E poi?

Cosa succederà al termine dell’emergenza coronavirus?Incominciano a chiederselo in molti, perché sono tante le sfaccettature della nostra esistenza, e quindi i campi del nostro fare, agire ed essere: politica, economia, sanità, istruzione, religione, cucina, sport, educazione, lavoro… Proviamo a fare un piccolo gioco di fantasia (tanto, per tanti – ma non per tutti – questi giorni significano la limitazione o perdita di molte attività lavorative e di svago). Sappiamo che è solo un gioco, con scarso potere predittivo: io che negli anni Settanta leggevo Topolino, mi ricordo come si pensava che nell’anno 2000 sarebbero circolate automobili volanti, e l’uomo si sarebbe trovato già ad abitare stabilmente sulla Luna e su Marte.Per questo gioco incominciamo dai saluti. Siamo molto creativi, noi umani: non si può più stringersi le mani, non ci si può più dare il “cinque”, ed ecco che qualcuno si inventa il toccarsi il gomito. Non più saluti con il bacio “alla russa”, o con lo sfiorarsi il naso degli eschimesi: da ora in avanti solo gomitate, ma anche altri segni con le mani (o altre parti del corpo) da scambiarsi rigorosamente a distanza. E addio a baci ed abbracci quando ci si incontra per strada… Appariranno anche dei nuovi emoticon con due gomiti che “calorosamente” si incontrano.Una cosa che cambierà sicuramente sarà il modo di fare acquisti. Già ora, con la chiusura di tanti negozi, capita a sempre più persone di dover procurarsi cose che si trovano solo su “internet”. Il commercio online diventerà molto più importante, e non solo compreremo online, ma anche venderemo online, guadagnando una vetrina molto più grande, aperta 24/7, dove proporre le nostre merci, il nostro lavoro, le nostre capacità. Il mondo sarà più vicino, non perché ci sposteremo noi, ma perché si sposteranno informazioni (alla velocità della rete) e merci (alla velocità dei corrieri in bici, camion, treno e aereo).Visto che la Formula Uno ha fatto già una prova di Gran Premio online, potrà anche accadere di sfidare virtualmente un campione “vero” in un campionato dove nessuno rischia di morire (per fortuna), ma rischia invece di passare troppo tempo nella realtà virtuale. Il fenomeno dell’hikikomori, presente e studiato in Giappone da decenni, è un brutto segnale di ciò che ci accadrà se perdiamo troppo il contatto con la realtà. (Una bella gomitata, a quel punto, potrebbe tornare utile).Lo “Smart Working”, lavoro agile o da casa che dir si voglia, verrà sicuramente potenziato: ma a quel punto anche la sorveglianza del lavoratore a casa. Se già ora i periti delle assicurazioni devono dimostrare – attraverso la geolocalizzazione – di essere stati presso il luogo dov’è accaduto il sinistro da liquidare, cosa si inventeranno i datori di lavoro per accertarsi che i lavoratori a casa stiano effettivamente lavorando e non usando “candy crash”? Prevedo un risorgere di lotte sindacali per tutelare i diritti dei lavoratori a staccare gli occhi dallo schermo un tot di minuti al giorno, e di essere irreperibili almeno in orario notturno.Le scuole non saranno più le stesse: la produzione di contenuti didattici mediali o multimediali aumenterà a dismisura, ed ogni insegnante con il proprio smartphone diventerà capace di registrare una lezione di storia o di matematica da caricare a servizio dei propri studenti, che risolveranno test a risposta multipla su piattaforme Google con correzione istantanea. Rimarrà comunque l’eterno problema di chi non ci arriva, per pigrizia o per incapacità o perché si è perso un passaggio: ma a quel punto verranno programmati dei robot per l’istruzione a casa.La religiosità delle persone sarà sempre più virtuale: i pellegrinaggi saranno una sorta di immersione in una realtà aumentata con Alberto Angela come guida turistica, e rosario meditato con la presenza in streaming del Papa. Prolifereranno le catene di Sant’Antonio su whatsapp o su altri social, e si organizzeranno “flash-mob” di preghiera con candele accese sugli schermi dei telefonini. Insomma, tutto ci allontanerà sempre di più dal contatto e dalla vicinanza “fisica” gli uni agli altri. Un futuro, quello descritto in queste righe, forse non troppo lontano dalla realtà, che il coronavirus (ma perché nessuno lo ha ancora chiamato come merita: carognavirus!) ha reso più vicino in modo rapido e drammatico. Resta da chiedersi se proprio la fantasia e l’inventiva che in questi giorni testimoniano tanti, soprattutto per i propri bambini (vedi gli arcobaleni e i messaggi di speranza appesi sui balconi) non ci salveranno da questo asettico futuro. Un futuro forse libero da virus, ma sempre più sterilizzato nei rapporti, che rischia di farci perdere la nostra umanità. E allora sì che il gioco sarebbe finito…