Come usciremo dal Covid?

I tempi del Covid, vissuti in modo drammatico e con conseguenze pesanti, finiranno. Almeno a questo si tende e per questo si lavora e si fanno sacrifici sia individuali che comunitari e sociali. Ne usciremo con la testa rivolta indietro o in avanti? Nei momenti della difficoltà e dell’incertezza si è portati a guardare nel passato per cercare ciò che ci aveva dato sicurezza, ci aveva fatti sentire protetti, aveva soddisfatto le nostre esigenze di allora. Riproporlo e ripeterlo è un impulso che avvertiamo per tornare a quelle certezze che sono state messe in discussione proprio nel periodo che stiamo attraversando. Capire quello che ci è successo, ed ancora ci succede, ci risulta un po’ fastidioso perché ci costringe a metterci in discussione, a camminare su un terreno da esplorare. Siamo accompagnati  dal timore di sbagliare più che dallo spirito della ricerca e della scoperta. La frase che spesso si sente in queste situazioni  dice: “ci vuole prudenza”. Certo, ma la prudenza non è stare fermi, bensì scegliere i mezzi più adeguati per raggiungere il nostro scopo. E quale scopo ha oggi nel nostro territorio una comunità cristiana ed ogni singolo cristiano in essa? Nel periodo pasquale risuonano spesso gli inviti, e anche più che inviti, ad andare, ad annunciare la Buona Novella e vediamo la risposta degli apostoli e dei discepoli, prima storditi e intimoriti, che con l’esperienza del Risorto diventano coraggiosi testimoni. E allora come annunciamo il Risorto alle persone che vivono serie difficoltà economiche, che sono quotidianamente sollecitate a sentirsi contrapposte ad altri, che sentono su di sé l’ingiustizia e lo sfruttamento; persone alle quali qualcuno indica di volta in volta il nemico contro cui combattere;  persone provate dalla malattia e colpite dentro dall’esperienza della morte di parenti o amici? Come portiamo l’annuncio a chi subisce violenza e a chi la provoca, dentro o fuori le mura di casa? Nell’esperienza di tanti anni di vita ecclesiale abbiamo stratificato metodi di presenza nella società che sono diventati chiese, oratori, strutture per associazioni educative, luoghi per una catechesi  per lo più simile ad una scuola. Oggi, nella sola Monfalcone, ci sono cinque chiese parrocchiali ed altrettanti complessi edilizi per incontri, con spazi anche per lo sport e la cultura. Monfalcone ha circa 28 mila abitanti, con una presenza di cittadini stranieri in aumento (dati fine 2019) attorno al 26 per cento, oltre la metà dei quali di fede mussulmana. I dati riportati sul foglietto liturgico dell’Unità pastorale “Monfalcone” dello scorso 6 gennaio dicono che nel 2020, nell’insieme delle parrocchie della città,  si sono registrati 47 battesimi, 150 prime comunioni, 41 cresime (più una ventina di giovani/adulti), 12 matrimoni e 410 funerali. Teniamo pure conto che è stato un anno caratterizzato dalle restrizioni dei rapporti dovute al Covid e che rispetto al 2019 ci sono 14 battesimi in meno, 13 cresime in meno, cinque matrimoni in meno, mentre le prime comunioni sono 10 in più ed i funerali 50 in più.  Nell’ultimo anno la vita associativa e la catechesi in presenza è stata ridottissima se non inesistente. Le stesse celebrazioni liturgiche, nei periodi in cui le chiese erano aperte, hanno registrato un calo di presenze che si può attribuire alle limitazioni dei posti nelle chiese, alla paura dei contagi, ma che pone egualmente degli interrogativi. Parrocchie ed associazioni hanno utilizzato, con esiti diversi, gli strumenti della comunicazione televisiva o la rete dei servizi in internet. Strumenti utili per un periodo di emergenza o per incontri e conferenze altrimenti non realizzabili, o anche per lanciare dei messaggi o richiamare degli appuntamenti. Ci è però evidente che la fede cristiana ha bisogno della relazione fisica nei momenti della memoria di Gesù e della testimonianza, che è certamente responsabilità di ogni singolo credente ma nondimeno della comunità nel suo complesso. Questo periodo che ha sconvolto le nostre abitudini, le nostre relazioni, la nostra possibilità di movimento è un momento nel quale ritrovare ciò che è essenziale a far crescere la nostra fede e a trasmetterla ad altri, in casa, fuori e nella società. L’ascolto della Parola, da soli o con altri, la meditazione, la partecipazione all’eucarestia, la valorizzazione dei doni che ogni sacramento porta a ciascuno aiutano la nostra crescita personale. Poi però si aprono le domande: come trasmettiamo questa fede ai figli? Come la facciamo sentire agli adolescenti e ai giovani che incominciano un percorso che li porterà a costruire la loro vita oltre la famiglia di origine?  In altri termini ci si chiede se i modi della catechesi non vadano rivisti; se la famiglia non debba accettare una più profonda responsabilità nella trasmissione della fede. La stessa nascita di una famiglia cristiana di che cosa ha bisogno oggi per essere una scelta consapevole? Noi vediamo, ed il “periodo Covid” lo evidenzia ancora di più, che proprio alcuni momenti fondamentali della vita personale e di assieme non sono percepiti come occasioni di manifestazione della propria fede, anzi assistiamo ogni giorno di più alla scristianizzazione del significato della nascita, del matrimonio, del momento della morte. Un tempo, anche nelle nostre terre nelle quali i conflitti tra ideologie e stili di vita sono stati significativamente presenti, le fede cristiana e le sue manifestazioni pubbliche avevano rilievo ed incidenza nella vita delle comunità religiosa e civile. Oggi non è così; la comunità cristiana comincia a capire di essere una presenza minoritaria anche se il panorama dei nostri paesi e delle città è costellato di chiese e strutture che offrono ancora l’immagine esteriore di una grande presenza. La fede cristiana affonda le sue radici nella Pasqua del Risorto e nella Pentecoste dello Spirito e proprio per questo genera nel credente la responsabilità di declinare quelle ’parole di vita’ nel proprio tempo, un tempo che non è uguale al passato e pone le premesse per un futuro ancora diverso. Monfalcone dei cristiani e della società civile di cinquant’anni fa non è quella di oggi; istituzioni, strutture, popolazione, mondo del lavoro, rapporti sociali sono cambiati perché la vita, anche di una città, non è ferma e si evolve in un contesto sempre più vasto. Il modo di essere testimone del Risorto della comunità cristiana, il modo di vivere l’annuncio e la catechesi hanno colto questo cambiamento? Il periodo del Covid ci ha imposto uno stop per molte nostre attività e ci porta a riflettere; come gli antichi Padri siamo chiamati a prendere atto dei tempi in cui viviamo per cercare di annunciare in modo comprensibile la fede cristiana. Quando il Covid ci ha rinchiusi in casa, era in vista la  visita pastorale che il Vescovo Carlo aveva annunciato con la sua lettera “…anch’io mando voi”, siglata presso il Santuario di Barbana l’8 settembre 2018. Passerà questo tempo, e speriamo presto, in modo da poterci incontrare, guardare in faccia e chiedersi come vivere qui e oggi quel ’…anch’io mando voi’, assieme al nostro vescovo, segno e garanzia della continuità apostolica delle nostra fede.

(foto leban)