Quale futuro per i giovani?

Carissimi,

voglio esprimere prima di tutto la mia gioia perché, grazie alla Benedizione del Signore, state uscendo progressivamente dall’emergenza originata dalla pandemia Covid 19.

Purtroppo in tutta l’America Latina il dramma della pandemia, con il suo terribile carico di morti, continua ogni giorno ad aumentare, per questo vi prego umilmente, carissimi, di non dimenticare nella vostra preghiera, in questo momento di sofferenza, il continente americano che continua a piangere per i suoi figli, strappati via dalla vita da un crudele e aggressivo virus.

Non voglio in questo momento riferirmi alla pandemia, bensì ad un tema che, da molti giorni, è stato trattato su tutti i mezzi di informazione a livello mondiale, ovvero il razzismo esploso con la morte del cittadino statunitense Geroge Floyd.

Ebbene, da quando sono arrivato cinque anni fa “en el bello puerto de mar de Buenaventura” come missionario saveriano in questa città portuale che raggiunge attualmente i cinquecentomila abitanti, mi sono sempre chiesto come facevano a vivere tante famiglie “afro discendenti” in assenza di un lavoro formalmente riconosciuto.

Ovviamente mi era stato detto che la città viveva dell’attività commerciale originata dal porto. Ma quando ho visto che nel porto tutto il carico e scarico delle merci in container è automatizzato per mezzo di enormi gru, azionate da pochi tecnici specializzati provenienti da altre regioni del Paese, mi sono chiesto: quale futuro spetta alle migliaia di giovani buenaverensi afrodiscendenti, che costituiscono più del 90% della popolazione locale? Se ovviamente non c’è lavoro formale, sussiste l’informale nel trasporto, come per esempio i motoratones, ovvero giovani che in moto garantiscono un trasporto urbano insieme con i collettivi, piccole vetture per il trasporto di persone (massimo nove prima della pandemia). E tutto questo in concorrenza con i carpati, piccole jeep folkloriche che per duemila pesos (50 centesimi di euro) a sua volta fanno concorrenza ai più comodi e signorili taxi. D’accordo con il trasporto, ma poi quali altre attività possono dare legalmente un lavoro? Ci sono, ovviamente, le piccole e grandi imprese commerciali ma guarda caso sono tutte in mano agli antiochegni o “Paisas”, famiglie provenienti dal Departamento di Antioquía o anche dall’asse cafetero, che comprende altre regioni interne, confinanti con il Dipartimento di Antioquía, specializzate nella produzione del caffè ,come per esempio il Dipartimento di Risaralda, di Caldas e del Quindío.

Famiglie che, nel corso del tempo hanno sviluppato un incredibile fiuto per gli affari e hanno visto nella città di Buenaventura un buon mercato per commerciare ogni genere di prodotto.

Tutto questo è vero ma, mi domando, la maggioranza della popolazione afro colombiana presente a Buenaventura, riesce ad inserirsi in questo sviluppo commerciale, dovuto particolarmente a forze e risorse umane esogene? Purtroppo no, se non per pochi isolati casi.

Carissimi, faccio queste considerazioni perché poco più di una settimana fa è stato ucciso un cittadino afro – statunitense a Minneapolis, mi riferisco ovviamente al signor George Floyd, e in tutto il mondo ci sono state manifestazioni di solidarietà per il rispetto dei diritti umani delle minoranze, come la minoranza afrodiscendente.

Ma non si è parlato in nessun caso della situazione in America Latina, dove la situazione degli afrodiscendenti è nascosta come uno scheletro dentro l’armadio della coscienza collettiva di un Paese.

Ovvero non se ne parla a livello di dirigenza dei rispettivi paesi latinoamericani. Eppure riflettendoci, carissimi, mi sembra che anche questo silenzio sia una forma, molto elegante, di razzismo. Non si parla del problema e in tal modo non si garantiscono opportunità di lavoro ai giovani afrodiscendenti delle regioni costiere, tanto del Caribe come del Pacifico colombiano. Degli afrodiscendenti e della loro cultura se ne parla solamente a livello culturale folclorico, quando per esempio si discute dei generi musicali in America Latina e ,ovviamente, delle grandi abilità nel canto o nella danza del ricordato gruppo etnico.

In Colombia è stata approvata nel 1991 una nuova Costituzione che definisce il Paese una nazione multietnica , ricordando anche i differenti gruppi indigeni autoctoni che preesistevano nel territorio prima dell’arrivo degli spagnoli colonizzatori a inizio del XVII secolo. Passi in avanti a livello di riconoscimenti istituzionali sono senza dubbio stati fatti a livello di principi ma certamente, come riportato dall’autrice nell’ultimo editoriale di Voce Isontina, Luigina Morsolin, la parola “razzismo è una parola che disturba, una parola denigrata, rifiutata, ripudiata e calpestata”, come ben ricorda Roberto Saviano. Per questa ragione mi è parso opportuno inviare dalla lontana Buenaventura, sulla costa del Pacifico, questa riflessione.

Concludo con la perfetta sintesi finale realizzata nell’editoriale: la strada della tolleranza e dell’inclusione parte dalla conoscenza reciproca ed è tutta davanti a noi, incerta e difficile ma possibile.

Ancora ogni bene a tutti voi,

fratel Alessandro Feruglio