passano in media sette ore al giorno sul web e una piccola parte di questo tempo è dedicata a documentarsi prestando attenzione alle fonti, perché c’è in generale un certo timore in merito al dilagare delle fake news, non sempre immediatamente riconoscibili vista l’enorme vastità di notizie che ogni ora vengono rese disponibili on linePer trovare notizie i giovani cercano su Google, Instagram, blog di approfondimento e sempre di più anche su TikTok (anche se recenti studi affermano che un risultato di ricerca su cinque contiene informazioni errate) soprattutto per i video in diretta sul campo, condivisi da soldati e cittadini ucraini. Quest’ultimo social sta prendendo piede perché va incontro molto bene all’approccio “frammentato” alla conoscenza della “generazione Z”, che sembra non essere interessata al sapere enciclopedico dei “boomer” e “millennials” (che invece prediligono l’approccio di Google).Gli universitari, per informarsi sul conflitto, prediligono la lettura dei quotidiani, o in forma cartacea oppure on line, per avere maggiore sicurezza sull’attendibilità delle notizie. Gli adolescenti invece, mediamente per reperire notizie usano quasi esclusivamente i social. Attualmente però non sono molti gli adolescenti che ricercano notizie espressamente relative al conflitto in Ucraina, tuttavia continuano a leggere i post che compaiono sui loro schermi durante la navigazione.

Come possono gli animatori e i catechisti parlare della guerra all’interno dei propri gruppi? Come approcciarsi, con quali parole?Sono proprio i giovani a suggerire di trattare l’argomento utilizzando parole che non creino “terrorismo”, come a volte accade su alcune testate giornalistiche o in certi programmi tv, e che riescano a dare giusto peso e gravità a ciò che sta succedendo. C’è, da parte loro, un grande desiderio di obiettività, forse dovuto un po’ anche ad un sentimento di sfiducia conseguente alle fake news o alla manipolazione mediatica delle notizie che a volte si registra sui social.È necessario quindi avere un approccio molto diretto, raccontando le cose come stanno, senza “indorare la pillola”, aiutandoli a comprendere quali siano le fonti più accreditate e attendibili cui attingere per informarsi. Nel corso dei nostri incontri abbiamo, per esempio, fornito alcuni spunti su dove poter reperire fonti affidabili e obiettive.È inoltre doveroso aiutarli a comprendere meglio quali siano state le motivazioni geopolitiche, storiche ed economiche che hanno portato a questo conflitto. In questo anche la scuola dovrebbe dedicare un tempo adeguato, per ascoltare cosa pensano i ragazzi sulla guerra e per istruirli, anche con esempi molto concreti sulle dinamiche, le cause e gli sviluppi del conflitto, educandoli infine all’importanza dell’informazione, anche attraverso la testimonianza diretta di persone provenienti dai luoghi del conflitto, oppure promuovendo qualche esperienza di aiuto e solidarietà.Quest’esigenza è stata espressa soprattutto dai ragazzi del biennio delle superiori, che desiderano maggiori “strumenti” da parte della scuola, magari inseriti all’interno dei percorsi di Educazione civica. Facendoli parlare in maniera diretta i ragazzi fanno spesso emergere stati d’animo e spunti che da fuori magari non si vedono ma dimostrano una generazione tutt’altro che disinteressata e apatica.

A tal proposito, quale messaggio di pace possono trasmettere i “nostri” giovani, anche nell’ottica del 2025 che vede Gorizia e Nova Gorica – città confinarie – testimoni di dialogo e collaborazione?Papa Francesco nel novembre scorso, rivolgendosi ai giovani che hanno partecipato all’incontro per l’educazione alla pace e alla cura promosso dalla rete nazionale delle scuole di Pace, ha invitato i ragazzi a diventare “poeti della pace”. I giovani si sentono chiamati a sostenere la missione di costruire una società migliore a partire dall’ambiente casalingo, dalla volontà di aprire le porte di casa e cercare insieme di integrare e valorizzare le diversità che caratterizzano le persone.Sono consapevoli che la pace non è una conquista acquisita una volta per tutte ma che si presenta come un processo che va continuamente alimentato, migliorato, promosso.Alla base di questo cantiere aperto, secondo i giovani ci deve essere il desiderio di conoscere le altre culture, evitando ogni pregiudizio e ogni generalizzazione – ci sono ad esempio molti cittadini russi che non condividono la scelta bellica di Putin e nei reportage che le testate giornalistiche indipendenti o i social sono riusciti a trasmettere ne abbiamo visto le conseguenze, con migliaia di manifestanti arrestati -.La pace per i giovani si costruisce riscoprendo valori quali la fratellanza, il rispetto reciproco, l’accoglienza, riconoscendo e chiedendo scusa per gli errori del passato e perdonando il male subito. Così il processo di pace può ricominciare riabilitando vie nascoste dalle macerie dell’odio e progettando con coraggio vie inedite, creative, generative di fraternità.La pace forse non è tanto rappresentata dal silenzio dell’assenza di conflitti in atto, perché le persone possono anche stare assieme senza dirsi nulla ma covare dentro sentimenti di odio o intolleranza. La pace allora sembra più simile ad un gioioso e chiassoso vociare fatto di relazioni che si costruiscono, di desiderio di esprimere ciò che si pensa con libertà e rispetto reciproco, di ascolto, di interessarsi al bene comune e volere il bene dell’altro.I giovani poi si interrogano e una delle domande più frequenti che abbiamo ascoltato è stata “quanti processi e azioni di pace si potevano attivare con tutti i soldi spesi negli armamenti fino ad oggi?”.Tutto questo vale anche nella relazione con i vicini sloveni, con i quali sarebbe bello incrementare le occasioni di scambio, di reciproca conoscenza, di lavoro condiviso e partecipato, proprio perché non basta rispettare i propri spazi e rivolgersi un formale saluto per dirsi di essere in pace ma è necessario condividere pensieri, visioni, sogni, proprio a partire dai giovani, che forse hanno più capacità di sognare al futuro.La pace appunto va costruita, va progettata, attivamente.