Pregare per le vocazioni al tempo del Covid-19

Nella quarta domenica del Tempo di Pasqua, si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, istituita da San Paolo VI, nel 1964. Quest’anno la 57^ Giornata si celebra il 3 maggio 2020. L’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni ha scelto come slogan:”Datevi al meglio della vita” (Christus vivit, 158.143) . Il tema scelto vuole evidenziare lo stretto legame tra vocazione e felicità. Ogni vocazione realizzata porta al compimento della persona, alla felicità; la felicità infatti corrisponde con la maturazione della vocazione di ciascuno.Quando si parla di vita felice, spesso si immagina una vita tutta gioiosa, senza problemi, senza pensieri (Gaudete et exsultate, 75-76). Talvolta anche la vocazione, la vita cristiana, è stata annunciata così, come se la vita nuova promessa dal Vangelo introducesse “in un’altra vita” senza dolori, contraddizioni, fatiche. Felicità, fa rima con “relazione” – non si può essere felici da soli – e “vocazione” conduce, alla sua radice: “Per quanto tu possa vivere e fare esperienze […] non conoscerai la vera pienezza dell’essere giovane se non incontri ogni giorno il grande Amico, se non vivi in amicizia con Gesù” (Christus vivit, 150).In questo Tempo di Pasqua, vediamo in particolare come ogni chiamata sorga proprio da una Parola del Risorto, sentita come vera per sé, che cresce nella relazione con Lui. Ma come fare a pregare per le vocazioni in questo tempo nel quale l’emergenza assoluta è il Coronavirus? Ne avvertiamo il peso… Certo, potrebbe sembrare strano, quasi “fuori luogo”, sarebbe più necessario pregare per i malati o per gli operatori sanitari che si prodigano per loro; eppure se ci pensiamo bene ci rendiamo conto che le cose non sono come le percepiamo in un primo momento. Lo stesso Papa Francesco nella sua memorabile meditazione di fronte a una Piazza San Pietro eccezionalmente vuota ha invitato i fedeli ad avere fiducia, ad affidarsi con tutto il cuore al Signore: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?. L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai” (Francesco, preghiera in tempo di epidemia). Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite… sapendo che in realtà è Gesù che cerchiamo quando sogniamo la felicità; è Lui che ci attrae quando niente ci soddisfa; è Lui che dà gusto alla nostra vita quando siamo stanchi e spaventati. “È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società rendendola più umana e fraterna” (S. Giovanni Paolo II, Veglia GMG 2000).Anche quest’anno Francesco ha voluto scrivere un Messaggio speciale per questa Giornata di preghiera. In esso il Papa evidenzia in particolare tre parole, gratitudine, coraggio e lode. Ringrazio Matteo, Manuel e Cristiano, tre dei nostri seminaristi che ci aiutano a entrare in questo messaggio con un loro breve commento su queste tre parole…

