Viaggio nella Galizia dei nonni

Credo che questo nome trasmetta ancora una sensazione particolare, quasi di mistero irrisolto, in qualsiasi nipote o pronipote di coloro che, cittadini austriaci fino al 1918, sono stati mandati a combattere contro i russi in quella che era la Galizia austriaca a partire dall’estate 1914.Anche l’Austria di oggi ha sentito il bisogno di chiarire l’aura di mistero che ruota attorno a questa regione, tant’è che nel 2015 il museo della città di Vienna ha organizzato una grande mostra dal titolo “Mythos Galizien” in collaborazione con studiosi ed enti dei paesi interessati.

Dov’è la Galizia?Prima di proseguire in questa riflessione mi pare però giusto chiarire a tutti coloro che non condividono questa storia personale dove fosse questa regione, svanita nella polvere della dissoluzione dell’impero austro-ungarico.Si tratta di una zona che attualmente comprende la parte meridionale della Polonia (quella quindi attorno a Cracovia) e l’Ucraina occidentale (che fa capo a Leopoli), passate all’impero asburgico in seguito alla prima spartizione della Polonia nel 1772. Per una serie di ragioni storiche quella lontana regione ricevette il nome di regno di regno di Galizia e Lodomiria e fin da subito fu terreno di una notevole politica di integrazione linguistica, sociale ed economica e di sperimentazione delle più moderne tendenze del tempo. La lingua ufficiale (e quella di prestigio) divenne ovviamente il tedesco nella sua variante austriaca, ma le due grandi minoranze linguistiche (polacchi ed ucraini) videro riconosciuti tutti i loro diritti. Circa il 10% della popolazione era formato da ebrei che, tra il 1848 e il 1867, furono completamente equiparati agli altri cittadini. Leopoli (Lemberg, Lviv), la capitale, era la quarta città dell’impero per numero di abitanti, dopo Vienna, Budapest e Praga, superando Trieste per appena una manciata di persone.

Terra di frontieraNonostante tutto ciò la Galizia rimaneva per l’uomo della strada di inizio Novecento una specie di Far West e, per un militare di carriera, essere di stanza in una guarnigione di quella regione era decisamente demoralizzante. La Galizia era infatti una zona estremamente importante per la strategia militare austriaca, essendo situata al confine con la Russia. Cracovia e Przemysl divennero città fortezza e lungo il confine le linee ferroviarie vennero potenziate per poter trasportare il maggior numero di soldati possibile. Durante la prima guerra mondiale l’Austria sofferse enormi perdite in questa zona: l’enorme fortezza di Przemysl venne conquistata e i russi giunsero fino quasi Cracovia. Ciò significa enormi perdite di vite umane (infatti oggi questa zona pullula di cimiteri e monumenti ed esiste pure un “First World War’s Eastern Front Trail” (risparmio al lettore la versione polacca), un lunghissimo percorso che ricorda gli incredibili spostamenti del fronte e l’enorme numero di caduti.Sulle orme dei nonniEntrambi i miei nonni sono stati presi prigionieri dai russi nel primo periodo delle ostilità. Si sono trovati quindi a perdere il senso dell’orientamento che dava loro l’esercito austriaco, dove, a differenza di quello italiano, i superiori generalmente si occupavano del benessere della truppa, e si sono visti catapultati in una realtà completamente estranea per lingua (ucraino/russo), usi e costumi.Alcune di queste storie sono state raccolte in due volumi dal maestro Camillo Medeot negli anni Settanta e, attualmente, citate spesso da Paolo Rumiz, un altro nipote che ha avuto bisogno di percorrere le strade dei nonni.Ho potuto finalmente arrivare in questa zona nello scorso giugno, avvalendomi però di un viaggio organizzato che un importante tour operator austriaco propone da anni per conoscere la Galizia e la Bucovina, appunto regioni tutt’ora poco conosciute, anche se hanno un posto ben chiaro nella storia austriaca. Se in Polonia si può parlare tranquillamente in inglese e il mio piccolo bagaglio di polacco che deve molto al prof. R. K. Lewanski, passato velocemente per l’Università di Udine negli anni Ottanta, funziona ancora, l’Ucraina era per me (proprio come per i nonni) un paese del tutto sconosciuto per usi, costumi e lingua d’uso, quindi ho scelto per la prima volta nella mia vita un viaggio organizzato, il cui scopo principale non era nemmeno il mio.È stata però un’esperienza liberatoria: poter entrare nel mondo che non trova posto nella storia italiana, ma è parte della mia storia, mi ha consentito di vedere il passato recente del Goriziano con occhi diversi.Certamente partire da Vienna alle 8.15 del mattino con un pullman distante 10 minuti di tram dal mio alloggio e con un programma dettagliato tra le mani non ha nulla a che vedere con il viaggio dei nonni, iniziato in treno a Trieste verso un est sconosciuto, per una guerra che avrebbe dovuto durare qualche mese e che invece ha sconvolto completamente il mondo per quattro anni con una violenza inimmaginabile precedentemente.

