E se ripartissimo dalle relazioni intergerazionali?

Il nostro percorso alla ricerca delle necessità delle comunità di Gorizia prosegue su questo numero assieme a fra Luigi Bertié, superiore del convento dei frati Cappuccini di Gorizia. Insieme a lui tracceremo anche un bilancio sull’operato della Mensa dei Poveri in quest’ultimo anno, ancora segnato dalla pandemia.

Il 2021 è stato un altro anno segnato dal Covid 19. Ora che si è concluso, quale bilancio è possibile tracciare per la vostra Mensa? Ci sono stati cambiamenti (anche momentanei) nell’utenza?Prima di tutto penso sia stato un cammino molto importante quello che abbiamo fatto nella vicinanza ai poveri. Alle persone che si rivolgevano alla nostra Mensa per Poveri si sono aggiunti gli impoveriti da Covid.Ciò che abbiamo vissuto è stata, e lo è ancora per certi versi, una crisi sanitaria, economica, sociale ed educativa. La pandemia ha fatto emergere tutte le fragilità, con il rischio di creare delle fratture insanabili, di lasciar indietro i più deboli. Più che di nuove povertà, parlerei di volti nuovi di poveri. Quasi una persona su tre è un nuovo povero; cioè non si era mai rivolto a noi.Quando bussano alla nostra porta, sono ormai con l’acqua alla gola. Si tratta di persone con importanti difficoltà economiche e che hanno tempi troppo stretti per accedere alle risorse e alle offerte del territorio. Infatti, oltre a necessitare di un supporto alimentare attraverso un pasto caldo o la borsa della spesa, hanno bisogni legati all’abitazione, al pagamento dell’affitto e delle utenze, alla riduzione, sospensione o perdita del lavoro, ai redditi insufficienti. Una situazione che ha richiesto valutazione e impiego delle risorse, le quali con il passare del tempo sono sempre più diminuite. Anche sul versante volontari abbiamo avuto un cambiamento. Per ovvi motivi sanitari alcuni di loro, essendo anziani, hanno dovuto rinunciare al loro servizio, con un ricambio di più di ¼ dei volontari, rimanendo purtroppo in alcuni giorni della settimana con una situazione di precarietà.

Il vostro è un “osservatorio” particolare e attento sulla città e soprattutto sulle sue fragilità. Proprio alla luce di ciò, quali sono le priorità nella nostra città? Vorrei fare una premessa. È stato un periodo complicato, fatto di fatica, di incertezze, di precarietà e di paure. Tuttavia, dopo più di un anno e mezzo dobbiamo essere in grado di leggere la situazione e saper cogliere al meglio ciò che il buon Dio ci sta dicendo, quali sono le occasioni che questa realtà ci sta offrendo. E allora più che fare l’elenco di priorità suggerisco umilmente un modo diverso di osservare le criticità. Ad esempio non sveliamo nessun segreto se diciamo che Gorizia è tra le città più vecchie d’Italia; si tratta di un dato di fatto. Questo significa tanti anziani, che il più delle volte sono soli. Allora, non si potrebbe riscoprire l’importanza delle relazioni intergenerazionali?Certamente si tratta di trovare l’esperienza e l’iniziativa adatta, magari partendo dall’ascolto dei soggetti da coinvolgere. Aiuteremmo i giovani a valorizzare di più la solidarietà, l’altruismo, il rispetto, la fiducia in chi ha maggior esperienza, l’importanza della memoria, la custodia delle esperienze, la gestione delle emozioni, la cura.Mentre per gli anziani ne beneficerebbe l’umore e la vitalità, la capacità di reazione alle avversità, l’autostima e le motivazioni, la possibilità di apprendere ancora, la partecipazione alla vita della comunità, le competenze sociali, le relazioni con chi è più giovane. Inoltre, ci sarebbe un impatto sulla comunità: rafforzamento del senso di comunità, coesione sociale, sviluppo delle reti sociali, proposta di modelli di comportamento positivi, promozione del volontariato.Quel che voglio dire è che nella realtà, a volte problematica, Dio parla e offre la sfida da affrontare e l’opportunità da cogliere, restituendo cento volte tanto. Si tratta di osservarla e guardarla attentamente con la giusta prospettiva, che per i cristiani è la Parola di Dio, per cogliere le indicazioni, cioè i “segni dei tempi”, che richiedono una risposta adeguata dalla comunità.