Gratitudine, per la luce e l’amore di DioEsistono come due modi di concepire la vita sul nostro pianeta: il primo è di vederla come un incidente catastrofico per cui, dal nulla primordiale, si sarebbe casualmente susseguita una serie improbabile di eventi che avrebbe fatto sì che su un minuscolo pianeta, che ruota attorno a una stella lontanissima, perso in una galassia vastissima, sia comparsa la vita: un inconveniente da subire; l’altro è di vederla come il frutto di un desiderio che, in un miracoloso concatenarsi di fattori, congiungendo le forze cosmiche e quelle subatomiche in maniera precisissima, ha voluto che ogni cosa che esiste, esistesse così com’è: perfetta. In altre parole, c’è chi vede il bicchiere mezzo vuoto e chi invece lo vede mezzo pieno; per chi si sente chiamato però, il bicchiere è sia mezzo vuoto sia mezzo pieno!Sembra che all’inizio di ogni vocazione ci sia un graduale o improvviso prevalere della seconda visione del mondo, quella ordinata al dettaglio, per cui il profeta si sente importante, speciale e di esser stato chiamato da Dio ancor prima di essere stato “formato nel grembo materno” (Ger 1,5). Ma questa prospettiva, in genere, dura molto poco. Se infatti guardiamo alle vocazioni dei profeti nella Bibbia, quasi subito essi vengono travolti dalla negatività (Ger 1,6): primo perché si sentono indegni di questa chiamata; secondo perché le situazioni in cui Dio li invia sono spaventose o impossibili da migliorare.Eppure, chi si sente chiamato, prima o poi deve necessariamente mettere insieme questi due aspetti dell’unica chiamata di Dio: ma come? Attraverso la gratitudine. Molte volte sentiamo dire che il centro della vita di un cristiano è l’Eucarestia, ma forse troppo spesso dimentichiamo che proprio “eucarestia” vuole dire “rendere grazie”, ringraziare! In questo tempo pasquale abbiamo avuto modo di leggere che anche Gesù, come i profeti dell’Antico testamento, ha vissuto momenti di difficoltà nella sua missione eppure, proprio quando le cose si mettevano davvero male, egli ha saputo trovare la forza di dire un “grazie” al Padre che noi, ancora oggi, riviviamo. L’atteggiamento di gratitudine quindi, nella vita di una persona che si sente chiamata a partecipare attivamente all’agire stesso di Dio, non solo è raccomandato ma è fondante, così come lo è stato per Gesù. Solo così il male e la sofferenza che vediamo in noi stessi e negli altri, possono essere visti non come realtà definitive, ma come occasioni per far entrare la luce e l’amore di Dio, guardando dunque il nostro bicchiere come sia mezzo vuoto che mezzo pieno. Matteo Marega, terzo anno

Il Coraggio di dire “Sì”Spesso capita di pensare che avere coraggio possa essere quella capacità di intraprendere missioni eroiche ed intraprendenti per la salvezza dell’universo, quella capacità di azione che faccia di noi abili condottieri,  come se tutto il resto della vita fosse quasi una ’’missione’’ secondariamente ordinaria. Ma è davvero così? Un’ordinarietà che a volte si trasforma in accidia, in una ’’dolce tristezza’’ direbbe Papa Francesco rispetto alla quotidianità. E poi c’è la paura della scelta, di compiere qualcosa che non sia opportuno. Ci sentiamo spesso soli, smarriti, con moltissimi interrogativi a cui non sappiamo dare risposta. Ma anche Gesù ebbe paura. E pregò. Nella preghiera e nel silenzio l’agitazione del cuore si placa. Ci vuole coraggio anche a fermare il ’’trambusto’’ della quotidianità. L’incessante turbinio di pensieri dove la realtà esterna assale il nostro essere interiore richiede una tregua. E’ necessario declinare il coraggio sul piano della contemplazione, osservava Teresa d’Avila nell’opera ’’Il castello interiore’’, affermando che occorre essere armati di ’’molto coraggio per sostenere la vista della maestà di Dio’’(VI,V). C’è un momento nella vita di ognuno di noi in cui sentiamo di essere in una sorta di tensione opposta, vorremmo o stiamo andando da una parte ma sentiamo più o meno profondamente dentro di noi che il cammino è dall’altra. Cosa possiamo fare? Fermiamoci per un istante. Potrebbe arrivare come una folgorazione sulla via di Damasco o essere silenziosamente sottile come una brezza leggera. Il punto è che lo sentiamo. In alcune occasioni è forte e chiaro, altre è come se la frequenza fosse disturbata e avesse bisogno di essere centrata. La chiave, la risposta è nella fede. La fede in Gesù ci libera. Il coraggio è semplicemente affidarsi, avere fiducia in lui, nelle sue parole, nei suoi gesti. Nella mia vita ci sono stati molti momenti alti e bassi, molte sfide apparentemente ordinarie, invisibili, che richiedevano comunque fermezza d’intenti. Cercavo una soluzione ma la cercavo con la vista, con gli occhi fisici. Poi ho capito che c’era un altro tipo di sguardo da porre, quello di Gesù. Vedere attraverso i suoi occhi, scegliere attraverso la fede in Lui. Affrontare ogni passo confortati dal suo esempio. Questa disposizione d’animo diventa ciò che noi chiamiamo vocazione. Qualunque essa sia, è rispondere alla chiamata che il Signore ha posto nella ’’barca del nostro cuore’’. Il coraggio di ascoltare e poi di parlare. Di osservare e poi avanzare. Semplicemente di amare ed essere amati.  “Cercate il Regno di Dio e la sua Giustizia e tutto il resto vi verrà dato in sovrappiù ( Mt 6,33)”.Manuel Millo, quarto anno

