“Madonnina del Mare” intonata in carcere

Recentemente abbiamo ricevuto l’invito da parte di un’amica, educatrice presso la Casa circondariale di Gorizia, di animare con il canto la liturgia della domenica per i detenuti. Dopo i necessari adempimenti burocratici, l’occasione si è presentata nella prima domenica di Quaresima. Ci siamo preparati con il canto, come per ogni domenica, non abbiamo pensato troppo a quello che avremmo dovuto fare: ci sembrava una semplice messa come le altre, forse anche meno partecipata, data l’assemblea che avremmo avuto.Ci siamo accostati all’evento in tono lieve, qualcuno anche con un po’ di perplessità: il nostro è un coro che svolge il proprio servizio nell’ambito parrocchiale, in fondo sapevamo poco o nulla dell’ambiente carcerario e delle Storie in esso racchiuse. Quanto poteva interessare una messa, seppur cantata? Quale grande errore il nostro, quale grande pregiudizio!Già il primo passo all’interno del carcere, smuove gli animi: seppur consci del fatto che quel luogo è la giusta condanna, secondo la legge, per chi commette un reato, dal punto di vista esclusivamente umano e soprattutto cristiano, ciò che affiora è un senso di pietà e di tristezza: ogni singolo cancello che veniva aperto e richiuso alle nostre spalle era un colpo all’anima.L’accoglienza è stata da subito spettacolare: la cortesia e la disponibilità della Polizia penitenziaria, il caffè offerto dai detenuti, i loro saluti, i loro sorrisi, solo quello riempiva il cuore. Abbiamo anche ricevuto un bellissimo biglietto da uno degli ospiti “grazie per tutto quello che fate per noi”: ma noi cosa avevamo fatto? Nulla, eravamo solo entrati e ci guardavamo intorno spaesati.E poi la messa, vissuta da ciascun presente con intensità e consapevole partecipazione, complice don Alberto che ha saputo commuoversi per la nostra presenza, che non ha mai smesso di ringraziarci e che ha colto e trasmesso il messaggio delle letture con semplicità e chiarezza, indicando ai suoi interlocutori la via per la libertà, una libertà che deve venire dal cuore, non soltanto da una porta che finalmente si apre all’esterno.Una messa dove, insieme intorno alla mensa a condividere il pane spezzato, ci siamo trovati a dialogare all’interno del rito, dove anche l’omelia è stata occasione di scambio, dove alla recita del Padre Nostro abbiamo fatto una grande catena tenendoci tutti per mano.E poi c’è stato il canto finale. Su richiesta di don Alberto avevamo preparato “Madonnina del Mare” perché è il canto più conosciuto in carcere, per merito di un ex detenuto gradese che lo aveva insegnato a tutti. Dice don Alberto “è un po’ il loro inno”, quindi a conclusione della celebrazione invita tutti alla partecipazione.Durante tutta la messa e soprattutto durante l’esecuzione del canto finale guardavamo queste persone, molti di loro, nostri potenziali figli, fratelli, padri… in loro, con uno schiudersi improvviso, abbiamo iniziato a vedere solo le persone, non le loro colpe, non i loro errori, solo gente come noi. Un senso di fratellanza e comunione ci è salito da dentro con una forza inarrestabile, che è sfociata in una commozione generalizzata e ci ha portato a concludere il canto con le lacrime agli occhi. Si potrebbe dire che si è creato un profondo senso di vicinanza, ma noi vogliamo leggerlo nel modo che ci sembra più giusto: un segno del Signore, un piccolo miracolo che ci ricorda che solo Lui sa indicarci la via e che proprio dagli ultimi si possono raccogliere le gioie più vere. Siamo usciti da quel luogo incrociando ancora saluti e sguardi e accogliendo la richiesta di rivederci. Il nostro cuore era più ricco, gonfio di gioia e più libero, libero di pregiudizi.