Le vie del nuovo Umanesimo

ANNUNCIARE

La II^ via percorsa durante il Convegno, è quella dell’annunciare. L’annuncio è ciò che distingue la vita di un cristiano, è un “dovere” non solo dei consacrati, ma di ogni battezzato. Annuncio che trova il suo contenuto fondamentale nel kerigma: “Puntate all’essenziale, al kerigma. Non c’è nulla di più solido, sicuro e profondo di quest’annuncio”, così ci ha ricordato lo stesso papa Francesco. Ma la questione non è solo di contenuti; dal confronto è emersa anzitutto la necessita di un annuncio che abbia il sapore della gioia in quanto la Chiesa cresce anzitutto per attrazione e non per proselitismo. Avendo sullo sfondo la dimensione dell’umanesimo, il luogo principale in cui Dio passa è proprio l’umano e questo aspetto trova la sua conferma nell’incarnazione: Il Verbo si è fatto carne per cui anche la nostra “dottrina” deve essere carne. In questa linea si inserisce l’immagine di una Chiesa che ha un volto di madre e che trova il suo modello nei nostri volti concreti, reali di madri e famiglie. Per cercare di concretizzare questi pensieri è necessario passare da una attenzione esclusiva verso chi viene evangelizzato a una specifica attenzione a chi evangelizza. Qui emerge tutta l’importanza della comunità ecclesiale come soggetto di evangelizzazione e al suo interno, in particolare, delle famiglie. Si è detto di dare molta importanza alla formazione, sia dei consacrati come quella dei laici; di continuare il rinnovamento degli itinerari per l’iniziazione cristiana già avviato in molte diocesi, con l’attenzione di non creare ulteriori corsi, ma per-corsi. In molti gruppi è emersa anche l’importanza del linguaggio con cui annunciamo, che è essenziale e sul quale oggi siamo fortemente in crisi. Molte volte il linguaggio che la Chiesa usa, rischia di essere poco efficace soprattutto con le nuove generazioni. Quale linguaggio usare? Forse, più che una questione di metodo, è una questione di stile: una comunicazione chiara, diretta, semplice e immediata. Sono emerse altre due indicazioni; anzitutto la centralità del vangelo, un vangelo che possiamo annunciare non soltanto a parole, ma anche attraverso l’arte, la musica, il teatro… e Firenze, in questo, è davvero un grande esempio. Infine l’importanza della domenica, il giorno senza il quale non possiamo vivere. Riappropriarsi della domenica quale giorno di festa, d’incontro, di preghiera, di riposo: è il luogo privilegiato in cui parlare al cuore dell’uomo di oggi, stando lontani “da potere, vetrine e denaro” (papa Francesco).

don Moris

ABITARE

Abitare….Voce del Verbo…. è con questo slogan che è stato presentato a tutti i convegnisti del 5^ Convegno nazionale di Firenze il verbo “Abitare”, uno dei cinque verbi che hanno caratterizzato l’evento.A lanciare questa, e le altre vie, ci ha pensato una clip di due minuti, in cui, a flash, sono stati proiettati fotogrammi di quello che per noi oggi è l’abitare: situazioni di disagio, emarginazione, lontananza tra le persone, per concludersi poi in un’immagine di accoglienza che dovrebbe invece essere il simbolo e la sintesi di quello che noi vorremmo fosse nel prossimo futuro ormai nella Chiesa “Abitare le nostre comunità”.Questo verbo, non slegato certamente dagli altri (uscire, annunciare, educare e trasfigurare), è stato affrontato si nelle relazioni introduttive, ma molto sui tavoli di lavoro.Ne sono emerse diverse possibilità per attuare tale strada. Alla fine è stato tracciato un percorso composto dalle esperienze che in parte già molte parrocchie hanno fatto o stanno sperimentando magari con fatica: le scuole di formazione socio politica per preparare dei laici pronti ad una cittadinanza attiva che sappia abitare il territorio e colloquiare con le altre istituzioni, le case di accoglienza a persone in stato di bisogno, la possibilità di conoscere le famiglie per invogliarle ad incontrare l’altro, la promozione di una pastorale del condominio, della condivisione.Dalla sintesi emerge che queste relazioni buone che ci troviamo ad abitare nelle nostre comunità parrocchiali, e che dobbiamo rilanciare praticamente nella vita di tutti i giorni, possono essere sintetizzate da alcuni verbi: ascoltare, lasciare spazio, accogliere. Io credo che questo noi già nelle nostre comunità lo stiamo facendo, ma ancora manchi la consapevolezza dell’importanza di tali gesti, che accorciano le distanze, che permettono alle persone di entrare in relazione, per poi sentirsi accompagnati nella vita di tutti i giorni.Lo stesso card. Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, nella sua relazione finale ha invitato tutti e i 2200 convegnisti “ad accogliere e a mettere in pratica il vigoroso e paterno invito alla missionarietà che le viene dal Papa. Una Chiesa “in uscita”, cioè umile e inquieta, capace di prendersi cura non tanto di se stessa, ma degli uomini e delle donne del nostro tempo, a partire dagli ultimi, dagli “scartati”. Una Chiesa che per annunciare il Vangelo nei diversi ambienti si apre più che mai all’”incontro” e vuole contare sulla creatività dei giovani e su un rinnovato protagonismo dei laici”.Se saremo in grado di cambiare atteggiamento, di aprirci a queste novità, anche facendo le solite attività parrocchiali, allora avremo fatto, a mio modesto parere, un grande passo in avanti e saremo riusciti a capire come abitare le nostre comunità, grandi o piccole che siano.L’impressione che ho avuto e che è emerso anche dai tavoli di lavoro, è che c’è una gran fame di “abitare” che, accompagnato ad un “uscire” consapevole, ci permetterà veramente di “annunciare” la Parola di Dio senza porci tanti problemi, facilitando anche l’azione educativa, che necessita chiaramente dell’adozione di nuovi strumenti, per trasmettere i concetti educativi e pedagoci di base in una forma che raggiunga i più e che si dimostri attraente verso coloro che la ascoltano.A mio avviso non bastano più le azioni intraprese per garantire una casa per tutti, occorre adottare un nuovo stile, che ci permetta di entrare in empatia con l’altro e fra le diverse comunità in sinergia con le istituzioni, troppo spesso incapaci di sopperire all’effettivo bisogno delle persone.Per abitare è necessario relazionarsi con l’altro, altrimenti rimarremo delle comunità vuote, che non riescono più a dialogare e quindi faremo rimanere lettera morta una Parola così importante come è quella della “Parola di Dio”.Ma alla base di tutto non può mancare l’amore che ci spinge a dialogare con l’altro, che ci permette di “andare a casa” di chi non conosciamo, di farci conoscere, di aprire nuovi orizzonti.

