La Marcia della pace unisce Gorizia e Nova Gorica. Il monito di Redaelli: “Per amare bisogna attraversare i confini”

Si è snodata tra le vie di Gorizia e Nova Gorica, partendo da Oslavia per arrivare fino alla concattedrale del Divino Salvatore, la 57esima Marcia della Pace che ha coinvolto varie realtà per una due giorni dedicata non solo all’importante tema ma anche a varie proposte. Ieri, come già scritto anche dal nostro quotidiano, il Convegno “Costruttori di pace” per rilanciare la necessità di far diventare Gorizia e Nova Gorica, in un’unica realtà, non solo modello di convivenza ma anche cornice per creare i costruttori di pace, appunto, del futuro.

Un migliaio i partecipanti che sono partiti dall’Ossario di Oslavia per passare da Piuma, Straccis, Piazzutta, Piazza Vittoria, Piazza Transalpina/Trg Evrope per arrivare, appunto a Nova Gorica.

Da Oslavia il primo appello alla pace, il ricordo di don Luigi Bettazzi da parte del presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti. Ricchiuti, che ha ricordato come Bettazzi abbia partecipato a tutte le marce della pace, fu proprio uno dei promotori di questa iniziativa che ha colorato, nella sera dell’ultimo giorno dell’anno, le vie delle due città. Per l’arcivescovo di Gorizia, monsignor Redaelli, l’esempio delle due città è fondamentale per poter parlare di pace e proprio il partire da Oslavia ha un significato particolare.

Padre Giovanni Lamanna, nella prima sosta della marcia, ha voluto ribadire la presenza ancora pressante della Rotta Balanica. “La rotta balcanica è la via che ha condotto e conduce migliaia di migranti a cercare rifugio nella civilissima Europa. Ebbene, cosa incontrano, quanti scappano durante il cammino sulla rotta balcanica? Chi ha la responsabilità di far rispettare i diritti di queste persone, provi ad ascoltare chi ha viaggiato lungo la rotta balcanica. I racconti di queste persone evidenziano situazioni indegne: mancanza di cibo, abusi e violenze da parte delle forze di sicurezza, mancanza di assistenza medica, condizioni d’insicurezza nei campi profughi improvvisati”, così Lamanna.

“L’Europa che ha festeggiato la caduta del muro di Berlino, vede Paesi della rotta balcanica che hanno costruito di chilometri di muri per rendere difficile il transito dei profughi. Si dimentica che chi rischia la vita nel proprio Paese, non ha nulla da perdere e non saranno i muri a fermarli. E quando non bastano i muri, si agisce con politiche povere che dividono, che chiudono le frontiere, che creano tensioni e discriminano. Si è arrivati a privare i profughi e i rifugiati della rotta balcanica delle proprie scarpe, per scoraggiarli e rendere loro difficile il viaggio. Abbiamo bisogno di svegliare le nostre coscienze e, come ha detto il Vescovo di Trieste: “Non ci troviamo davanti a numeri, ma a persone che stanno soffrendo”, “Un sussulto di dignità e di umanità non è delegabile”. Siamo chiamati a guardare con verità a queste persone che sono costrette a scappare e riconoscerle come tali, rispettare la loro umanità e i loro diritti. Scopriamo che i profughi non sono nemici ma fratelli e sorelle da abbracciare alle frontiere.  Bisognerebbe incentivare i canali umanitari per contrastare veramente i trafficanti”, ha concluso Lamanna.

Così il corteo ha attraversato vie e piazze, arrivando in Piazza Vittoria ancora carica di addobbi e luci natalizie. Qui Luca Grion ha voluto sottolineare la necessità di “fare pace con l’Intelligenza artificiale”: per Grion, “Far pace con l’IA significa abbracciare l’opportunità ch’essa ci offre, cercando di farne uno strumento al servizio del progresso umano. Quando accettiamo l’IA come compagna di viaggio, però, dobbiamo essere consapevoli delle sfide che essa porta con sé. Quello che dobbiamo saper realizzare è un partenariato che richiede saggezza, responsabilità e costante riflessione sulla direzione da imprimere allo sviluppo tecnologico”, così Grion.

