Volti e storie dietro un nome

Una zolla di terra di 20 chilometri quadrati in mezzo al Mediterraneo, più vicina alla costa tunisina che a quella siciliana. Si tratta dell’isola di Lampedusa, sempre alla ribalta su giornali e telegiornali perché spesso approdo di decine e decine di migranti in fuga dalle situazioni di guerra e povertà che affliggono i loro Paesi. Un’isola dal fascino straordinario (lo stesso Papa Francesco non esitò a sottolinearlo quando disse “Venite a scoprire con i vostri occhi tutto quello che di bello Lampedusa offre”) che troppo spesso forse viene fatta passare come “mero” Centro di Accoglienza Temporanea, ma che invece ha tanto da dare – dal punto di vista ambientale – e da insegnare sotto il profilo umano. Abbiamo sentito telefonicamente il suo parroco, don Mimmo Zambito, il quale ci ha raccontato quale sia la realtà quotidiana per chi su quest’isolotto vive e lavora.

Don Mimmo, com’è in questo momento la situazione generale sull’isola?

La situazione attuale abbastanza serena. Le persone giunte sull’isola con gli sbarchi delle scorse settimane sono già state trasferite in Sicilia, ad Augusta.Volendo fare una sintesi, direi invece che in generale la situazione è altalenante: ci sono momenti senza sbarchi, seguiti da momenti in cui molte persone si mettono in mare, o attraversano situazioni di pericolo quando sono già al largo, o ancora arrivano già decedute. Inoltre le barche delle Guardia Costiera che si muovono per i soccorsi sono molto piccole. È un po’ il controsenso della nuova situazione a livello di sicurezza internazionale: l’operazione “Mare Nostrum” consentiva un salvataggio con mezzi appropriati della Marina Militare; l’operazione “Triton” invece ha come obiettivo principale il controllo delle frontiere. Quindi in situazioni di emergenza e pericolo i mezzi della Marina disponevano di tutte le attrezzature necessarie, portando con sé a bordo anche operatori sanitari e legali; le piccole imbarcazioni della Guardia Costiera – realmente delle motovedette, della grandezza di un motoscafo o forse meno – fanno ciò che possono. Si prevede un soccorso ma effettivamente i mezzi sono inadeguati.C’è poi una forte pressione psicologica: dietro al nome “rifugiati” ci sono volti, storie, dolori, mamme, bambini. Lampedusa e i suoi cittadini cercano sempre di ricordare questo.

Come vive la popolazione di Lampedusa questa situazione?

Sull’isola ci sono varie posizioni, però tutti sono consapevoli della situazione in cui viviamo: un isolotto di 20 chilometri quadrati, in mezzo al Mediterraneo; sappiamo quanto sia difficoltoso andare e venire da qui. Quando vediamo arrivare queste persone, tutti si muovono per poter prestare aiuto con le proprie conoscenze e le proprie capacità. Molte volte poi questi migranti sciamano dal Centro di Accoglienza al centro del paese, che dista solo 600 metri, e lì si incontra con i paesani, come accade in tutte le parrocchie, e ci si parla, ci si scambiano pareri, li si aiuta con berretti e maglioni quando fa freddo, con schede telefoniche per chiamare casa o semplicemente con una chiacchierata. Tutto questo sorge a livello volontaristico, umano. Quelli accolti nel Centro di Accoglienza non potrebbero uscire, ma le condizioni di permanenza sono a volte inumane, allora ci si aiuta senza pensieri.

Come diocesi, cosa mettete in campo per fornire accoglienza e sostegno?

Abbiamo a disposizione tutto ciò di cui ogni Caritas dispone: abbigliamento, scarpe, giubbotti, thermos per le bevande calde, qualche gioco per i bambini; tutto questo stabilmente. Stiamo poi cercando di sensibilizzare la gente a capire da cosa questi migranti stiano fuggendo: organizziamo delle serate informative, per raccontare loro la situazione dei Paesi coinvolti nelle migrazioni. Oltre a ciò, si sta provando a costruire il “Forum Lampedusa Solidale”, un’unione di tutti gli enti caritatevoli che operano sull’isola. Dopo vent’anni di accoglienza, e soprattutto di emergenza, abbiamo compreso che è necessario un livello maggiore di assistenza, è fondamentale passare ad un livello superiore e sistematico.Vorrei poi sottolineare che – come a volte erroneamente pensato – i lampedusani non hanno modalità di ingresso e di relazione con il Centro di Accoglienza, dove possono entrare solo persone che dispongono di particolari visti rilasciati dalla Prefettura. Quello che si fa fuori, quando i migranti escono dal Centro, è in questo momento illegale, motivo per cui vogliamo dare una forma di ufficialità e sistematicità al servizio di aiuto.Infine, a volte l’interscambio con i responsabili delle Forze dell’Ordine è un po’ difficile, perché sono cambiati di frequente, per cui ogni volta bisogna ricominciare da capo il rapporto di dialogo e collaborazione.