Prospettive e interrogativi sul dialogo interreligioso

Venerdì 15 novembre in sala Romana ad Aquileia è iniziato un percorso di riflessione e confronto sul dialogo interreligioso: il biblista Santi Grasso ha affrontato la questione proponendo testi dell’Antico Testamento mentre l’analisi relativa al Nuovo Testamento costituirà oggetto di un prossimo incontro; il teologo Federico Grosso ha proposto una chiara e sistematica sintesi dell’evoluzione di posizioni teologiche per arrivare a problemi tuttora aperti e dibattuti.Il dialogo interreligioso, ha esordito Santi Grasso, fino a una trentina di anni fa era ancora una questione riservata agli addetti ai lavori, mentre oggi, in un contesto multiculturale, riguarda tutti.Dal punto di vista biblico, l’interrogativo cruciale è se nell’A.T. ci siano elementi tali da sostenere questa prospettiva. Se è vero che in Dt 6, 4, sta scritto: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore”, è anche vero che, nei diversi libri del Pentateuco, Dio, prima di assumere la fisionomia definita di Jahvè, si manifesta con molti e diversi nomi, facendoci intravedere un processo di confluenza di varie divinità in un unico Dio, che comunque continua a mantenere molte identità in una personalità complessa. In Nm 22-24, si racconta che, quando il popolo di Israele arriva nella Terra Promessa, Moab si spaventa e il re Balak invia messaggeri all’indovino Balaam per chiedergli di maledire Israele in modo da poterlo sconfiggere. Balaam interpella Dio che gli ordina di benedire Israele e, nonostante l’insistenza e le minacce di Balak, l’indovino obbedisce non al re ma al Signore perché “lo spirito di Dio fu sopra di lui”. Sopra di lui, un “pagano”.  Il libro di Isaia ci offre visioni di tipo universalistico, in cui al monte del tempio del Signore “affluiranno tutte le genti” ed effetto di questo convenire insieme sarà la pace (2, 1-5), e una prospettiva escatologica di salvezza per tutti i popoli, rappresentata dal banchetto “di grasse vivande” e “di vini eccellenti” (25, 6-10). Ancora, in Isaia 45, Dio si rivela a Ciro, re di Persia, investendolo di una missione di salvezza: “io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca”. Il libro della Sapienza, figura femminile quasi deificata, è espressione non del mondo israelitico ma della cultura ellenistica: Israele, incorporando concezioni e riflessioni esterne alla sua tradizione, riconosce che la sapienza appartiene a tutti i popoli.Quali conclusioni trarre da questa necessariamente breve selezione di testi biblici? Nell’A.T., come nelle altre tradizioni religiose, sono riconoscibili processi di assimilazione di elementi provenienti da altre culture; in particolare c’è stata un’identificazione di divinità di altre religioni con Jahvè. Se confrontiamo i testi fondativi di diverse religioni individuando gli aspetti essenziali, potremo trovare molti elementi comuni. Nel contesto di quella che oggi viene percepita come crisi del cristianesimo, il confronto con altre religioni può produrre per tutti un effetto di illuminazione, aiutandoci a comprendere la relatività storica dei linguaggi e delle categorie con cui sempre imperfettamente tentiamo di esprimere l’esperienza di Dio. Ineffabile per definizione.Don Santi ha concluso il suo intervento con una domanda che rinvia al prossimo incontro (previsto fra febbraio e marzo 2020) sul Nuovo Testamento: le altre religioni potrebbero contenere la dimensione cristica?Federico Grosso ha iniziato la sua relazione ponendo alcune questioni previe: anzitutto, perché il dialogo? Se è vero che tutti riconosciamo motivazioni di tipo antropologico, sociologico e politico, la questione dirimente è se ci sia anche un fondamento teologico, in altri termini, se il dialogo abbia a che fare con la stessa fisionomia cristiana. Essendo la dimensione dialogica intrinseca alla fisionomia di Gesù e di Dio (Lettera agli Ebrei), il cristiano non può che essere persona di dialogo: nella prima lettera di Pietro vengono indicati sia il compito (dare ragione della speranza che è in noi) sia lo stile (con dolcezza e rispetto). Le variegate linee di approccio al dialogo interreligioso dal punto di vista cristiano possono essere ricondotte a tre grandi paradigmi, che, pur evidenziando un’evoluzione teologico-dottrinale nel corso dei tempi, sono tuttora compresenti nell’articolato mondo cristiano:a. Esclusivismo: sintetizzato dal detto “Extra ecclesiam nulla salus” in rapporto alla concezione che in Gesù Cristo la rivelazione di Dio abbia trovato il suo definitivo compimento.b. Inclusivismo: la rivelazione cristiana è sintesi e compimento dei “semina Verbi” presenti in altre religioni (LG 16).c. Pluralismo: il cristianesimo è una delle tante rivelazioni di Dio destinate tutte a ritrovarsi nella dimensione escatologica. Si tratta di una galassia di approcci teologici anche molto diversi fra loro che hanno spesso innescato reazioni critiche con accuse di relativismo e sincretismo.  Il problema teologico evidentemente non è il pluralismo religioso, che costituisce un dato di fatto, ma la concezione per cui ogni religione può costituire una via di salvezza, frutto di un disegno provvidenziale di Dio. Le questioni che in tal modo si pongono alla teologia cristiana sono rilevanti: dobbiamo semplicemente eliminare tutta  l’eredità dottrinale e morale del passato?Se quello della salvezza è l’aspetto fondante dal punto di vista dell’epistemologia teologica, anche le proposte di tipo metodologico suscitano interrogativi di non facile soluzione. Hans Küng scriveva: “Non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni. non c’è dialogo tra le religioni senza una ricerca sui fondamenti delle religioni”. Si tratterebbe quindi di privilegiare un approccio induttivo-ermeneutico rispetto alla deduzione da principi a priori, partendo dal fenomeno religioso come si presenta nella vita e nella storia. Secondo p. Dupuis, uno dei maggiori teologi del pluralismo, l’enciclica Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II offre una nuova prospettiva per il dialogo interreligioso considerato come parte integrante della missione della Chiesa, anche se la missione non coincide con il dialogo. Si tratta di passare, in coerenza con l’annuncio evangelico, da una visione ecclesiocentrica ad una regnocentrica; come scrive Dupuis:  “Il Regno di Dio, dunque, è la realtà universale della salvezza in Gesù Cristo presente dappertutto nel mondo ben al di là dei confini del cristianesimo e della Chiesa”.  Quale relazione allora fra dialogo e annuncio? Don Federico ha proposto tre aspetti: apertura alla dimensione di fede dei credenti di altre religioni; conversione come continua ricerca di una verità più grande di tutte le religioni; chiamata al discepolato di Cristo nella Chiesa. Infine, in un richiamo alla prassi, ha concluso, con riferimento a Küng, che il punto di incontro di tutte le religioni è l’uomo, l’umanizzazione della vita come compimento e felicità, lasciandoci però con una domanda cruciale, che sovverte ogni facile irenismo: qual è l’idea di uomo e di felicità?Interrogativi quelli posti sia da don Santi sia da don Federico che faranno da sfondo ai lavori di gruppo previsti per venerdì prossimo alle 17.30 sempre in sala Romana ad Aquileia, dove tutti sono invitati a portare il proprio contributo di proposte, di dubbi, di istanze esistenziali e/o religiose.