Storia di famigliaMio nonno materno ha vissuto due anni di prigionia russa (1914-1916) optando poi per la cittadinanza italiana, visto che la sua famiglia, residente a Capriva, la linea del fronte quindi, era stata evacuata dagli italiani in Emila a Mirandola (Modena). Per inciso, i due anni trascorsi nella profuganza mirandolese sono stati ricordati sempre con grande positività e riconoscenza dai caprivesi che avevano vissuto quest’esperienza. Durante la prigionia russa “nono Toni” ha arrotondato la diaria di prigioniero lavorando come giardiniere e quindi aiutando un barbiere ebreo a Kiev.Suscita immensa meraviglia per me, abituata fin da bambina a spostarmi tra lingue diverse, come questo nonno praticamente esclusivamente friulanofono sia riuscito ad organizzarsi così bene in un mondo che non aveva alcun addentellato con il suo, immagino però che l’istinto di sopravvivenza abbia potuto fare miracoli! Nono Toni ha fatto parte di coloro che hanno scelto l’offerta dei funzionari italiani di opzione per l’Italia e quindi ha potuto rivedere la sua famiglia già nel 1916, partendo dal porto di Arcangelo sul Mar Bianco, costeggiando la penisola scandinava, attraversando poi la Gran Bretagna e la Francia.Alla fine della guerra i miei nonni materni sono tornati a Capriva e alla cura dei loro campi.Diverso è stato il destino di mio nonno paterno, Rodolfo Alt, che vedete in foto. La prigionia (come nel caso di tutti gli austriaci del Litorale) nel suo caso è durata quattro anni, attraversando non solo la Russia e la Cina e tornando via Stati Uniti, ma anche i rivolgimenti politici e sociali che hanno cambiato completamente la storia di quei due enormi paesi e del mondo.I miei nonni paterni si erano sposati nel 1914: il loro piano di vita era quello di rimanere a Gorizia (questo nonno era tranviere). Non so come abbiano potuto rimanere fedeli a questo proposito, tornati in una città devastata dalle cannonate italiane e snaturata dalla violenza del Fascismo di frontiera, dove hanno dovuto cambiare persino l’identità – come tantissimi altri – per evitare, nel loro caso, semplicemente ripercussioni sul lavoro, essenziale per rimanere a Gorizia.Mio padre è cresciuto però serenamente in via Goldoni, trovandovi gli amici di una vita e passando a me, indirettamente, lo stimolo ad indagare sulla storia dei loro dirimpettai, la famiglia di Attilio Morpurgo, l’ultimo presidente della comunità ebraica di Gorizia. Andrea Morpurgo, pronipote di Attilio, architetto a Madrid, mi ha cercata per ringraziarmi per tutto quanto ho fatto per la storia della comunità ebraica goriziana.Buona parte della famiglia Alt-Altieri è invece emigrata tra gli anni Venti e Trenta, scegliendo la Francia o l’Argentina. Un fratello di mia nonna materna, Luigi Tirel, partito ventiduenne per la Galizia, è tornato entusiasta degli ideali della rivoluzione comunista e quindi ha trovato ovvio aderire al partito comunista. Nel 1928 il podestà di Capriva lo ha invitato caldamente ad andarsene il più lontano possibile, procurandogli, come allora consuetudine per gli tutti gli indesiderati politici, il passaporto e visto per l’Australia. È morto in tarda età a Brisbane dove, finalmente in pensione, ha voluto rinfrescare il suo tedesco, avvalendosi dell’offerta “life long learning” ovvia per i paesi del Commonwealth. “But why, Mr.Tirel, lei è italiano e parla il tedesco?” gli ha chiesto la sua sbalorditissima insegnante.Il museo della guerra della città di Przemysl non si occupa solo della cronaca delle due guerre mondiali che hanno sconvolto quella bella città, ma cerca di avvicinare i bambini e i ragazzi alla sua storia con una (per quanto ho potuto sapere) simpatica attività creativa per far loro conoscere il passato multinazionale, multietnico e multireligioso della città in cui ora vivono, e tutto ciò in modo decisamente oggettivo.È un’ottima idea che potrebbe essere utile anche nelle “province redente” perché senza un’identità chiara e salda non si può costruire il futuro.