Monfalcone e il suo cantiere

Allora anche il mio rione era abitato in gran parte di operai del cantiere. La festa era lì: una città che si emozionava a veder la nave entrare nell’acqua e provocare un’onda che saliva fino all’orlo della banchina. Allora il cantiere era la squadra di calcio, il campo sportivo, il circolo ricreativo e viveva in una sorta di simbiosi con la città .È ancora così? C’è ancora questa emozione che derivava dall’orgoglio di un lavoro ben fatto? Nonostante la grande manifestazione di consegna del Britannia credo proprio di no. Resta il ricordo nostalgico del passato ma accompagnato dall’amarezza per una città che non si riconosce più e che deve affrontare da sola i problemi una situazione di sempre maggiore crisi sociale chiedendosi se i benefici di 2500 immigrati in città che lavorano (con i loro famigliari siamo oltre 5000), quando va bene e non ci sono situazioni di maggiore sfruttamento, a 800-900 euro al mese, con le rimesse che vanno ai loro Paesi di origine, compensino i costi sociali che si devono affrontare. Sono tematiche quelle legate alle condizioni di lavoro e alle ripercussioni sulla città che Fincantieri non può far finta di non vedere anche perché esiste una responsabilità sociale dell’impresa che aziende private anche quotate in borsa e non partecipate dallo stato hanno dimostrato di sentire con azioni concrete. Una responsabilità che riguarda le ditte a cui affida i propri lavori e per le quali non può limitarsi a dire che una volta richiesto il certificato antimafia è a posto… pensiamo forse che le ditte private si preoccupino se i bengalesi sanno l’italiano o conoscono le norme  antiinfortunistiche? Ricordo anche che secondo il Primo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia del Centro Einaudi oltre l’80% delle aziende con più di 500 dipendenti ha avviato un progetto di welfare aziendale mentre il 43% ne offre almeno due.Ma anche, da un altro punto di vista, si vedano ad esempio i bilanci di Tods e di Mediolanum per verificare quanto fanno per i loro dipendenti e per il sociale e, anche sul piano locale, della SBE di Alessandro Vescovini e delle sue iniziative a favore della comunità.Al contrario Fincantieri in questi anni ha progressivamente ridotto la sua presenza in città limitandola alle feste per la consegna delle navi e “vendendo” a prezzi di mercato il Cosulich, l’albergo impiegati e parte dell’Albergo operai, risolvendo certo problemi nostri ma anche suoi. Ora vedremo se chiederà un congruo prezzo per il sedime della ferrovia.Nello stesso tempo aziende come Eurogroup, Meccanonavale e altre (certo anche per loro dinamiche interne) che lavoravano per Fincantieri hanno chiuso i battenti diminuendo ancora di più i posti di lavoro nell’indotto del monfalconese. Oggi non si riesce a trovare una soluzione per trenta dipendenti della Beraud ma è di pochi mesi fa la notizia che Fincantieri entrava in una società controllata della fallita Santarossa di Pordenone per salvare la propria fornitura e i posti di lavoro. Si parlava del trasferimento della direzione da Trieste a Monfalcone ma da tempo tutto tace. Queste situazioni sono il campanello d’allarme di una crisi tra il cantiere e la propria città che va affrontata, da parte di tutti, senza infingimenti riconoscendo i grandi meriti della dirigenza che ha saputo dare alla cantieristica italiana un ruolo mondiale di cui dobbiamo andare fieri ma anche non sottacendo i problemi che ci sono relativi al tema dei comportamenti socialmente responsabili, dell’attenzione alle risorse umane, della necessità di uno sviluppo sostenibile.