“Dare condizioni di dignità e di vivibilità adeguate”

Voce Isontina ha dedicato ampio spazio al tema dei ricongiungimenti familiari rappresentati dal punto di vista di un’organizzazione di volontariato che si occupa di rifugiati. Voglio intervenire per presentare l’esperienza di un sindaco di un Comune, quello di Monfalcone, dove gli stranieri hanno raggiunto il livello percentuale più alto della regione, e fra i più alti d’Italia (con il 30% della popolazione residente) con effetti sociali dirompenti, com’è ben noto a tutti coloro che vivono e conoscono la realtà locale. Proprio questa esperienza mi ha portato a farmi carico di promuovere una proposta di legge che, regolamentando i requisiti, punta a dare agli stessi stranieri, prima ancora che a tutti i cittadini, condizioni di dignità e di vivibilità adeguata. La situazione di Monfalcone dimostra che, se i ricongiungimenti non si basano su criteri idonei minimali di reddito e di stabilità di occupazione e su garanzie negli alloggi e nell’abitabilità, non è possibile pensare ad alcuna integrazione e nessun ente locale, meno che meno gli enti caritatevoli o umanitari, possono essere in grado – nelle norme e nelle condizioni attuali – di assicurare la dignità di cui queste presenze hanno bisogno. Del resto è questo ciò che l’Europa prevede e gli altri Stati europei hanno attuato in materia di ricongiungimento e a cui è necessario adeguare la nostra legislazione. Fondamentale, dunque, è il rispetto della direttiva comunitaria (2003/86/CE) che fissa i parametri entro i quali anche la nostra legislazione avrebbe dovuto operare per rispettare quelle condizioni di base di reddittualità, stabilità occupazionale e di servizi indispensabili a questo fine.In termini di solidarietà, il Comune di Monfalcone negli ultimi cinque anni, ha fatto uno sforzo straordinario: sono cresciuti gli interventi, il numero dei beneficiari e la spesa a ciò destinata, in modo consistente rispetto al passato.  La spesa per i servizi sociali è passata da 16 milioni 700 mila del 2016 a 23 milioni e 703 mila nel 2021 e quella per i servizi di assistenza domiciliare, da 498 mila a 693 mila, mentre la casa di riposo ha raddoppiato gli utenti non autosufficienti, da 60 a 120.I dati ci dicono anche che sul totale dei soggetti percettori dei contributi riguardanti il “welfare”, tra il 2017 e il 2021, in media circa il 57% corrisponde ai cittadini extracomunitari, contro il 35% circa di italiani, mentre il restante 8% circa corrisponde alla popolazione comunitaria. Il bilancio del Comune, ovviamente, non è un “pozzo senza fondo” e anche la solidarietà non è incrementabile all’infinito. I dati, inoltre dimostrano un sensibile aumento delle percentuali dei cittadini extracomunitari percettori in corrispondenza all’aumento del flusso di iscrizioni anagrafiche riconducibili ai ricongiungimenti familiari di sostegni che vanno dalle agevolazioni scolastiche (servizio scuolabus e servizio mensa) ai contributi alloggio, a quelli assistenziali. E tutto ciò è, appunto, legato al problema del basso reddito che consente questi ricongiungimenti. Tramite il ricongiungimento familiare, infatti, viene concesso l’ingresso nel nostro paese a soggetti che non dispongono di alcun reddito, o perché minori, o perché anziani incapaci di autosostenersi nei paesi d’origine, oppure perché coniugi che, anche se in età lavorativa, in qualità di “congiunti” non necessitano di alcun requisito “lavorativo” per fare ingresso nel territorio italiano. Questo provoca un inevitabile abbassamento del reddito del nucleo familiare, che vede l’aumento dei membri che lo compongono senza alcun corrispondente aumento del reddito familiare: al contrario, il reddito del richiedente il ricongiungimento si ridistribuisce su tutti i membri del nucleo “ricongiunto”, abbassando gli indicatori della situazione economica del nucleo stesso (ISE e ISEE), che sono i parametri che regolano le la percezione dei contributi “welfare”.Più specificatamente è la cornice europea che detta i parametri all’interno dei quali lo Stato italiano, del pari di qualsiasi altro Stato membro, può legiferare in materia di “ricongiungimenti”, specificando, tra l’altro, quali siano i familiari ai quali il diritto debba o possa essere riconosciuto e le condizioni per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.  Le criticità più consistenti in termini di adeguamento della disciplina italiana alla normativa europea afferiscono proprio alle condizioni economiche richieste per l’esercizio del diritto al ricongiungimento, e quelle sui termini di permanenza sul territorio dello Stato, da parte del richiedente, anteriormente alla presentazione della domanda di ricongiungimento. L’applicazione pratica della norma italiana prevede che, per il 2021, per ricongiungere un familiare era necessario avere un reddito di euro 8.975,46 (€ 4.487,73 pro capite); per ricongiungere due familiari è necessario avere un reddito di € 11.967,28 (€ 3.989,09 pro capite), mentre per ricongiunge le due o più figli minori di 14 anni era sufficiente un reddito € 17.950,92. Molto al di sotto, quindi, delle condizioni “di povertà” e delle necessità per una vita dignitosa. La normativa italiana, dunque, non è efficace nel garantire che il richiedente “disponga di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenere sè stessi e i suoi familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato”, come prevede la normativa europea.Inoltre, l’Italia nulla dispone in ordine alla “stabilità” delle risorse che il richiedente dovrebbe avere: non è previsto che il richiedente dimostri di avere un’occupazione lavorativa di una durata minima. Parimenti, l’Italia non prevede nulla in merito al requisito di un termine minimo di permanenza all’interno del territorio nazionale, da parte del soggiornante-richiedente, anteriore alla presentazione della domanda di ricongiungimento.  L’unico requisito richiesto, infatti, è che il richiedente sia in possesso, al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento, di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno, che può essere rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, per studio, per motivi religiosi e per motivi familiari. Il risvolto di tale scelta legislativa è il fatto che, in Italia, è sufficiente che un soggiornato si procuri un permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno (rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari) e può presentare la domanda di ricongiungimento, purché dimostri di soddisfare un requisito reddituale così basso e non idoneo in alcun modo ai relativi fabbisogni familiari. Lo stesso vale per le verifiche del necessario controllo dell’idoneità affettiva di un alloggio adeguato. Sono convinta che l’accoglienza è un valore solo se essa avviene con regole tali da assicurare il rispetto di requisiti che la rendono tale. Per questo adeguare la norma italiana non significa essere “razzisti”, ma al contrario: essere attenti proprio al valore della dignità delle persone ed evitare di creare condizioni di discriminazione “all’incontrario” che minano il bene dell’accoglienza e le basi di convivenza della comunità.