Il Natale a Gorizia nei ricordi di Anton von Mailly

Anton von Mailly è una figura poco conosciuta di etnografo e scrittore goriziano di lingua tedesca. Nacque a Gorizia nel 1874. Il padre discendeva dalla famiglia francese dei conti Chaurand de Mailly St. Eustache, che dopo gli eventi della rivoluzione aveva riparato a Gorizia. La nonna paterna era invece Maria Macorig di Brazzano, dalla quale Anton prese la passione per le leggende e i racconti popolari. La madre Leopoldina era invece slovena, discendente della famiglia nobile von Premerstein (Premrl) di Vipacco, ma nata a Gorizia. Anton von Mailly (come in genere si firmava) divenne alto funzionario della dogana austroungarica a Trieste, sino al proprio definitivo trasferimento a Vienna nel 1900, con il quale lasciò per sempre la natia Gorizia. Carattere schivo e solitario, visse in modo appartato, raccogliendo meticolosamente materiale etnografico soprattutto sul Friuli, le Alpi Giulie, Gorizia. Morì in solitudine a Vienna nel 1950. Il suo imponente lascito di scritti storici ed etnografici, che consta di oltre diecimila fogli manoscritti, è conservato presso il Wiener Stadt- und Landesarchiv. Nel 1990 e successivamente nel 2004 fu pubblicato, tradotto dal tedesco in italiano da Hans Kitzmüller, il suo libro Ricordi goriziani. È un libro di memorie personali, legate all’infanzia, che dischiude con una prosa avvincente e a tratti nostalgica una vera e propria miniera di piccole e grandi storie legate a Gorizia, con un’attenzione particolare per le antiche usanze, le leggende e i racconti popolari. Da queste memorie si riprendono qui alcuni passi che riguardano le consuetudini natalizie della Gorizia di più di un secolo fa. Von Mailly parla innanzitutto dell’antica consuetudine della Messa dello Spadone nella cattedrale di Gorizia, scomparsa ormai da vari decenni ma riproposta ancor oggi a Cividale nella solennità dell’Epifania. Lasciamo la parola all’autore:”Un rito ormai dimenticato è quello assai singolare, dal punto di vista liturgico, della benedizione con lo spadone che in passato veniva praticata nel Duomo di Aquileia. Durante la messa di Natale infatti un canonico con lo spadone sguainato nella destra leggeva il vangelo di Matteo (I, 18-25) sulla nascita del Redentore. Ed ecco che arrivava il grande momento solenne! Alle parole “Exiit edictum!” il canonico avanzava sino alla balaustra del coro e con la spada faceva sopra le teste dei fedeli il segno della croce nell’aria. L’uso di annunciare la nascita del Cristo brandendo lo spadone nel Duomo di Gorizia viene fatto risalire anche da alcuni storici a un fatto di guerra avvenuto in epoca patriarcale nel medioevo nella Notte Santa del 1340, mentre l’unica interpretazione esatta di questa antichissima cerimonia si è conservata ancora nella tradizione popolare e si può peraltro anche documentare storicamente. In riferimento all’arrivo del Redentore del mondo il canonico con il movimento della spada in segno di croce diffonde simbolicamente la fede cristiana a tutto l’orbe terrestre. “Taja il mond!” mormorava il popolo tra sé a quell’atto sublime e si faceva il segno della croce con la più profonda umiltà. Avendo nell’anno 1340 i conti di Gorizia assalito Georgius di Duino, vassallo del patriarca di Aquileia, la loro ulteriore avanzata indusse il Patriarcato a fare una spedizione contro il castello di Gorizia. Il patriarca Bertrand de Saint Ginnes conquistò quindi ben presto Cormòns e avanzò proprio la sera della vigilia di Natale sino alle porte di Gorizia. Poiché venne un gran freddo egli dovette rinunciare all’assedio del castello, ma preoccupato per un eventuale assalto non abbandonò le sue truppe la notte di Natale e celebrò la messa di Natale nell’accampamento con l’armatura completa sotto i paramenti sacri assistito dall’abate di Moggio. Un canonico in equipaggiamento militare lesse con la spada sguainata il vangelo di Matteo sulla nascita del Cristo e fece con l’arma il segno della croce davanti alla schiera riunita di guerrieri. Si tramanda inoltre che in ricordo di questo memorabile episodio i Patriarchi di Aquileia da allora ogni anno apparissero alla messa di Natale con armatura completa cotto i paramenti sacri e che un canonico impartisse la benedizione con la spada. Dopo la fine del Patriarcato di Aquileia la cerimonia dello spadone venne ereditata dal duomo di Gorizia, da quello di Udine e da quello di Cividale”. Qui l’autore si sofferma ancora sull’interpretazione storica di questo rito, riconducendolo al simbolismo politico della spada, che significava il potere temporale dei patriarchi di Aquileia, piuttosto che all’evento storico narrato.La narrazione di von Mailly prosegue