La conversione personale porta alla riconciliazione

Si è concluso giovedì scorso a Grado il 44° Convegno nazionale di Caritas Italiana. A poche ore dal ritorno dei convegnisti nelle proprie diocesi, ne abbiamo parlato con il vescovo Carlo.

Monsignore, possiamo cercare di tracciare un primo bilancio del Convegno della Caritas italiana ospitato la scorsa settimana dalla nostra arcidiocesi?

Certamente un primo bilancio è oltremodo positivo.
Un dato significativo mi pare sia stato dato innanzitutto dalla larga partecipazione: a Grado sono giunte oltre 600 persone provenienti dalle Caritas di tutta Italia.
Si è trattato di una quattro giorni intensa. Parlare di confini come luoghi di incontro e non di contrapposizione, stando su un confine, ha fatto la differenza: i convegnisti sono stati colpiti proprio dall’”avere attraversato il confine” ed hanno davvero apprezzato l’accoglienza offerta nella concattedrale di Nova Gorica dal vescovo di Koper, mons. Jurij Bizjak, e dalla Caritas di quella diocesi.
Come sempre, poi, un ulteriore bilancio andrà fatto in futuro cercando di capire quale ricaduta potranno avere le riflessioni emerse nella vita ordinaria delle nostre Caritas diocesane.

È possibile un mondo senza confini o si tratta solo di una speranza utopistica?

Innanzitutto non dobbiamo dimenticare che il confine ha anche una valenza positiva. Pensiamo, ad esempio, al confine personale: accennavo nella mia relazione iniziale che se si viola il confine dell’intimità dell’altro si commette un abuso. Il confine, in questo senso parla anche di una propria identità che però deve essere capace di mettersi in dialogo con gli altri. Questo vale, appunto, a livello personale ma anche ecclesiale e mondiale.
In tale ottica, la vera globalizzazione non è tanto rendere il mondo tutto uguale ma renderlo diverso in collaborazione ed in unità.

Quale il messaggio offerto da Gorizia e Nova Gorica ai convegnisti?

Ai convegnisti abbiamo presentato la realtà di un cammino di quasi 60 anni – ancora in corso – che ha permesso di venire fuori, seppur fatica, dalle tragedie derivanti dalle due guerre mondiali del secolo scorso: avvenimenti che hanno imposto in queste terre un confine che non c’era creando tensioni, rancori, vendette, sofferenze…
Il messaggio che abbiamo cercato di trasmettere è che un percorso di riconciliazione è possibile non facendo un’altra guerra per cancellare un confine che non ci dovrebbe essere o dovrebbe essere spotato ma divenendo accoglienti gli uni degli altri, sapendo condividere progressivamente la propria storia e la propria memoria, essendo capaci di superare tutti i motivi di divisione attraverso una conversione personale che va verso la riconciliazione.