Il patriarcato non esiste

Le parole di Elena Cecchettin postume alla morte della sorella “Filippo non è un mostro, è un bravo ragazzo figlio del patriarcato” hanno aperto un varco impensabile. In anni in cui tutto (purtroppo) fa politica, anche queste, così lucide e piene di significato, sono state considerate tali e quindi oggetto di slogan contrapposti tra cui […]

30 Novembre 2023

Le parole di Elena Cecchettin postume alla morte della sorella “Filippo non è un mostro, è un bravo ragazzo figlio del patriarcato” hanno aperto un varco impensabile. In anni in cui tutto (purtroppo) fa politica, anche queste, così lucide e piene di significato, sono state considerate tali e quindi oggetto di slogan contrapposti tra cui che “il patriarcato non esiste”.
Nel dettaglio questa la tesi: il patriarcato in Italia non esiste così come non esiste una responsabilità collettiva, lo dimostrano i dati del nord Europa dove a fronte di diffusa emancipazione femminile, i numeri dei femminicidi è più alto che non in Italia (penultima per casistiche). La responsabilità è singola e propria del femminicida.
Un’asserzione così grave e fuorviante che merita delle argomentazioni precise.
La prima è sui famosi dati: per paesi del “nord Europa” sono stati definiti erroneamente i paesi Baltici (Lettonia, Estonia) che nulla hanno a che vedere con la modernità etica e morale dei canonici paesi del Nord (Norvegia, Svezia). In questi paesi dell’Est, invero, si pagano ancora i dazi di un non lontano comunismo che, come tutte le dittature, impediva l’autodeterminazione femminile aggravati, tra l’altro, da un diffuso uso di eccitanti (come l’alcol) che aggravano il problema della violenza in genere e, in particolare, sulle donne.
Di contro l’Italia, penultima nell’elenco dei Paesi per casi di femminicidio, è penultima anche per emancipazione delle donne e questo non restituisce un’immagine di Paese “migliore degli altri” quanto, piuttosto, di un paese assuefatto con un enorme sottobosco di diritti violati e dove, forse, la diffusa rassegnazione è correlata con i circoscritti numeri degli omicidi di donne.
A comprova si consideri che in Italia solo 3 donne su 10 hanno un proprio conto corrente, che 1 su 3 lascia il lavoro dopo il primo figlio (1 su 2 dal secondo figlio) e che esiste la più alta inattività femminile (ovvero di chi ha rinunciato a cercare lavoro). Per non parlare dei numeri dei part time (condizione lavorativa chiesta solo dalle donne) e della segregazione verticale ove neppure il 20% delle donne arrivano a posti dirigenziali.
Decretare dunque la “fine del patriarcato” pretendeva un complesso processo di valutazione sociale, morale e lavorativo che certamente qui non è stato fatto fuorviati tra l’altro dalla lettura frettolosa di dati incompleti e disomogenei (i dati dei Paesi coinvolti appartengono ad annualità differenti) con l’unico intento di autoassoluzione perché “le colpe sono individuali e non collettive”.
Ma che le colpe “penali” siano individuali, lo sancisce da sempre l’Ordinamento italiano (e non certo l’opinione meritoria di qualche recente improvvisazione) così come le colpe “morali” possano essere collettive. D’altronde, se le ragioni sottese ad oltre un centinaio di delitti all’anno sono sempre le medesime (ed i 107 femminicidi compiuti sino ad oggi hanno tutti la stessa matrice definita dal medesimo termine ove per “femminicidio” non si intende il soggetto ucciso ma la causa dell’uccisione) significa che, piaccia o no, c’è un problema collettivo e che quindi va collettivamente affrontato.
Tra l’altro, che permanga in Italia una certa cultura patriarcale pare cosa notoria e diffusa ove chi, dolosamente, ne cerca prova pare fare come il pesce che cerca l’acqua.
Una ricerca stolta e ignorante che finge di dimenticare che è solo del 1996 la riforma del codice penale che ha rubricato lo stupro come reato “contro la persona”, fino a prima come reato contro la morale pubblica, del 1981 la cancellazione del delitto d’onore, del 2013 il bisogno di riequilibrare la presenza delle donne in politica per non parlare delle prassi e consuetudini ancora maschiliste.
Tornando dunque al femminicidio della povera Giulia Cecchettin, da cui tutto è iniziato, parlare di patriarcato non significa alleviare la pena, giustificarne o dimezzarne, ma all’opposto significa moltiplicarla in capo a tutti coloro che, come il crudele assassino, hanno pensato, pensano o penseranno che la loro compagna è a tal punto di loro proprietà che ne potranno disporne fino a toglierne la vita.

(Foto: Fondazione con il Sud)