“È esistito davvero un tempo senza internet?”

Quando lavoravamo insieme gomito a gomito erano altri tempi, tutta un’altra storia, un’altra realtà da vivere e da raccontare. E anche il giornalismo era diverso, ben lontano dall’ immaginare la rivoluzione dei computer, dell’iphone, dei social. E’ esistito davvero un tempo senza internet? Dove è finito il crepitio delle macchine da scrivere che interpretava, con il lavoro di due sole dita, prostrazioni e ardori delle redazioni? Tutto è cambiato? Beh, proprio tutto no. Il viaggio del giornalista è stato lungo e impegnativo, sul suo bagaglio i segni del tempo e delle battaglie. Nella valigia di don Renzo la fedeltà alla sua seconda vocazione.Era un giornalista di razza, uno che non nascondeva la notizia nella tasca della tonaca o si voltava dall’altra parte. Voleva sapere, conoscere, metteva il naso. Lo capimmo subito quando cominciò a frequentare la redazione del Messaggero Veneto di via Diaz e a condividere la nostra avventura quotidiana. Sacerdote-giornalista? Ci andava bene, nessun problema. Anche al clero andava bene? Erano altri tempi, il mondo cambiava. Sul giornale della diocesi non figuravano più i soli orari delle messe e le attività parrocchiali. Nella piccola e lontana Gorizia il settimanale dei preti “Voce isontina” sollevava questioni sociali, affrontava problemi del mondo del lavoro, parlava del divorzio.  In ambito ecclesiale era una novità assoluta, il giornale faceva il proprio mestiere. “Noi facciamo i giornalisti, altro non ci compete” rispose il direttore don Renzo al politico di fama che, in vista delle elezioni, chiedeva formalmente l’appoggio di Voce isontina alla sua causa. Ricordo la faccia del politico, il suo sguardo allibito lanciato verso l’arcivescovo che era lì presente e che per fortuna non fece una piega.S’indignava spesso e non lo nascondeva. Emergeva la sua anima bisiaca, dicevamo noi. Mesi fa a Ronchi, mentre mi parlava dei problemi del grande stabilimento navale di cui era diventato cappellano, ricordò  il giorno in cui ricevemmo una sonora strigliata per aver debordato nella cronaca di uno sciopero  che aveva portato  a Gorizia migliaia di cantierini in lotta per il contratto. C’era il sole ieri a Gorizia? La gente è andata a comprare carne e benzina in Jugoslavia ? Di queste cose dovete occuparvi, non dei cortei degli operai. E l’articolo in pagina era stato emarginato. Ricordi che rabbia?!  Aveva una bella memoria. Il destino, mi disse sorridendo, mi ha sempre tenuto legato al lavoro, agli operai.  Riuscivamo anche a rubargli qualche segreto. Una sua mezza parola consentì al Meridiano di Trieste, di cui eravamo collaboratori, di uscire con la notizia della nomina di mons. Cocolin ad amministratore apostolico della diocesi di San Giusto. Foto a colori in prima pagina,  storico scoop. Chi ha fatto la spia ? Don Renzo non si rese mai conto di essere stato lui, o forse lo sapeva benissimo. Quando  notizie o servizi oltrepassavano qualche linea di demarcazione e mettevano di cattivo umore, l’autorità ecclesiastica interveniva e tutto si appianava.Un collega, un amico. A quanti giornalisti è stato umanamente vicino ?Un forte legame lo univa a mons. Cocolin, il vescovo che nel pensiero e nella pastorale interpretava i venti nuovi usciti dal Concilio e che accompagnava con favore le scelte di apertura e di pace volute dai goriziani. Don Renzo ne ha fatto un libro e si è battuto a lungo perché Gorizia ricordasse in qualche modo la figura del presule che per ben 15 anni aveva operato al servizio della comunità. Alla fine, a mons. Cocolin è stato dedicato un angolo di giardino pubblico. Il giorno dell’inaugurazione, un attimo prima dello scoprimento, un’autorità cittadina si avvicinò all’orecchio di don Renzo e a bassa voce gli chiese “… ma era il nostro vescovo?”.Abbiamo ricordato piccole cose alla rinfusa, ben altro è stato l’impegno di don Renzo al servizio della professione giornalistica. Un intellettuale coraggioso, fedele alle proprie scelte, granitico nella coerenza.La realtà sociale, culturale e umana dell’Isontino era il suo campo d’azione, la direzione della rivista Iniziativa isontina la sua ultima rilevante testimonianza. Nella Gorizia degli anni Sessanta seppe schierarsi dalla parte del nuovo e diventare uno dei più convinti sostenitori del ruolo che la città si costruiva  in un travagliato angolo d’Europa. Non ha mai fatto sconti, e per questo ha dovuto anche amaramente pagare, sempre con dignità.Il giornalista don Renzo era dunque figlio della Gorizia che apriva i confini voltando le spalle al passato, di una città aperta all’accoglienza e all’integrazione. Quando muoveva i primi passi nella professione nascevano gli Incontri culturali mitteleuropei, Ungaretti pronunciava alte parole di pace, cori di tutto il mondo al concorso Seghizzi rallegravano il pigro ambiente cittadino, i goriziani si stupivano di incontrare, liberi, i degenti dell’ospedale psichiatrico dove Franco Basaglia portava avanti la sua rivoluzione. Ma soprattutto la città viveva con speranza la progressiva apertura del confine immaginando e anticipando un futuro che poi è divenuto realtà. E’ su queste radici che  Gorizia e Nova Gorica hanno costruito la strada che arriverà al 2025 e che le celebrerà in Europa.