Lavorare per la pace, con la testa ed il cuore

“La guerra è una follia” detto con forza da papa Francesco nella sua visita il 13 settembre 2014 al sacrario di Redipuglia – da lui sempre citato come cimitero – è anche il titolo del libro curato dal nostro arcivescovo mons. Carlo Redaelli, presentato nella sala Cocolin del Liceo linguistico “Paolino d’Aquileia” in un incontro moderato da Mauro Ungaro. Il volume, edito dalla Libreria editoriale vaticana, contiene la lettera del vescovo Carlo scrisse in occasione dell’inizio della prima guerra mondiale, il suo intervento a Monte Santo durante la cerimonia nel novembre 2014 per ricordare l’arcivescovo Francesco Borgia Sedej, l’omelia dello stesso vescovo Carlo in occasione del Natale 2017, l’omelia di papa Francesco a Redipuglia, la lectio magistralis tenuta dal cardine Paolo Parolin ad Aquileia il 12 luglio del 2018 e, infine, un saggio di Ivan Portelli sulla figura di monsignor Francesco Borgia Sedej, vescovo di Gorizia dal 1016 al 1931. In questi interventi si coglie il ruolo che ha avuto la Santa Sede ed anche Chiesa locale durante il primo conflitto mondiale.Ruoli che sono emersi anche durante la presentazione goriziana del libro, in particolare da monsignor Domenico Apeciti, rettore del Pontificio seminario lombardo di Roma e consulente della Congregazione per le cause dei santi e della Congregazione per il clero. Apeciti si è lungamente soffermato sulla figura di papa Benedetto XV, il papa che durante il suo pontificato – iniziò un mese e mezzo dopo l’inizio della guerra – si adoperò per porre termine al conflitto, che vedeva l’una contro l’altra nazioni cattoliche (Francia e Italia da una parte, Austria-Ungheria dall’altra) e che è conosciuto per  quella lettera  che 1° agosto inviò a tutte la Nazioni belligeranti in cui definì la guerra “Un’inutile strage”. Ma quella conteneva molto di più di un pur pesante giudizio sulla guerra, si elencavano concrete proposte ai belligeranti per far tacere le armi. O non ricevette risposta o chi fu contrario come il presidente degli Usa Wilson, nonostante poi i suoi 14 punti presentate a fine guerra si avvicinassero molto alle proposte di papa Ratti. La Santa Sede pagava il suo isolamento diplomatico tanto che l’Italia aveva fatto inserire nel patto di Londra la sua esclusione dalle trattative di pace come poi avvenne tanto che il delegato pontificio, inviato ugualmente dal papa a Parigi, sostava  nell’anticamera della aula dove si tenevano le trattative.Sul ruolo dell’arcivescovo Sedej in un  periodo complesso come fu quello della guerra, dove la diocesi fu divisa in due e privata di molto sacerdoti, è stata tratteggiata da Ivan Portelli, storico e presidente dell’Istituto di storia sociale e religiosa. Va detto che Sedej fu uomo del suo tempo, legato per cultura e storia alla monarchia austro-ungarica di cui difese la scelta di  scendere in guerra come fecero allora molti vescovi tedeschi e austriaci. Ebbe parole dure nei confronti dell’esercito italiano, ma terminata la guerra fu molto programmatico per salvare e tenere unito il proprio gregge invitando i sacerdoti alla cautela e alla moderazione. Il giornalista di Avvenire Riccardo Maccioni si  soffermato su tematiche  attuali come oggi il mondo dell’informazione segue il papato di Francesco, non immune da attacchi molti pesanti che gli provengono anche da una certa parte del mondi cattolico. Papa Francesco non lesina l’incontro con il mondo dell’informazione, anzi lo sollecita. Centinaia sono le interviste che lui rilascia, anche a piccole emittenti o giornali. Non si sottrae alle domande, anzi le provoca  come fa  durante i suoi numerosi viaggi. La conclusione è spettata a monsignor Redaelli che ha sottolineato che l’insegnamento che ci viene dalla prima guerra mondiale, con tanti suoi morti, distruzioni e divisioni tra gli uomini, è quello che bisogna lavorare per la pace con la testa e il cuore.