Memoria da custodire, coraggio da alimentare

L’impedimento atmosferico mi ha spinto col pensiero alla memoria, quel bene prezioso la cui giornata si era celebrata poco prima.L’età scolare della prole è cassa di risonanza dell’evento che annualmente viviamo ed i figli alunni – se hanno bravi insegnanti – aiutano anche gli adulti a non dimenticare e a non lasciare che la ricorrenza passi silente.Ma che cos’è questa memoria che dovrebbe fare breccia fra la nebbia dell’ignoranza, del qualunquismo e dell’analfabetismo di ritorno?Cosa significa questa parola “memoria” che – a differenza di “ricordo”, più legato a legami d’affetto – pare richiamare alla responsabilità, all’urgenza di non dimenticare per evitare il ripetersi di errori fatali?Primo Levi ammoniva scrivendo che “tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”. Sono convinto che si tratti di una drammatica verità e che non si debba riferire solo alla tragedia immane dell’Olocausto, ma a tutte le grandi ferite della storia umana, comprese quelle che viviamo ai nostri giorni. Perché così spesso pare che sia necessaria la distanza del tempo per percepire la gravità dei drammi umanitari che il pianeta sostiene? Perché la velocità di comunicazione del mondo interconnesso, sideralmente superiore – per esempio – a quella di sessant’anni fa, quasi non ci scalfisce, inerti in un sopore più o meno consapevole davanti a ogni morte che sia anche solo qualche miglio più in là?Molti hanno assimilato alcuni dei conflitti e delle conseguenti emergenze internazionali che stiamo vivendo a quanto noi e i nostri figli abbiamo letto nei libri di storia. E se il tentativo di sterminio delle persone di origine ebraica da parte del regime nazista, nella sua scientificità a tavolino, non subisce tristemente paragoni, è auspicabile che il grido di “mai più” si estenda a tutti i luoghi, nello spazio e nel tempo, che ancora rischiano di essere contaminati dalla violenza, dall’ingiustizia e dal male che, nella loro libertà, gli uomini sanno infliggere ad altri esseri umani.

Mi sono chiesto tante volte cosa significhi per un uomo essere coraggioso. Me lo chiedo forse perché consapevole di non essere particolarmente dotato di questa virtù, ma è proprio la memoria che mi fa domandare che coraggio avrei avuto in un campo di concentramento, o anche solo quando durante la guerra civile si trattava di decidere se nascondersi, combattere o comunque scegliere una parte.Che cos’è, dunque, il coraggio? Coloro che ci hanno preceduto e che come testimoni di umanità ci hanno lasciato memoria di sé, paiono dirmi che il coraggio ha più a che fare con la pace che con la guerra. Il coraggio della nostra epoca – e forse di sempre – non è quello di chi imbraccia le armi contro il fratello, affidando al tentativo di sopprimere l’altro l’illusione di un futuro migliore. Il coraggio che dura nel tempo, che costruisce avvenire, è quello di chi, credendo così tanto nella natura buona dell’uomo, lotta fino a donare la vita perché la vita di tutti sia piena. Sophie Scholl, fu ghigliottinata nella città di Monaco di Baviera poco più che ventenne, per aver elaborato e diffuso insieme ai suoi compagni i volantini antinazisti della “Rosa Bianca”, il gruppo di studenti cristiani che si opposero al regime sacrificando in questo modo le loro gioventù. Sophie e suo fratello Hans amavano una frase del già famoso filosofo Jacques Maritain: “bisogna avere un cuore tenero e uno spirito forte”: questa è la definizione di coraggio che più vorrei augurare ai giovani di oggi.Qui ed ora e per i tempi che verranno vorrei augurare loro di custodire la memoria e alimentare il coraggio, saranno loro indispensabili: e questo anche se la nebbia fosse sempre più fitta, perché “si avvicina il tempo – e per alcuni è già venuto – in cui una vita normale, una vita da uomo onesto richiederà sforzi da eroe” (G. K. Chesterton)