Don Antonio Marcuzzi: la carità del sapere

Il primo pastore sepolto a Visco nel cimitero “nuovo” (1848), nella Bassa, è stato un personaggio di carattere, per attività pastorale, cultura e vita.
La sua è una delle pochissime lapidi antiche: carica simbolica della morte dalla classicità, le faci rovesciate; quella di un realismo barocco, il teschio coperto dalla “bireta”, dignità di parroco; il calice, la particola, a segnalare il sacerdote. Con sintesi lapidaria, la pietra riassume l’essere: cinque aggettivi; due al superlativo assoluto.
“Zelantissimo”: da leggere le relazioni di don Antonio Marcuzzi (Tapogliano 1805 – Visco 1855), parroco, decano, ispettore scolastico distrettuale, e la quantità ingente di documenti che ha prodotto, per capire il termine calzante. Il cimitero e la chiesa, costruiti sotto la sua direzione in pochissimo tempo (insieme con il commissario distrettuale di Cervignano Gian Domenico Piccoli) sono testimonianza visibile. Il paese bruciato (4/5) dagli Austriaci nel 1848; risorsero paese e scuole.
“Integerrimo”: sempre interessi di Chiesa, maestri, catechisti, alunni, e alunne, nelle scuole del Distretto e Decanato di Visco (Visco, San Vito, Nogaredo, per le scuole; Crauglio, Cavenzano, Campolongo, Joannis, Aiello, Strassoldo, Perteole, Saciletto, Alture il decanato), da lui fondate, cresciute, riformate, con l’importanza alla istruzione femminile, e analisi di carattere sociale, che non risparmiavano chi stava in alto, fosse pur sacerdote o nobile. In una sua relazione, si legge: “Neppure i curati hanno per la scuola quella cura che da loro si aspetta, è soltanto il maestro che si affatica co’suoi scolari. I possidenti si può dire senza sbaglio, che hanno in odio che il contadino vada a scuola, perché pensano, che di lui possono fare quello che vogliono soltanto in allora quando egli è del tutto rozzo”.
“Pio”: lo si scopre in ogni suo pensiero.
“Dotto”: usava il friulano fin nella memoria e nelle prediche; conosceva bene il tedesco, quasi lo imponeva nelle scuole; mezzo per entrare nell’Impero.
Membro della Società Agraria di Gorizia, curava l’insegnamento di agricoltura pratica; voleva impiantare un orto sperimentale; faceva circolare riviste di agricoltura.
“Caritatevole”: la carità del sapere, estesa ai familiari. Carità esplicata, da cappellano, a Joannis durante il colera del 1836, fino alla morte a Visco, nel colera del ’55.
Arriva la lode al Marcuzzi: il suo operare “fu portato anche a notizia dell’imperial regia autorità scolastica del Litorale”, e viene pregato di ringraziare tutti “onde maggiormente infervorare i zelanti e diligenti ed animare i meno attivi”; si tratta di prese di posizione che venivano da grandi uomini come il principe arcivescovo Francesco Saverio Luschin, già patriarca di Leopoli.
I capifamiglia di Joannis e Visco, chiedendo al vescovo di poter averlo come decano, dicono di lui (aveva 38 anni): “…Una delle principali virtù…si è altresì la esimia prudenza, colla quale egli sa dirigersi in tutti gli affari di cura d’anime, e di ciò ne fanno luminosa prova le discussioni per di lui merito composte, gli scandali tolti, le divozioni promosse, la frequenza ai Santissimi Sacramenti accresciuta, ed ogni buona opera conservata ed ampliata. Circospetto nel dare consigli, egli sa tranquillizzare le coscienze di chi glieli chiede, divotissimo, ma non esagerato; dolce ma non debole; pio senza veruna ostentazione, banditore della Legge di Dio senza rispetti umani, sommesso ai suoi Superiori senza riserva, esattissimo nell’adempire a tutte le sue incombenze, esemplarissimo nel suo contegno, umile e mansueto in tutte le circostanze…”.
Il fratello Giuseppe e la sorella Magdalena ancora sulla lapide, ne parlano come di chi “rapito… ll’amato suo gregge…volava al beato riposo”.
Il Marcuzzi, abile dirigente e organizzatore è uno di quei sacerdoti friulani e sloveni che seppero analizzare, i primordi della “questione sociale” con largo anticipo, preparando, per quelli di fine ’800, il movimento politico dei cattolici di Austria e Ungheria, che avrebbe condotto il passaggio dalla carità alla giustizia, da raggiungersi con la cooperazione e l’impegno politico.
Dato il suo impegno per il tedesco, gli si attaglia una frase usata per il primo arcivescovo di Gorizia, Carlo Michele d’Attems, degna anche di lui che aveva visto il mondo in salita: “Der große Mann lebt in der Geschichte!”. Questo grande uomo vive nella storia!

Ferruccio Tassin