Secondo il professore, la necessità è quella di capire le potenzialità di questi strumenti che dopo l’esperienza pandemica, “tutti abbiamo cominciato a usare con più frequenza. Un rapporto pacificato con le tecnologie digitali richiede un’educazione al loro corretto uso, non solo per i più giovani, ma anche per gli adulti. L’educazione sull’utilizzo responsabile delle tecnologie, inclusa l’IA, è fondamentale per navigare in un mondo sempre più digitalizzato. Questa educazione non si limita all’apprendimento delle competenze tecniche, ma include la consapevolezza delle implicazioni etiche, sociali e personali dell’utilizzo delle tecnologie avanzate, compresa l’importanza di stabilire limiti, di preservare la privacy e di sviluppare una mentalità critica”, ha concluso Grion.

Quindi Piazza Transalpina. Qui la parola è passata a Silvester Gaberšček, etnologo e sociologo che prima di tracciare una storia degli incontri fatti per sollecitare la pace si è lasciato andare a dei ricordi personali sugli anni dell’infanzia in cui oltrepassare il confine a Gorizia o Trieste era quasi sinonimo di una libertà raggiunta. “C’è necessità di trovare un denominatore comune in Europa – ha affermato Gaberšček – ed è necessario favorire l’ascolto reciproco perché solo una comunicazione veritiera e pacifica è il fondamento per il vivere insieme. La marcia di oggi è storica, è un simbolo per la pace, pace che ha bisogno di entrambi: di me e di te. Di me che parlo italiano o friulano, di te che parli sloveno. Per tutte le guerre – ha concluso Gaberšček – c’è bisogno di noi due: solo con uno sforzo costante di conoscenza reciproca, rispetto e collaborazione si può vivere in pace”.

A Nova Gorica, infine, la celebrazione della Santa Messa presieduta dall’arcivescovo di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, concelebrata da vari confratelli, dal vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, e dal presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti. “Siamo nel tempo di Natale, con i pastori anche noi in questi giorni siamo andati a vedere e contemplare il Bambino adagiato nella mangiatoia. Quel Bambino è venuto al mondo per “ricapovolgere” le cose. Non è venuto però per toglierci la libertà. Qualche volta penso come sarebbe bello un mondo dove non fossimo liberi di scegliere e di fare il male, dove fossimo obbligati al bene. Ma sarebbe un mondo di automi, magari perfettamente intelligenti, ma non di persone, non di uomini e donne con un cuore capace di amare. No, il Figlio di Dio non ci toglie la libertà, rispetta l’uso tragico della nostra libertà, anzi Lui stesso sulla croce è stato vittima dell’odio. Perché Gesù è stato ucciso? In occasione del venerdì santo escono spesso articoli che cercano di spiegare le motivazioni della passione di Gesù: dava fastidio ai potenti, era sentito una minaccia per i romani, era invidiato dai capi, ecc. Forse, ma la vera spiegazione è solo l’odio gratuito verso di Lu”, così ancora Redaelli.

“Lui – sono le parole del presule – si lascia crocifiggere dal nostro odio, ma lo svuota dal di dentro, trasforma il massimo delitto che l’umanità può compiere – uccidere il Figlio di Dio – nel massimo dell’amore. La morte di Gesù ci ha liberato dalla schiavitù dell’odio (perché, se è vero che chi odia mette in gioco male la propria libertà, è anche vero che poi diventa schiavo del suo stesso odio). Gesù ci ha fatto tornare pienamente figli, perché i figli sono liberi. L’abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «nisi več suženj, ampak sin» “non più schiavo, ma figlio”. Che cosa allora possiamo fare per la pace? Può sembrare una risposta fin troppo semplice: amare. Amare gratuitamente, amare mettendo in gioco la nostra libertà. Comportarci da figli, figli liberi che amano perché sono fratelli e sorelle e tutti amati da Dio”, così Redaelli.

“Come si fa ad amare? Forse vi siete accorti che all’inizio di questa riflessione, ricordando l’itinerario che abbiamo percorso, ho saltato una tappa: l’attraversamento del confine in piazza Transalpina o per dirla alla slovena “Trg Europe”. La cosa era voluta. Perché ecco, per esempio, come fare ad amare: attraversando i confini. Tutti i confini, a cominciare da quelli che abbiamo nel cuore e nella testa. Farli diventare punti di incontro e di riconciliazione come quella piazza. Sapendo di essere guardati dal volto luminoso di Dio, avvolti dalla sua benedizione che non verrà meno nel nuovo anno che stanotte inizia”, ha concluso l’arcivescovo.

Ivan Bianchi – Foto di Danijel Devetak per Novi Glas.