Cooperative: la concezione umanistica dell’economia

Nelle scorse serttimane, l’Assemblea dei soci di Confcooperative Alpe Adria svoltasi a Palmanova ha eletto Serena Mizzan come nuova presidente della realtà che rappresenta le cooperative attive nelle ex province di Gorizia, Trieste e Udine. Mizzan, che rimarrà in carica per il prossimo quadriennio, ha una laurea in Lettere ed è pure presidente regionale di Confcooperative Cultura Turismo Sport e dell’Immaginario Scientifico di Trieste.
L’abbiamo intervistata a pochi giorni dall’elezione.

Dottoressa Mizzan, quali sono oggi i numeri di Confcooperative Alpe Adria?

Confcooperative Alpe Adria associa 387 cooperative nei territori delle ex province di Gorizia, Trieste, Udine. I lavoratori sono 12.925 (il 57 per cento dei quali nel settore del welfare) mentre i ricavi assommano a 692 milioni di euro complessivi, una cifra senz’altro significativa nell’economia del nostro territorio. I settori principali sono sempre quello del welfare garantito dalle cooperative sociali (280 milioni), quello delle cooperative di produzione e lavoro, che vanno dai trasporti alla logistica, dal facility management all’artigianato, all’industria, ai servizi alle imprese (213 milioni), e poi quello della filiera agricola e della pesca (151 milioni di euro).
Più piccolo ma in crescita è il settore della cooperazione culturale e del turismo (48 cooperative), delle cooperative di consumo e utenza (29 cooperative). E poi c’è il credito cooperativo che nel nostro territorio vanta circa 60.000 soci ed una presenza in quasi tutti i comuni della Regione.

Qual è lo stato di salute del mondo cooperativistico in Friuli Venezia Giulia? Quanto hanno inciso i mesi del Covid e la crisi economica seguente allo scoppio della guerra fra Russia ed Ucraina?

Senz’ombra di dubbio il periodo che va dal 2020 ad oggi è stato uno dei più difficili tra quelli attraversati dal mondo economico nel suo complesso e dalla cooperazione in particolare. Dico “in particolare” perché le cooperative sono state in prima linea in molti dei settori più colpiti. Nel welfare, le cooperative sociali con i loro operatori hanno continuato a garantire servizi fondamentali per le famiglie, pur subendo tutti i problemi organizzativi causati dalla pandemia.
In un altro settore dove è importante la presenza cooperativa, come la cultura, molte cooperative si sono ritrovate da un giorno all’altro a sospendere ogni attività e solo nel 2022 siamo tornati a livelli precrisi. Nel frattempo, la crisi ucraina ha provocato una vera e propria impennata dei costi di produzione e di quelli energetici in particolare: in questo caso a subire i contraccolpi maggiori sono state la filiera agroalimentare e la cooperazione di consumo.
Parliamo di cooperative che hanno visto i costi energetici raddoppiare e arrivare a erodere completamente le marginalità, con conseguenze rilevanti anche per migliaia di imprenditori agricoli.
Come stiamo oggi? Se guardo ai dati, posso concludere con un certo ottimismo perché le cooperative hanno dimostrato grande resilienza e stanno uscendo da questa crisi con una forte propensione anche ad innovare e rinnovarsi.

Quale il valore, oggi, della cooperazione?

Io credo che la cooperazione possa riscoprire se stessa proprio nei prossimi anni. I suoi principi di democrazia economica e di mutualismo, di responsabilità anche intergenerazionale, sono sempre di più parte del patrimonio di tutti.
Dalla crisi finanziaria del 2008 in poi, e ancora di più dopo la pandemia, si fa un gran parlare di “cambio di paradigma”, che poi è anche il titolo di un bel libro di Mauro Magatti. Nel mondo accademico, poi, è sempre maggiore l’attenzione verso l’economia civile grazie all’opera di economisti come Leonardo Becchetti o Luigino Bruni.
Il ritorno “all’antico” rappresentato dal revival dell’idea cooperativa è una risposta, pronta e di dimostrata efficacia dopo oltre 140 anni dalla prima cooperativa nata in questa Regione, a questa ricerca di un nuovo paradigma.

Mi pare che uno dei valori più significativi della vostra associazione sia proprio la territorialità. Che valore assume il territorio per Confcooperative Alpe Adria in un tempo in cui a farla da padrone sembra sia il concetto di “delocalizzazione”?

Per rispondere bisogna innanzitutto ricordare che l’elemento costitutivo delle imprese cooperative sono le persone, i soci, anziché il capitale.
Questa diversità è nel DNA delle cooperative e spiega perché le imprese cooperative non delocalizzano. E spiega anche perché c’è un legame privilegiato che porta a investire nel territorio in cui si è nati, a costruire relazioni, collaborazioni, alleanze con altre imprese, istituzioni, associazioni. Alla base c’è infatti l’impegno delle persone: cooperatrici e cooperatori.
E il territorio, se coltivato, rappresenta un capitale anche per un’impresa e un elemento che la rende più competitiva e capace di affrontare le sfide.

