Emergenza sulla rotta balcanica

Oltre 42mila migranti sono entrati negli ultimi due mesi in Macedonia dalla Grecia, provenienti da Siria e Medio Oriente, trasformando il piccolo Paese balcanico in terra di transito verso la meta desiderata: l’Occidente. Solo nello scorso weekend del 22-23 agosto 7mila persone sono invece passate attraverso il territorio macedone in Serbia, per poi proseguire il cammino in Ungheria e giungere in Germania o Francia. Migliaia di migranti sono d’altro canto rimasti accampati nella piccola stazione ferroviaria di Gevgelija.

Migliaia al confine“Al confine ho visto tantissime persone, per lo più siriani, ma anche afgani e africani, ci sono intere famiglie, donne, bambini piccoli, sono in viaggio da 10 giorni dalla Siria”, racconta a Sir Europa l’inviato della Radio nazionale bulgara Nikolaj Krastev. “Hanno tanta paura e sono disorientati, si lamentano del fatto che difficilmente trovano aiuto e che, spinti dalla guerra, sono stati costretti a intraprendere questo viaggio pericoloso”. Arrivano in Grecia, molti nelle isole dell’Egeo, ma per la difficile situazione politica nel Paese ellenico, le autorità greche facilitano il loro passaggio verso la Macedonia, perché il confine bulgaro è ben protetto. Secondo gli operatori delle Ong nella zona, la decisione di Skopje di chiudere la frontiera non è stata positiva “perché ha aumentato la tensione tra queste persone già stanche e provate”. “Si è visto che non è possibile trattenerli al confine, e piano piano la situazione si è calmata”, chiarisce Krastev raccontando che “le cinquemila persone accampate nella stazione della cittadina di Gevgelija sono state trasportate con dei pullman al confine con la Serbia”. “Hanno ricevuto dei pass, assistenza medica e dei kit con oggetti di prima necessità”.

L’emergenza dopo la crisi “Questa emergenza è una grande sfida per la Macedonia reduce di una grande crisi politica negli ultimi mesi”, afferma Krastev. “Dopo le massicce proteste contro la politica autoritaria del presidente Nikola Gruevski, finalmente i partiti avevano trovato un accordo”. “Il problema dei migranti però – continua – alimenta le speculazioni politiche, e in questo caso anche i rapporti internazionali, perché sembra che i Paesi della regione si scarichino addosso la responsabilità di queste persone”.

L’assistenza della CaritasIn prima linea al confine e lungo il tragitto dei profughi ci sono le associazioni non governative e la Caritas in Macedonia. “Come organizzazione siamo una realtà piccola (i cattolici nel Paese sono circa 15mila su 2 milioni di abitanti), ma non possiamo non soccorrere queste persone bisognose”, ci spiega il direttore della Caritas in Macedonia, mons. Antun Cirimotik. Nei pressi di Tabanovtse, cittadina al confine serbo, i volontari distribuiscono i kit di prima necessità, alimenti e bevande. “Aspettiamo l’aiuto dalla rete di Caritas – continua mons. Cirimotik – perché le persone sono tantissime e siamo di fronte al problema di come gestirli e come aiutarli”. Il direttore della Caritas macedone è preoccupato perché “sembra che il nostro piccolo Paese sia lasciato a se stesso di fronte a questo flusso”. Ricordando i profughi del Kosovo, mons. Cirimotik racconta che “allora c’erano i centri di accoglienza e la solidarietà di tanti Paesi europei che adesso non si vede più”.

Arrivi in aumentoSecondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati “i Paesi Ue devono aumentare il loro aiuto per la Grecia, la Macedonia e la Serbia”. La previsione della Croce Rossa invece è “che il numero dei migranti aumenterà drasticamente a causa delle persone che verranno nei prossimi giorni dalle isole greche”. Nel frattempo, in Macedonia, a 500 metri dal confine greco è stato aperto un centro accoglienza ad hoc per profughi. Le autorità serbe invece hanno allestito quattro centri, due a sud (Presevo e Miratovac) e due a nord, al confine con l’Ungheria (Kanijia e Subotica). Inoltre, si sta preparando l’apertura di un centro nei pressi di Belgrado mentre nella capitale serba lavora già un centro di informazioni a disposizione dei profughi.