Costruttori di pace nella Via Crucis transfrontaliera

I due anni dal momento straordinario di preghiera presieduto dal Santo Padre, la prima Via Crucis transfrontaliera francescana organizzata dalle fraternità francescane di Gorizia e Nova Gorica, avrebbe dovuto essere un altro ponte sotto cui sarebbe passata la barca che ci ha permesso di attraversare la tempesta della pandemia.A quasi 18 anni dalla caduta dell’ultimo muro d’Europa, nessuno però avrebbe immaginato che, proprio in questa domenica della gioia, avremmo pianto per chi non approderà, con noi. alla riva che s’intravvede ora che la tempesta si sta placando, e per chi ha perso la vita nel conflitto tra Russia e Ucraina scoppiato un mese fa. Il sole di questo 27 marzo prometteva di asciugare anche le lacrime del Cielo che bagnavano quella piazza San Pietro vuota in cui Papa Francesco ha pregato, solo, davanti al Crocifisso ligneo di San Marcello e all’icona bizantina della Madonna.Alla sua invocazione, si è unita quella dei francescani secolari che si sono ritrovati al Valico del Rafut per raggiungere il Santuario della Kapela. Percorrendo la strada che costeggia la pista ciclabile e che finisce dove iniziano gli scalini che portano al Monastero francescano della Kostanjevica, ai francescani di Gorizia e Nova Gorica altri fedeli si sono aggregati ad essi fino a diventare un centinaio lungo la Via Crucis segnata, per l’occasione, da 14 croci di legno su cui sembrano quasi brillare le immagini che riproducono i mosaici di p. Marko Rupnik. L’artista ha abbellito le 14 cappelle sul colle di Mengore e nelle sue opere i pellegrini vedono il dolore fiorire nella bellezza, come recitava Sre?ko Kosovel. uno dei padri della poesia slovena. Stazione dopo stazione, le lingue non hanno confini e l’aspirazione ad una completezza non individualistica svela il desiderio comune di divenire sempre più esseri umani.L’Arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli e il Vescovo Jurij Biziak guidano le riflessioni dei francescani delle fraternità di Gorizia e Kapela, insieme alle due ministre, Raffaella e Silva.Esce la gente dalle case, le cui porte e finestre erano chiuse fino a poco prima. Avanza, piano, quel nutrito gruppo di cristiani portando la croce, mai da soli: sposi, amici, frati dei conventi di Gorizia e Nova Gorica e bambini a simboleggiare la Chiesa.Chiesa in uscita, come auspicato da Papa Francesco e dall’OFS d’Italia. Chiesa sinodale, come desiderata dall’Arcivescovo Carlo. Chiesa testimone di bellezza, dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo, Sotto il manto della Madre di Dio, nella Kapela, trova approdo una barca, realizzata da Monica, prototipo di quella dei discepoli sulla quale furono presi alla sprovvista dalla tempesta sul lago di Tiberiade. Anche noi, come loro, ci siamo trovati impauriti e smarriti quando fitte tenebre si addensarono sulle nostre piazze, strade e città. Alla fine a ciascuno viene consegnata una piccola barchetta, per ricordarci che nessuno si salva da solo e siamo tutti chiamati a remare insieme a Gesù. La benedizione di Dio che il Santo Padre ha impartito al mondo intero dal colonnato che abbraccia Roma, scende nell’ultima domenica di marzo su questa terra che ha sofferto le atrocità della guerra. L’Arcivescovo Carlo, riprendendo le parole di Papa Francesco che, con uno sguardo di dolore, ha affermato che stiamo vivendo la terza Guerra mondiale a pezzi, e mostrando l’angelo preparato da Silvia e Zlatka, che ognuno ha ricevuto nelle proprie mani, ci ricorda che in questa domenica anche noi siamo costruttori di un pezzetto pace e ci invita a continuare senza scoraggiamenti se le notizie che ci giungono non sono quelle che tutti si spera. Alla fine di questo momento di preghiera sono stati raccolti 650 euro che l’Ordine Francescano Secolare ha devoluto alla Terra Santa.La barca è rimasta per una settimana nella Chiesa della Castagnevizza/Kapela, mentre domenica 3 è stata portata nella Chiesa dei Cappuccini a Gorizia per ricordarci che ci salveremo soltanto insieme fraternamente.