Come è possibile far coesistere il dare lavoro con l’essere impresa riuscendo a garantire competitività ma anche solidarietà?

Come accennavo poco fa, la natura dell’impresa cooperativa, che nasce da una pluralità di soci uniti da un fine mutualistico, fa sì che la cooperativa porti nel mondo delle imprese una concezione per certi versi umanistica dell’economia. Poi, certamente, c’è da garantire l’equilibrio economico, e in questo le difficoltà e le opportunità di una cooperativa non sono molto diverse da ogni impresa.
Ma proprio in questo equilibrio costante tra l’essere impresa e il fine mutualistico c’è la natura e il fascino del modello cooperativo. In termini pratici direi che un dirigente cooperativo deve saper coniugare senso di responsabilità – verso i soci e verso la comunità – e capacità manageriali. In qualche modo, quindi, deve impegnarsi doppiamente!

L’anno scorso siete stati fra le prime associazioni datoriali in tutta Italia a ottenere la certificazione di parità di genere. Può spiegarci il significato di questo riconoscimento?

La certificazione della parità di genere è un percorso volto ad accompagnare e incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree maggiormente critiche per la crescita professionale delle donne. Abbiamo voluto essere tra i primi in Italia ad impegnarci perché già oggi il mondo cooperativo è tra quelli che vedono la maggiore presenza femminile: il 59% del totale degli addetti sono donne. Però sono donne solo il 28% dei presidenti di cooperativa. Insomma, c’è ancora un bel po’ di strada da fare.
E c’è il tema della conciliazione, imprescindibile per fare crescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro, che tutte le ricerche dicono essere una delle leve per far crescere la nostra economia, ma anche per controbattere il declino demografico.
Anche in questo caso, dal 2016 opera una Commissione regionale Dirigenti cooperatrici, coordinata da Mirella Berdini, che sta facendo un lavoro egregio proprio su questi temi.

Come parlare oggi di cooperativismo ai giovani?

Può sembrare strano ma credo che, se opportunamente stimolati, i giovani siano particolarmente ricettivi all’idea cooperativa: in fondo essa propone una lettura dei rapporti economici che è tornata di grande attualità dopo la crisi finanziaria del 2008. Il problema è che per molti la cooperazione è sconosciuta, o relegata in alcune nicchie.
Ecco perché come Confcooperative ci stiamo impegnando molto per rivolgerci ai più giovani. Abbiamo creato un Gruppo Giovani Cooperatori, coordinato da Alice Richter di Trieste, che è molto dinamico e solo qualche mese fa ha organizzato una competizione di idee fra giovanissimi: sono loro la nostra “prima linea” per veicolare i valori cooperativi tra i più giovani.
A livello regionale opera, inoltre, un ufficio per l’Educazione Cooperativa, che ogni anno coinvolge centinaia di classi in progetti di simulazione d’impresa e educazione all’imprenditività.
E proprio pochi giorni fa ha avuto avvio il primo corso universitario dedicato alla cooperazione, presso l’Università di Udine, e che ha registrato il tutto esaurito alla sua prima edizione. È un segnale positivo!

Lei in questi anni è stata anche presidente regionale di Confcooperative Turismo, Cultura e Sport. Gorizia e Nova Gorica si apprestano ad essere fra pochi mesi Capitali europee della Cultura. Come traduce nel concreto l’impegno culturale un’associazione come la vostra.

Diverse importanti realtà cooperative sono impegnate in prima linea in diversi progetti legati a Go!2025: è un’importante riconoscimento alla professionalità che sanno esprimere. Proprio a Gorizia ha sede ad esempio Artisti Associati, che è una delle più importanti realtà di produzione teatrale del Friuli Venezia Giulia e in questi ultimi anni, nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, è riuscita a “inventarsi” un festival di danza contemporanea di livello nazionale, e ad essere riconosciuta come Centro di produzione teatrale dal Ministero della Cultura.
Parlando più in generale, credo che la Capitale europea della Cultura sia una grande possibilità di crescita professionale e umana per le imprese culturali della nostra Regione: un’occasione per misurarsi con un pubblico internazionale, confrontarsi con creativi e progetti di altre parti d’Europa e alzare l’asticella della propria attività.
Soprattutto, e questo è un tema che mi sta molto a cuore, è l’occasione per dimostrare che chi fa cultura a livelli professionali è un’impresa a tutti gli effetti: con le difficoltà ed i rischi che questo comporta, ma anche con la potenzialità, e le tutele per i lavoratori, che l’essere impresa garantisce e consente.
Se si coglie questa potenzialità penso che il sistema culturale di Gorizia e del Friuli Venezia Giulia possa fare un salto di qualità. L’esempio che ho citato di Artisti Associati dimostra che è possibile.