Il Vangelo come fondamento della propria esistenza

Don Ennio Tuni è stato per me un caro amico, oltre che, da sacerdote, guida spirituale e quindi verso di lui sento di avere più di qualche debito di riconoscenza. Incominciai a conoscerlo durante la mia presenza in Piazzutta, negli anni durante i quali mi occupavo dei ragazzi della parrocchia, come “delegato aspiranti”. Da parte sua seguiva soprattutto noi più grandi, i giovani dell’associazione di Azione Cattolica. Durante i nostri incontri c’intratteneva sulle questioni religiose delle quali ci interessavamo, nello stesso tempo curava la nostra vita spirituale. Dei suoi incontri mi è rimasto particolarmente presente uno, nel corso del quale ci presentò il Vangelo come fondamento della nostra esistenza: se il testo sacro riportava la vita e le parole del Signore dovevamo accoglierlo con estrema serietà, cercando di metterlo in pratica. Da allora ho cercato sempre di farlo, comprendendo sempre meglio e di più come la vita ha pieno senso solo nella sequela di Cristo.Don Ennio rimase con noi giovani di Piazzutta in ogni nostra impresa, sempre in coppia con don Cesco Plet, allora suo compagno di Seminario. Venne anche ad Ugovizza, nel campeggio: ho ancora la sua immagine di quando s’intratteneva nella lettura e nello studio sulle rive del torrente che scorreva vicino alla nostra residenza. Durante il campeggio don Ennio visse con me anche una vicenda particolare, indimenticabile, che si realizzò in occasione di una nostra esclusiva ascesa alla ricerca delle stelle alpine. Le avevano riportate in quantità i ragazzi saliti sull’Jof di Miezegnot, in quel giorno avevano realizzato l’uscita senza di noi. Il don ed io eravamo rimasti piuttosto male, ammirando ed invidiando i nostri fortunati amici. Decidemmo di rifarci: saremmo saliti a nostra volta sui Due Pizzi, cima gemella di quella raggiunta dai conquistatori delle stelle. La nostra fu un’ascensione ricca di affascinanti scenari, offerti dalla bellezza dei monti che ci circondavano, visti nell’alba di una splendida giornata. Diversi i discorsi che facemmo tra noi, sentite e riconoscenti le preghiere che recitammo nella suggestione di un assoluto silenzio, al cospetto dello spettacolo della natura. Tutto ciò ci fece sentire più vicini,  amici più che mai.Nel quotidiano invece, della nostra vita cittadina  lo andavo a trovare al Duomo dove fungeva da cappellano, a volte mi recavo anche a casa sua, in via Rabatta, dove abitava con sua madre. Qui m’impartì, da amichevole e benevolo maestro, alcune lezioni di greco: assieme a lui stavo preparando l’esame di riparazione, al quale ero stato rimandato. Era l’anno, il 1947, nel quale da studenti dei Salesiani passavamo alla scuola statale, dalla quinta ginnasio al liceo.Anche dopo la mia partenza da Gorizia per la nuova residenza di Sacile, rimasi costantemente in contatto con lui, c’incontravamo durante i miei rientri dagli amici goriziani. Così, quando nel 1956 la famiglia di colei che oggi è mia moglie si trasferì nella nostra città, ed io naturalmente mi occupavo  di lei, pensai subito di affidarla a don Ennio. Il don le fece conoscere le giovani del Duomo delle quali lui fungeva da assistente spirituale, Rosi ebbe in questo modo una  compagnia nella quale si trovò a pieno agio. Col tempo ebbe modo di conoscere meglio il don, che l’aiutò molto, sia spiritualmente che nelle difficoltà della nuova sistemazione. Adesso lo incontravo anche assieme a Rosi, rinsaldando con lui la nostra amicizia.  Nel 1957 venni chiamato alla leva militare e, per fortuna, il mio servizio ebbe luogo in una zona non molto distante da Gorizia. Così spesso vi tornavo, avendo la possibilità di fare visita alla mia futura metà. Se avevo bisogno di aiuto mi soccorreva don Ennio, che mi offriva ospitalità nella sua nuova residenza di fronte al Duomo. Nella circostanza collaborava fattivamente al soccorso nei miei riguardi anche il suo amico don Gigi Marcuzzi.L’amicizia col don si prolungò anche dopo il mio matrimonio, tanto che venne a trovarci anche a Rimini. Quando poi transitava per la stazione della città col treno dell’Unitalsi che si recava a Loreto, lo andavo a salutare, scambiando con lui le parole che ci permetteva la breve sosta. Fui inoltre ospite del nostro amico sacerdote anche con la mia famigliola, in due occasioni, entrambe per noi indimenticabili. Nella prima soggiornammo nel seminario minore, durante la seconda venimmo accolti nel seminario del centro. Sempre accuditi e seguiti dal nostro don, vicini a lui si rinnovava per me e mia moglie la passata amicizia, per i nostri figli si realizzava un incontro di simpatia e di cristiano apprendimento. Personalmente lo ebbi accanto anche in occasione della mia nomina nella commissione per la maturità del liceo scientifico goriziano. Ancora una volta fui suo ospite. La conoscenza e la presenza di don Ennio nella vita mia e di mia moglie rimane un punto di riferimento fondamentale per la nostra crescita umana e cristiana. Ci presentò un cristianesimo di valore, ben fondato sul pensiero, aperto, coraggioso, non conformista. C’indicò una fede che non sta lontana dal presente, dalla società e dai suoi problemi, dalla cultura, che non disdegna nemmeno l’impresa politica. Nella quale, come in qualsiasi impegno civico e sociale, il credente deve stare con competenza, ma anche con spirito cristiano. Comunque, secondo lui, di là di una vita di profonda e intensa fede, bisognava rimanere aperti al dialogo, pronti alla collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà. Quella sua fu perciò una testimonianza sacerdotale di pregio, in più il don goriziano a Rosi e a me offerse una grande e vera amicizia, vissuta  nella serenità e nella gioia, vivacizzata da una sua benevola e simpatica ironia, da sue parole in ogni momento appropriate e puntuali, alla fine soltanto “sussurrate”, ma sempre valide e ben accolte. Adesso don Ennio in questo mondo ci manca, ma nello spirito ci rimane vivo e presente.