Come sensibilizzare le nostre comunità sul tema del recupero di “chi ha sbagliato”?

Si sono incontrati nuovamente nei giorni scorsi a Zelarino (Venezia) – alla presenza dell’arcivescovo di Gorizia mons. Redaelli, delegato per tale ambito dalla Conferenza Episcopale Triveneto – i cappellani, le religiose e i rappresentanti dei volontari che operano nelle strutture carcerarie maschili e femminili del Nordest. Al centro della riunione la riflessione e il dialogo tra i presenti su come sensibilizzare le comunità cristiane di questo territorio sul tema del recupero e del reinserimento sociale di “chi ha sbagliato” e, nello stesso tempo, come comunicare meglio e in modo più incisivo i segni di speranza e la “spinta evangelica” che muove l’azione pastorale della Chiesa in tale contesto per riuscire a toccare maggiormente le menti e i cuori della gente e quindi riuscendo anche ad intervenire e ad influire così sulla “mentalità corrente”. Si è osservato, nel corso del dialogo, che il Vangelo e le opere di misericordia corporali e spirituali hanno sempre una forza e un’autorevolezza proprie – che spesso percorrono “altre vie” e modalità rispetto al comune sentire – e hanno perciò una loro rilevanza che va valorizzata lasciando che “parli” alle menti e ai cuori. Per il coordinatore triveneto dei cappellani delle carceri don Antonio Biancotto si tratta – soprattutto di fronte a questioni “calde” come la sicurezza, l’integrazione e le stesse preoccupazioni per l’identità nazionale – “di comprendere meglio le istanze e le paure che portano talora una parte della nostra gente ad avere una mentalità non pienamente evangelica. Bisogna riuscire ad entrarci dentro e poi magari si potrà aprire qualche porta e prospettiva nuova, dall’orizzonte evangelico più ampio”.L’incontro ha poi ripreso ed approfondito anche i temi rilanciati dal recente convegno nazionale – tenutosi a Montesilvano (Pescara) alla fine dello scorso mese di ottobre con la presenza di cappellani, religiose, operatori pastorali e volontari dell’intero Paese – a partire specialmente dalla questione della giustizia “riparativa” o “riconciliativa” e della relativa attività di “mediazione penale”. Le azioni in tal senso – più sviluppate sinora con i minori che non con le persone adulte – sono particolarmente delicati perché si tratta di operare favorendo forme di incontro, dialogo, vicinanza e riconciliazione tra vittime e colpevoli; c’è da consolare e toccare il cuore delle vittime purificandolo dall’astio o dal risentimento e c’è da agevolare la presa di coscienza del male arrecato in chi lo ha commesso (con la necessità di un recupero e di una riparazione da percorrere). E anche qui c’è, inoltre, un lavoro costante di sensibilizzazione da svolgere all’interno della comunità cristiana e nel più ampio contesto sociale. La riunione triveneta di quanti operano nelle strutture carcerarie del Nordest è, infine, proseguita con uno scambio di esperienze e testimonianze su alcune iniziative realizzate localmente, di particolare impatto, e che hanno portato ad incrementare la conoscenza e i contatti delle comunità cristiane con le persone in carcere.