La responsabilità della gioia

Vogliamo, così, ricordare in modo particolare questa settimana coloro che lunedì 29 celebrano il 50° di vita sacerdotale: don Umberto Bottacin, mons. Giuseppe Baldas, don Valerio Gregori. Ad essi uniamo il ricordo per don Giuseppe Marku¬a che il cinquantesimo lo ha celebrato nello scorso mese di aprile.Ci stringiamo a loro nella preghiera di ringraziamento al Signore per il dono grande della vocazione e per il tanto bene che essi hanno saputo compiere in questi anni di vita sacerdotale e che continuano a compiere.Il loro sì a Dio nella donazione totale a Cristo, ci riporta a quel 1965: un tempo ricco di fermenti spirituali, di effervescenza teologica e pastorale; un tempo nel quale l’anelito di rinnovamento che il Concilio ecumenico Vaticano II stava suscitando comportava una radicale messa in discussione di tante forme, di tanti elementi del passato, non più attuali e comprensibili.Anni complessi insomma, non meno degli attuali de l resto, caratterizzati se vogliamo da altre difficoltà: il relativismo etico e religioso, la laicizzazione della nostra società che relega il fatto religioso ai margini della vita della persona.Il sacerdozio non nasce dalla storia, né dall’evoluzione naturale del concetto di “mediazione” con la divinità presente in tutte le culture: esso è dono di Dio e risposta alla sua chiamata. Tuttavia, la vita e il ministero dei presbiteri si sviluppano sempre in un’ora storica concreta, carica di inedite risorse, ma anche di nuovi problemi. Tale considerazione è particolarmente importante quando parliamo di pastori del popolo di Dio.Mi stanno molto a cuore le parole dolci e forti di Papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium”. Il Papa insiste molto sul tema della gioia, della gioia dell’evangelizzazione.Il pastore di una comunità cristiana oggi ha particolarmente la missione di consolare, di dare speranza, di dire a tutti che Dio c’è, che l’Amore esiste, proprio perché lui stesso ha fatto esperienza della consolazione che Dio gli offre.Un pastore che evangelizza con questo stile “non dovrebbe avere costantemente una faccia di funerale” (EG, 10), dovrebbe recuperare e accrescere il fervore, “la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime […]”. Possa il mondo del nostro tempo – che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo” (EG, 10).Non si tratta però di una gioia passeggera, superficiale, egoista, ma della gioia e la pace che il Signore ha lasciato in eredità a tutti i suoi fedeli e particolarmente ai suoi pastori, una volta per sempre poco prima della sua morte e risurrezione e che nessuno può mai toglierci, anche in mezzo alle persecuzioni. Questa, è una gioia piena di responsabilità pastorale, di attenzione per il gregge che è affidato al pastore. In altre parole è la responsabilità della gioia.Personalmente, dopo solo un anno di sacerdozio non me la sento di dire grandi cose, di scrivere importanti considerazioni, è troppo il pudore e la piccolezza della mia esperienza se paragonata a quella dei giubilati.Ringrazio il Signore per la Grazia del Sacramento che ho ricevuto, per le persone che ha messo nel mio cammino, per le esperienze che ho potuto compiere in questo anno: in Parrocchia a Gradisca, nelle Associazioni in cui sono impegnato e anche nel mondo della scuola dove ho potuto cogliere quanto sia importante e apprezzata la figura del prete, non solo come insegnante, ma proprio come prete.Mi capita talvolta che qualcuno mi chieda: “Sei felice di fare il prete?”; io allora rispondo: “No, non sono felice…”; e dopo aver scrutato lo stupore nel mio interlocutore, continuo: “sono stra-felice!”.Ricordo spesso la preghiera che il Vescovo ha pronunciato nel giorno della mia Ordinazione presbiterale consegnandomi il calice e la patena: “Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai. Conforma la tua vita al mistero della Croce di Cristo Signore”. Ecco l’impegno: imitare Colui che si celebra nel Sacrificio Eucaristico, non certo per i meriti della persona, ma per la sovrabbondanza della Grazia di Dio. Come Cristo si dona, così anche il sacerdote, pur con tutti i suoi limiti e fragilità, anche lui – il prete – in persona Christi, come si diceva una volta…”La vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione alla fin fine è questo” (EG10); sono le parole più belle che diventano per tutti un augurio; l’augurio di una vita bella e gioiosa proprio perché donata al Signore nel servizio ai fratelli. Rivivere i giubilei sacerdotali ci ricorda allora che offrire la propria vita per Cristo e per la Chiesa è bello, è fonte di pienezza e di realizzazione umana. Ci ricorda, in altre parole, che vale sempre la pena di spendere la propria vita per Cristo e per la Chiesa, e che possiamo sempre rinnovare la gioia del nostro ministero affondando le radici del cuore nella Grazia del Sacramento dell’Ordine Sacro che abbiamo ricevuto.Mentre chiediamo al Signore, che anche grazie all’esempio e alla testimonianza dei preti, tanti giovani si innamorino di Cristo; con le parole che Paolo rivolge a Timoteo vogliamo augurare a tutti i sacerdoti di: “Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri” (1Tm 4,14).