Gorizia è una città che desidera appunto guardare ai giovani, arrivare a loro. Cosa suggeriresti, anche avendo avuto modo di confrontarti direttamente con la cittadinanza più giovane? Quali i bisogni emergenti dei ragazzi?Tutte le indagini e le ricerche che si sono svolte in questi mesi ci dicono che i giovani ci parlano di un disagio psico-sociale. Solitudine, emarginazione, paura, ansia, irritabilità, stress e disturbi del sonno sono le segnalazioni raccolte durante la pandemia.È, dunque, evidente che i bambini e gli adolescenti hanno bisogno di grandi attenzioni e cure non solo per proteggerli dall’infezione di un virus, ma anche per salvaguardarli da un punto di vista emotivo e psicologico. In questo è necessario che intervengano gli adulti, pronti ad accogliere, a comprendere e a prendersi cura di questo loro senso di inquietudine, così da farli sentire ascoltati, capiti ed aiutati, amati e apprezzati, così da concedere loro una chiave di lettura a ciò che stanno provando.Tutti noi adulti siamo chiamati a parlare con loro, a dare loro fiducia e speranza, a offrire prospettive, a far capire che i momenti critici possono renderci più forti, maturi, responsabili, capaci di provare empatia verso chi è in difficoltà. Vanno aiutati a reagire con responsabilità e creatività, poiché ne sono pienamente capaci. D’altronde non è forse la giovinezza il periodo della vita che mi parla di tempo, di futuro da costruire, di energie, idee da non reprimere, di apertura alla bellezza? C’è una strada che può aiutarci in questo; ed è quella di offrire delle occasioni di socializzazione. Non lo faremo come prima della pandemia, ma non possiamo e non dobbiamo rinunciare a offrire possibilità di relazioni.

Nei prossimi anni Gorizia dovrà affrontare la grande “sfida”, insieme a Nova Gorica, verso la Capitale della Cultura europea. Cosa ne pensi a riguardo? Cosa cogliere ma anche cosa offrire con quest’opportunità?Penso sia un’opportunità decisiva sia per il futuro della città sia per lo sviluppo culturale del territorio. Mi aspetterei l’inizio di un efficace processo trasformativo che avvenga attraverso una progettualità sviluppata e centrata sulla cultura.Un progetto che è certamente concentrato nell’anno del titolo, ma coinvolge il periodo di preparazione e soprattutto quello a seguire. È forse nella capacità di produrre effetti solidi e duraturi che si misura il successo o meno. Mi aspetterei anche che l’elaborazione del progetto veda il coinvolgimento effettivo di tutte le realtà territoriali. Un progetto calato dall’alto, per quanto valido, non riesce a fare la differenza se non c’è partecipazione. Una partecipazione che considera anche le conflittualità inevitabili, ma spesso utili per raggiungere comunità mature in grado di proporre progetti credibili e innovativi.

Per finire, se dovessi descrivere ora Gorizia attraverso un’immagine, quale sarebbe?La prima immagine che mi viene in mente, un po’ scontata, è quella del confine. Tuttavia, il confine è sempre un po’ intrigante; è carico di significati e di memoria attorno al quale si uniscono partecipazioni emotive e si costruiscono anche immagini collettive. Inoltre, un confine, privato della suo originale motivo di esistere, viene reintegrato nell’ambiente che lo circonda, cambiando di significato: Piazza Transalpina, da luogo che divide a uno che unisce. Il confine dice anche lingue differenti, culture uniche nella diversità, visioni politiche e sociali particolari… raccontano la ricchezza di una determinata area geografica.Il confine, il limes, la linea di separazione, nel momento in cui viene attraversata deve registrare il contatto, l’incontro, lo scambio. Il confine mi porta a chiedermi che cosa possa celarsi dietro a quella linea, permettendo non solo di valicare confini fisici, ma anche quelli della propria persona, della propria intimità.