con i suoi ricordi d’infanzia della notte di Natale a Gorizia, attraverso i quali vengono descritte antiche usanze quasi del tutto scomparse. Così racconta: “Nella vecchia Gorizia si usava portare, dopo la fumigazione delle stanze, il Santo Bambino alla Madonna seduta nella grotta di Betlemme del presepe. Di regola vi provvedeva il sacerdote. Si intonavano vecchi canti di Natale, arie che venivano suonate sulla spinetta ancora ai tempi della nonna. Dopo aver recitato le devozioni davanti al presepe, ci si recava alla messa di mezzanotte, un romantico percorso che in quella piccola città diventava un’escursione avventurosa e emozionante per quelli che durante tutto l’anno conoscevano soltanto la vita quotidiana. Un cupo e pesante rintocco di campana risuonava nella notte invernale e in trepida attesa con un presentimento di felicità si varcava la porta del Duomo. L’ingresso del principe arcivescovo nel Duomo veniva annunciato con squilli di tromba e una schiera di musici e cantori scelti eseguiva le messe di maestri immortali. Secondo un antico costume il principe della chiesa provvedeva a far venire rinomati predicatori nel periodo di passione e le celebrazioni nella settimana Santa, a Natale e la sera di Capodanno erano fra le più splendide della vecchia città dei conti di Gorizia. La messa di mezzanotte veniva celebrata dal principe arcivescovo. Con la spada incensata e spruzzata d’acqua santa nella destra, era tradizione che un canonico leggesse il Vangelo. La folla di fedeli si accalcava e si spingeva in avanti per assistere al momento culminante: quello in cui appunto il canonico dalla balaustra del presbiterio faceva il segno della croce sopra le teste dei fedeli con la spada. Dal coro si intonava la antica Pastorella, che merita di essere ricordata perché si è conservata come ultimo residuo delle rappresentazioni sacre medievali che si svolgevano nella chiesa. Quella della benedizione con la spada la notte di Natale era senz’altro la cerimonia ecclesiastica più notevole di Gorizia, un atto simbolico, che si era conservato ancora soltanto in questa città. Ogni Goriziano doveva assistere almeno una volta nella sua vita a questa cerimonia, così come era un obbligo partecipare alle solenni celebrazioni per la resurrezione il Sabato Santo. Secondo un’antica tradizione le famiglie, la sera della vigilia di Natale, si riunivano nei loro soggiorni. Chi non faceva l’albero, introdotto dai paesi del nord, si limitava a tirare fuori il vecchio presepio e ad illuminarlo con candeline di cera colorate. In tempi più remoti la nobiltà faceva rappresentare in teatri appositi scene del presepio, vere e proprie rappresentazioni sacre o scene viventi, e io mi ricordo di aver assistito ad uno di questi spettacoli religiosi nel palazzo del conte Coronini. Quello doveva essere stato probabilmente l’ultima grande messa in scena del presepe a Gorizia. I presepi piccoli sistemati in una custodia di vetro erano perlopiù pezzi ereditati in famiglia ed erano molto antichi. I bambini delle famiglie meno abbienti solevano illuminare il loro modesto presepio nel corridoio della casa. Poi si cantava il canto dei pastori, la Pastorella. Ancora qualche decennio fa, nelle case patrizie per la festa del presepe veniva in veniva invitato un monaco o un religioso amico. Dopo la cena che era costituita da pietanze, piatti magri e da dolci natalizi preparati all’occasione (struccoli, straube, ravioli, cappuccini, mele in camicia), la padrona di casa sorprendeva gli ospiti con un profumato “Grochetto” (dall’inglese “grog”), in una serena atmosfera si giocava poi a tombola, a domino e a carte oppure si rispolveravano divertenti storie dei bei tempi andati in attesa delle undici o delle dodici per procedere all’adorazione del presepe. Sottecchi le ragazze svicolavano in cucina dove facevano scivolare il piombo fuso nella caldaia affinché il metallo liquido rivelasse loro i segreti più intimi dell’anima e del futuro. Poi innalzavano lo sguardo per studiare il cielo notturno invernale trapuntato di stelle. In un angolo della sala la vecchia zia raccontava ai bambini le ultime fiabe di Natale sino a quando essi si addormentavano stanchi sul grembo sognando di Gesù Bambino che dopo aver camminato nella neve si fermava a guardare dentro nelle loro camerette attraverso la finestra. Quanto più la lancetta delle ore si avvicinava alla mezzanotte, tanto più profondo si faceva il silenzio attorno al tavolo così da avvertire quasi soltanto il discreto frusciante sussurro delle fiammelle del lampadario sovrastante”.Così si concludono i ricordi natalizi di Anton von Mailly. È bello riproporli oggi ai lettori con l’augurio di un sereno Santo Natale.