Una festa senza senso?

Ma ha ancora senso celebrare una festa per il lavoro?La domanda non appaia pleonastica né tantomeno la risposta scontata in un Paese in cui la disoccupazione – secondo i dati dell’Istat – è al 12 % mentre per 39 giovani su 100 il lavoro è una chimera (con percentuali ancora più drammatiche al sud). È in aumento – e si tratta di un dato che non può lasciare indifferenti – anche il numero dei cosiddetti “Neet”, quei “rassegnati” di età fra i 15 ed i 29 anni che non studiano e non si danno da fare per cercare lavoro.L’articolo 1 della Costituzione sancisce solennemente che “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”.  Ma per chi un lavoro non c’è l’ha, viene meno uno dei cardini fondamentali di quel Patto sociale che la Carta 70 anni fa ha sancito fra lo Stato ed i suoi cittadini. Un dato di fatto, fra l’altro, di cui bisognerebbe tenere conto quando si parla del venire meno della fiducia di tanti italiani nelle istituzioni del Paese.Con queste premesse, oggi c’è il rischio concreto che il primo maggio si riduca ad un’inutile e nostalgica autocelebrazione rivendicativa; a comizi in cui il numero dei presenti (relatori esclusi) risulta direttamente proporzionale all’incidenza del sindacato nella vita del Paese. Un ruolo venuto meno anche a causa di quell’incapacità ad agire unitariamente che ha inopinatamente connotato troppo spesso la vita del mondo confederale negli ultimi anni: le susseguenti divisioni sono state cavalcate da una classe politica ed economica ben felice di delegittimare i rappresentanti dei lavoratori, bypassandoli quando si trattava di prendere decisioni importanti in tema di rinnovi contrattuali o nuove normative fiscali e sociali.Ormai c’è il rischio concreto che a connotare la giornata del 1° maggio rimangano solamente i concerti organizzati nelle principali città italiane. Manifestazioni capaci, forse, di attirare decine migliaia di persone ma dove le riflessioni sul presente e futuro dell’occupazione sembrano destinate unicamente a coprire i tempi morti fra un’esibizione e l’altra.Eppure, nonostante o proprio per tutto questo, è oggi più che mai importante celebrare il lavoro e vivere il primo maggio come giornata di festa.Le motivazioni non si stanca di ricordarcele il Magistero della Chiesa.Giovanni Paolo II nella “Laborem exercens” sottolineava – ma è solo un esempio fra i tanti possibili – che proprio il lavoro è la fonte della dignità dell’uomo; senza dimenticare, però, che “il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso, il suo soggetto”.In un tempo come il nostro dove le conseguenze di una crisi economica pluridecennale appartengono purtroppo ancora all’oggi ed al domani (e non certo all’ieri), è più che mai necessario recuperare la centralità del lavoro nel processo produttivo e nello sviluppo economico. Con una particolare attenzione a quelle categorie (giovani e donne in primo luogo) che ancora troppo ne risultano escluse. Il lavoro, ha ricordato recentemente papa Francesco, “fa parte del piano di amore di Dio” ed “è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci ’unge’ di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio”.Non dimenticarcelo può aiutarci a vivere diversamente ed a dare nuovo senso alla festa del primo maggio.