Attraverso i “Riflessi” della storia

Un autoritratto non è solo autoesaminazione dell’artista; attraverso esso infatti possiamo comprendere le epoche, le mode, la storia, l’evoluzione dell’uomo e della società.Questo percorso nel tempo sarà possibile, fino al 2 ottobre, a Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia con “Riflessi. Autoritratti nello specchio della storia”, progetto espositivo a cura di Johannes Ramharter e Raffaella Sgubin con la collaborazione di Lorenzo Michelli e Vanja Strukelj.Il nuovo allestimento espositivo è composto da quasi settanta opere, di cui la maggior parte provenienti da prestigiose istituzioni austriache – come il Belvedere di Vienna – dedicate al ritratto e all’autoritratto nella pittura.

Quattro mostre, un temaLa mostra si inserisce nel più ampio progetto espositivo focalizzato sul tema dell’autoritratto e del ritratto d’artista promosso e sviluppato da ERPAC – Ente regionale per il Patrimonio culturale sul territorio del Friuli Venezia Giulia: a Trieste al Magazzino delle Idee con la mostra fotografica “Io, lei, l’altra. Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste”, a Gradisca d’Isonzo presso la Galleria Regionale d’arte contemporanea Luigi Spazzapan con la mostra “Artista+artista. Visioni contemporanee” e ora anche Gorizia.A queste si aggiungerà, in giugno al Museo Revoltella di Trieste, “Attraverso il volto”, una selezione della prestigiosa collezione di autoritratti del museo.Le quattro mostre, complessivamente, intendono interrogare gli artisti, protagonisti dell’arte, cercando di dare voce alle loro ambizioni, alle loro illusioni, alle loro tragiche sconfitte: vogliono guardare l’”Artista” con gli occhi degli “artisti”, coglierne l’immagine, nella sua dimensione “mitica”, attraverso la sua proiezione in ritratti e autoritratti.Le opere proposte da “Riflessi. Autoritratti nello specchio della storia” delineano un percorso in otto sezioni, che si sviluppa su un arco cronologico che va dalla metà Cinquecento al contemporaneo. Proprio questa prospettiva storica ad ampio raggio consente di mettere in luce la forza di modelli iconografici che vengono riproposti nei secoli, ma anche le profonde trasformazioni che si celano dietro, a volte, anche piccole varianti.

Il percorso espositivoLa mostra si apre, con le prime due sale, in un percorso che è stato definito anche “dal Vasari al contemporaneo”, presentando il tema dell’autoritratto in differenti contesti storico culturali, segnalando al visitatore lo strettissimo legame che il ritratto d’artista ha con il dibattito teorico sulle arti, la storiografia, il collezionismo, l’istituzione accademica, in un processo che vede l’artista progressivamente emanciparsi dal ruolo di artigiano e affermarsi come intellettuale, uomo di corte, gentiluomo.La terza sala porta il visitatore dentro l’atelier, lo studio, lo spazio del lavoro, che si conferma teatro di una “messa in scena” in cui si mettono in gioco, di volta in volta, il prestigio dell’arte, il rapporto con la committenza o il nuovo pubblico borghese, la stessa concezione della pittura e della scultura.Con la sezione dedicata all’Osservatore, si entra nel vivo del “dispositivo” dell’autoritratto, in cui il gioco degli sguardi diventa centrale: quello del pittore che si guarda allo specchio, del “ritrattato” che guarda lo spettatore o altrove, in un complesso e ambiguo meccanismo che pone al centro la stessa questione della “visione”. Lo splendido autoritratto di Federico Barocci del 1600 circa, con il volto in primissimo piano e lo sguardo fisso sull’interlocutore, si conferma un modello di riferimento di grande forza ed efficacia.Vero cuore della mostra è la parte dedicata all’autoritratto come autorappresentazione con una serie di straordinari capolavori, primo fra tutti l’Autoritratto di Goya del Belvedere di Vienna, in cui il pittore spagnolo si ritrae con il cilindro “borghese” e una forte caratterizzazione espressiva, rifuggendo ogni idealizzazione. Tra le altre opere, l’autoritratto del 1828 di Ferdinand Georg Waldmüller dialoga perfettamente con l’”Autoritratto con il fratello Francesco” di Giuseppe Tominz, una delle opere più significative della Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia.La mostra diventa anche l’occasione per mettere in luce gli strettissimi legami della cultura visiva del territorio del Friuli Venezia Giulia con gli esiti della ricerca austriaca e viennese, con relazioni e scambi che si intensificano nei primi decenni del Novecento e vanno ben al di là della caduta dell’impero austro-ungarico.Ne è esempio la formazione viennese di Timmel, qui presente con un autoritratto del 1910 proveniente dal Museo Revoltella di Trieste.La generazione di artisti triestini che opera nei primi decenni del secolo, fortemente marcata dall’interesse per la psicanalisi, guarda alla cultura viennese fino a tutti gli anni Trenta.In questo clima il tema del travestimento diventa centrale: Maschere (1930) di Cesare Sofianopulo interpreta quasi come un manifesto tale scomposizione caleidoscopica dell’identità. La sezione dedicata a questo aspetto offre una casistica interessante dell’attitudine degli artisti a interpretare ruoli “teatrali” differenti, dal pellegrino al calzolaio, fino al clown, giocando progressivamente nel Novecento sul ribaltamento dei ruoli e sull’ambiguità.Gli artisti si raffigurano spesso anche in famiglia o in ritratti di gruppo e queste rappresentazioni, al di là della loro carica affettiva, parlano di una rete di rapporti artistici e intellettuali: la sala dedicata ad Anton Zoran Muši¤, con gli autoritratti dell’artista accanto a quelli del suocero Guido Cadorin e della moglie Ida Barbarigo, vuole far riflettere il visitatore sulla ricchezza di questi interscambi, ma soprattutto proiettarlo nel progetto futuro di Nova Gorica/Gorizia 2025.Il percorso si chiude con un dipinto di forte impatto, “Imperial Elke”, del 1999, di Elke Krystufek, in cui l’artista viennese si ritrae mentre si osserva allo specchio scattando una foto con il cellulare: un quadro che apre a urgenti e stimolanti riflessioni.Un racconto, quello presentato nella mostra, e sviluppato nel progetto di ERPAC sulle varie sedi espositive, che intende sollecitare nel visitatore interrogativi, mettere in guardia dalle insidie degli stereotipi, in un continuo rapporto tra passato e presente, tra la storia e la contemporaneità.Perché è lo stesso “dispositivo” dell’autoritratto, nel suo gioco di specchi e di sguardi, che costringe lo spettatore ad andare al di là della superficie dell’immagine e a coglierne la stratificata complessità.