Buona strada, Ivana!

Un gesto ripetuto chissà quante volte negli ultimi 45 anni. Ma che in questa occasione ha assunto, purtroppo, un significato diverso.Ivana Cossar è ripartita nei giorni scorsi alla volta del Burkina Faso, il Paese dove opera da missionaria laica – su mandato della nostra Chiesa diocesana – ormai ininterrottamente da nove lustri in un servizio continuo e prezioso di evangelizzazione e promozione della persona umana. Il Burkina Faso è però uno degli Stati africani dove maggiormente si fa sentire la presenza terroristica: dall’inizio dell’anno sono ormai oltre 1200 le vittime delle violenze in un’escalation di terrore che pare non potere avere fine.Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, dei circa 20 milioni di burkinabé già oltre 200 mila risultano sfollati.La zona nord e le aree di confine vedono una sempre più diffusa presenza di basi jihadiste da cui partono i terroristi – meglio armati ed equipaggiati dell’esercito nazionale grazie all’appoggio economico proveniente dall’estero – per infiltrarsi nel resto del Paese e negli Stati vicini.Nel nord Burkina, abitato prevalentemente da musulmani, gli attacchi ai luoghi di culto cristiani si sono intensificati in questi mesi.Una situazione la cui drammaticità è stata nuovamente denunciata nelle scorse settimane anche da monsignor Laurent Birfuoré Dabiré, presidente della Conferenza episcopale del Burkina Faso: “Se il mondo continua a non fare niente il risultato sarà l’eliminazione della presenza cristiana visto che proprio i cristiani sembrano essere oggi l’obiettivo principale dei gruppi jihadisti impegnati a scatenare un conflitto interreligioso”. Realtà apparentemente da noi lontane ma le cui conseguenze si fanno sentire nella nostra quotidianità. Lo ha ricordato ancora una volta l’arcivescovo ghanese monsignor Gilbert Justice Yaw Anokye, presidente di Caritas Africa durante l’ultima Assemblea plenaria delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar: “Abbiamo guerre civili in Paesi come il Sud Sudan e l’Eritrea. Abbiamo l’estremismo religioso in Somalia; Boko Haram in Nigeria; Al Qaeda in Mauritania; instabilità in Burkina Faso e Costa d’Avorio; tutti fattori che provocano la migrazione delle persone”. “Ai disastri naturali come i cicloni che hanno colpito Mozambico, Zimbabwe e Malawi – ha sottolineato ancora mons. Anokye – si aggiungono quelli imputabili all’uomo, come lo sfruttamento selvaggio del suolo e del sottosuolo. Fattori di instabilità politica e ambientale che rappresentano alcune delle cause principali che provocano lo spostamento di milioni di africani da un’area all’altra del continente”. E da qui verso le altre parti del mondo.Parole a cui sembrano fare quasi eco quelle pronunciate da Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Madagascar: “Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui”. “Una delle peggiori schiavitù”, ha ribadito il Papa, è “il vivere per sé stessi”: “È la tentazione di chiudersi nel proprio piccolo mondo che finisce per lasciare poco spazio agli altri: i poveri non entrano più, la voce di Dio non è più ascoltata, non si gode più la dolce gioia del suo amore, non palpita più l’entusiasmo di fare il bene… Molti, in questo rinchiudersi, possono sentirsi apparentemente sicuri, ma alla fine diventano persone risentite, lamentose, senza vita”. Di qui la necessità di “alzare lo sguardo, aggiustare le priorità e soprattutto creare spazi affinché Dio sia il centro e il cardine della nostra vita”.Ecco perchè, oggi più che mai, ciascuno di noi deve essere capace di “trasformarsi” in Ivana, don Michele, Claudia per dare continuità nella nostra quotidianità italiana ed europea all’opera che ogni giorno loro, anche a nostro nome, portano avanti in una terra così prossima alle nostra città ed ai nostri paesi come quella africana.Intanto, buona strada Ivana.