La carità genera la cultura del dono

A conclusione del 41° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, ha tracciato alcune piste di lavoro comune, sottolineando nel suo intervento che “una carità che vuole esprimere, plasmare e veicolare una buona cultura lo può fare solo se produce cambiamento. Nella consapevolezza che, oggi più di ieri, la cultura, le culture, sono mutevoli, porose, permeabili, cambiano dinamicamente e velocemente, in Italia e in Europa, all’interno di un contesto globale che le condiziona e le trasforma in continuazione. Ecco che anche la nostra carità non può che essere dinamica, innovativa, attenta ai cambiamenti culturali, ai nuovi fenomeni”. Don Soddu ha inoltre messo in guardia dal “rischio di una cultura della carità che si riduca unicamente ad esercitazione accademica”, tanto più evidente là dove la Parola di Dio, “il Vangelo di Gesù Cristo non riesce a tradursi in vita concreta nelle relazioni quotidiane” e “nella misura in cui non avviene la tessitura o il semplice collegamento tra fede e vita, il Vangelo non riesce neanche ad assumere le caratteristiche di cultura accademica; esso finisce per diventare come quella semente caduta sui sassi, di cui nella parabola evangelica”.”La carità genera la cultura del dono” e “il dono più grande consiste nella restituzione della dignità della persona”: in questa prospettiva “è Dio stesso che nei fatti, nei volti, negli avvenimenti invita al cambiamento e alla missione, provoca le nostre comunità, incoraggiandole ad uscire da abitudini, cliché, stereotipi, per abitare i crocevia cogliendo fragilità e contraddizioni e riannodare un tessuto comunitario spesso lacerato, logoro, conflittuale”.  Per far ciò, secondo le parole del Direttore di Caritas Italiana, occorre una carità interna, coerente cioè con una testimonianza personale e di comunità; concreta, con buone opere che esprimano tutta la cura per la dignità umana; politica, con la P maiuscola, che persegua il bene comune, la giustizia sociale, la pace, lo sviluppo “di tutti gli uomini e di tutto l’uomo”; ecologica, un’ecologia integrale che non separa l’uomo dalla sua casa comune; europea, che si apra al nostro continente almeno come primo passo verso il mondo intero; educativa, pedagogica. “Tutto questo – ha aggiunto don Soddu – per noi oggi potrebbe quasi tradursi in un una sorta di mandato ad essere artisti di carità, attingendo dalla cultura cristiana del servizio, partendo dal cambiamento di sé per giungere ad un cambiamento della società”. L’attualità dello statuto della Caritas consegna un mandato di lobby e advocacy, nella forma e nei limiti della ricerca del bene comune. La carità non è sindacalismo, non è un partito, né un movimento e non si limita alla denuncia ma punta ad una nuova cultura e come tale va comunicata adeguatamente in un mondo che cambia, come il Vangelo. La carità deve essere stile di vita.Il Direttore ha poi sintetizzato gli spunti emersi dai sette tavoli di confronto, definiti simbolicamente “sassi di carità” con cui cercare di costruire concretamente delle piste operative, un cammino verso una cultura di carità. In particolare i direttori delle Caritas diocesane, nei laboratori a essi riservati, hanno riflettuto e discusso intorno a due temi: una Chiesa che continua ad accogliere lo straniero e l’impegno della Chiesa contro povertà e disuguaglianze per individuare e suggerire riflessioni che possano essere per la Caritas in Italia orientamenti strategici per la sua azione educativa e pedagogica. Gli operatori e membri delle équipe, in continuità con la finalità dei lavori dei direttori, hanno invece avuto il compito di delineare gli elementi essenziali e trasferibili che non devono mancare affinché un’azione Caritas sia generatrice di cultura. A tale scopo, sono stati identificati 4 raggruppamenti tematici – “cluster” culturali – in relazione all’azione della Caritas e trasversali, dunque, a qualunque tematica e/o destinatari: lo sviluppo e l’animazione della comunità; la qualità pastorale delle opere/servizi segno; la costruzione di reti e collaborazioni territoriali; la formazione degli operatori e della comunità.Dai tavoli di confronto è emerso dunque che l’agire della Caritas ha una base solida nella sua identità e nella sua funzione pedagogica che è però “agevolmente lavorabile” perché adeguata ai tempi e ai bisogni. L’agire della Caritas ha altresì “una funzione sociale, funzione che richiama il concetto di vicinato, che è il suo stare tra le persone, nella comunità e nel territorio con i valori dei quali è latrice”. Con riferimento al titolo del convegno, Carità è Cultura, sono inoltre emerse sia dai direttori che dagli operatori alcune considerazioni trasversali che contengono allo stesso tempo sfide e prospettive di lavoro futuro: la comunicazione, nella sua accezione di “narrazione”, tempestiva e capillare, che sa raccontare le storie delle persone e delle comunità, riscoprendo l’umanità, i volti e rimettendo l’uomo e la persona al centro per aiutare le comunità a leggere i fenomeni; la formazione come elemento permanente per contrastare forme di “contro cultura” e forme di cultura contraria all’uomo (cultura dello scarto, dell’illegalità, del lavoro nero, ecc…); le collaborazioni territoriali con lo stile delle alleanze e della sussidiarietà per favorire lo sviluppo di comunità; il potenziamento della ricerca come capacità di leggere i fenomeni con la finalità di conoscere meglio ciò che accade e per rilevare i bisogni del territorio; la costruzione di “una pastorale delle domande, piuttosto che delle risposte, ovvero privilegiare la consapevolezza della complessità dei temi e della necessità di maturare una coscienza nella scelta, piuttosto che affidarsi a risposte predefinite per essere porti (a doppio senso di marcia), ponti e fari”.La dimensione pedagogica ed educante della Caritas per promuovere cultura infine, è stata altresì declinata “nella capacità che la Caritas stessa deve avere nel promuovere il “bello”, nel prospettare una visione della bellezza che sia positiva, che aiuti a lenire le ferite”. Le opere segno dovrebbero promuovere e avviare processi, come “opere seme”: in quest’ottica l’operatore è come il contadino che, avendo le radici nella terra, semina il campo, se ne prende cura lo nutre e a sua volta ne trae nutrimento. “Il contadino che coltiva il campo è colui che attraverso la carità germina cultura” conclude don Soddu. “Se autentiche, carità e cultura etimologicamente e semanticamente, diventano nella sostanza identiche, conducono allo stesso orizzonte. La cultura si fa carità e la carità si fa cultura. Carità è cultura, dunque. La condizione imprescindibile è però l’autenticità, la fedeltà al mandato, avere cura, avere caro. Tenerezza e misericordia. Carità”.