“Ti conoscevo per sentito dire…”

Sono le cose apparentemente banali che spesso destano improvvisamente la nostra attenzione. Magari ci ritroviamo a fissare il cielo in queste notti invernali e ci accorgiamo che manca qualcosa: sono pressochè scomparse le luci degli aerei che nel loro moltiplicarsi fra le stelle certificavano la volontà dell’uomo nell’era della globalizzazione di spostarsi di continuo, annullando le distanze e facendo di ogni “lì” un “quì”.Similmente ciascuno di noi, guardando ai dodici mesi trascorsi, potrebbe associare questo tempo di Covid-19 ad un qualcosa di personale, tratto da quella sua quotidianità “di prima” che considerava scontata e però del tutto insignificante per gli altri: immagini, suoni, sensazioni, presenze, incontri ormai estranei perchè appartenenti ad un ieri che si spera ritorni in un domani il più prossimo possibile.Ed è proprio questo improvviso venire meno di certezze, l’impossibilità di trovare un rifugio sicuro dinanzi ad un avversario invisibile, ad alimentare la nostra fragilità, a rendere ancora più difficile il percorso verso un “dopo” così difficile da immaginare. Ci siamo persi fra le settimane tinte di giallo, rosso, arancione e destreggiati fra quarantene e chiusure; abbiamo atteso con ansia l’arrivo del vaccino ed oggi – non sapendo magari bene quando toccherà a noi riceverlo – ci troviamo nella condizione dello scalatore che vede la vetta vicina ma scopre che per raggiungerla dovrà appena scendere di quota e poi affrontare l’ennesima salita; ci siamo illusi che quell’iniezione sarebbe stata la soluzione ed impariamo invece che il virus, come ogni essere vivente, vuole sopravvivere e per non morire è capace di mutare in continue varianti…Il rischio, tanto concreto quanto desolante, è però quello di associare tutto questo solamente ad assenze, perdite e vuoti, rendendolo simile ad un buco nero che assorbe ogni cosa. Eppure non è così.Se guardiamo al tempo che stiamo vivendo ed ai mesi che abbiamo alle spalle ci accorgiamo che le nostre comunità cristiane, dopo un primo inevitabile momento di sbandamento hanno cercato davvero di ascoltare la voce del Signore che parla ancora una volta ad ognuno di noi nella storia.Dinanzi a quelle che il cardinale Bassetti ha recentemente definito “le quattro fratture (sanitaria, sociale, delle nuove povertà ed educativa) che interessano il nostro Paese”, le comunità hanno saputo rispondere alla morte annunciando la Resurrezione e testimoniando la propria Speranza con la concretezza della carità. Abbiamo raccontato su queste pagine le tante storie di quanti non hanno voluto chiudersi passivamente in se stessi e si sono chinati sulle difficoltà e le sofferenze del prossimo consolando chi si è trovato a piangere la perdita dei propri cari; sostenendo chi ha sperimentato la solitudine della mancanza degli affetti; offrendo un aiuto concreto a quanti sono stati investiti dalla crisi economica a causa magari della perdita del lavoro; proponendo percorsi di incontro per bambini e giovani tenuti lontani dalle aule di scuola…Punte di un iceberg di solidarietà che – ad un anno da quando abbiamo cominciato la nostra convivenza forzata col Covid – ci permette di affermare che questa crisi – ricordando le parole di papa Francesco – non andrà sprecata. Ed allora, come Giobbe, potremo dire con gratitudine al Signore: “Ti conoscevo per sentito dire. Ora i miei occhi ti vedono”.