Michela Becci

EDUCARE

Una parola significativa che è stata evocata più volte nel corso del Convegno è “sinodalità”; è proprio questo che, secondo me, riassume maggiormente l’esperienza vissuta a Firenze: un “sinodo” tenuto da tutta la Chiesa italiana, tra vescovi, presbiteri, laici tutti in una sola assemblea rappresentativa e tutti espressione, a uguale titolo, della Chiesa. E’ stata infatti una circostanza in cui non si è avvertita alcuna distinzione tra il “vertice” e la “base”, in quanto tutti eravamo a formare la grande base da cui far nascere il Nuovo Umanesimo, in Gesù Cristo. Come delegato per il verbo “educare” posso riferire alcuni stralci della sintesi complessiva – ossia la Relazione di Suor Pina Del Core, FMA, Preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium – affiancando anche alcuni stralci del mio Tavolo di lavoro:RELAZIONE: partendo dalla consapevolezza della “nativa vocazione della Chiesa ad essere comunità che educa, che vive coerentemente la propria fede come dono ricevuto e come consegna per le nuove generazioni”,  “la comunità cristiana punta sull’educazione integrale della persona e sulla credibilità dell’educatore che si pone innanzitutto come testimone, come chi è stato lui per primo ’educato’ da Cristo e ha trovato in Lui il senso della sua vita”. Occorrono riconoscere ed evitare “due tentazioni indicate da papa Francesco nel suo discorso nella Cattedrale di Firenze si applicano bene anche all’educazione: c’è il rischio cioè da una parte di privilegiare l’attivismo e di cedere ad una “burocratizzazione impersonale” delle dinamiche formative; dall’altra, di assecondare una certa tendenza all’astrazione e all’intellettualismo slegato dall’esperienza”. “Priorità ineludibile è la formazione degli adulti, o meglio degli educatori, perché prendano in mano la propria primaria responsabilità educativa nei confronti delle nuove generazioni, curando anche la propria formazione personale (autoformazione). L’attenzione alla famiglia e l’accompagnamento delle famiglie resti una priorità nella progettazione pastorale delle comunità ecclesiali locali”.TAVOLO: “Nella concreta azione educativa e preventiva particolare attenzione viene e va riservata ancor di più alla famiglia. Si avverte il bisogno urgente di un suo passaggio da oggetto a soggetto della pastorale, attraverso un strategia che ne consenta l’accompagnamento in tutto il suo percorso e non solo nei tempi forti (preparazione al matrimonio, battesimo etc.), anche allo scopo di restituirle il ruolo di primo soggetto educante. In tal senso si annoverano varie esperienze che vedono al centro famiglie che si pongono al servizio delle altre in percorsi di formazione che passano anche attraverso l’accompagnamento e la condivisione”.RELAZIONE: “Un’altra linea fondamentale va nella direzione di investire nuove energie per rinnovare la formazione dei sacerdoti, dei religiosi/e e dei laici, anche mediante momenti formativi comuni tra presbiteri, famiglie e consacrati”.TAVOLO: “occorre creare momenti di formazione alla pari (sacerdoti, religiosi, laici) in cui rileggere alla luce del Vangelo la propria esperienza e poter così elaborare e realizzare insieme (in rete) dei progetti educativi attenti alle povertà e ai nuovi bisogni”.RELAZIONE: “Non va considerato concluso, inoltre, il processo di rinnovamento dell’iniziazione cristiana e dei suoi strumenti, a partire da quelli catechistici”.TAVOLO: “L’iniziazione cristiana non dovrebbe limitarsi al solo catechismo rivolto ai bambini ma coinvolgere sempre più le stesse famiglie in percorsi comuni e integrati: catechismo a rotazione nella casa di ogni bambino, momenti comuni di formazione figli/genitori”. “Ripensare la catechesi dell’iniziazione cristiana come punto di partenza di una educazione permanente ponendo al centro, nell’intero percorso, la famiglia come luogo naturale, fisico e sociale perché la famiglia possa diventare soggetto della pastorale ordinaria”.

Denis Delbello