Lode come risposta a DioTutti vorremmo ricevere ogni tanto parole di lode dal direttore, dal coniuge, dai genitori, dai figli ecc. per la nostra dedizione nei vari ambiti. Approvazione e ammirazione sono bisogni naturali, la cui energia può essere incanalata nel fare il bene. Anche lodare sinceramente le capacità altrui è un buon fertilizzante per il vivaio delle relazioni umane.Oltre a queste accezioni di “lode” ne esiste un’altra, molto più profonda. Per comprenderla è necessario guardare a coloro che l’hanno vissuta, cantata e testimoniata per iscritto: i Salmisti, nel corso della storia del popolo d’Israele. Molti sono i salmi nella Bibbia (su 150 totali) “di lode”. In essi scopriamo che: “poiché la tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la tua lode” (Sal 62): lode come risposta più spontanea e immediata (con le parole, ma non solo) alla grazia di Dio, che è presente nella trama salvifica della vita di ciascuno. Compito nostro è scorgere questa trama spesso invisibile, delinearne i contorni, con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la volontà: quindi non solo ragionando, non solo provando emozioni, ma integrando tutto di noi stessi. Di giorno in giorno questa consapevolezza porta frutti di gratitudine (“apprezzamento per un dono foriero di benefici”), considerata un’emozione universale. La lode è lo stile di vita conseguente, l’atteggiamento di fondo che anima la nostra vita quando sperimentiamo la gratitudine.”Esultino i fedeli nella gloria, sorgano lieti dai loro giacigli” (Sal 149): lode come spinta che ci fa alzare dal letto perché riconosciamo che il nuovo giorno che Dio ci dona è un’occasione da non perdere per amare i nostri cari, costruire la pace (e qui ognuno aggiunge il proprio “obiettivo” vocazionale di vita). Il momento migliore della giornata per “lodare” è il mattino, non a caso la preghiera della Chiesa all’aurora sono le “Lodi”.Allora sì che questo “canto nuovo” (Sal 149), inteso come nuovo stile di vita porta ad una vita da 10 e lode, perché gradualmente ci sentiamo amati e amiamo indipendentemente da ciò che facciamo o meritiamo, siamo grati per i doni ricevuti e diventiamo capaci di restituirli cento volte tanto.Allora, cosa aspetti (se sei arrivato fin qui allora non ti ho annoiato troppo) fai come me: inizia anche tu a vivere le giornate con questo atteggiamento di lode: svegliati presto, loda il Signore tra le varie attività della tua routine; riscopri i Salmi, parlano davvero al cuore, il tuo, e se credi di non essere in grado di capirli non preoccuparti, affidati al prete di fiducia che ti saprà consigliare.Cristiano Brumat, secondo anno

L’attuale situazione segnata dal Covid-19 ci chiama quest’anno a vivere in maniera nuova questa Giornata. Non ci è concesso di condividere momenti di ascolto, riflessione e preghiera, ma non per questo viene meno la possibilità di promuoverne di personali e familiari o con altre modalità per accompagnare le comunità cristiane a vivere questo appuntamento e soprattutto a fare proprio uno stile quotidiano di accompagnamento dei ragazzi e dei giovani all’ascolto del Signore. Sarà cura di ogni comunità valorizzare questa Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di domenica 3 maggio nelle modalità possibili e adatte: per tutti rimane la consegna a tener sempre presente la prospettiva vocazionale, il sentirsi chiamati alla responsabilità di una missione, a spartire la propria vita con gli altri e l’invito: “Datevi al meglio della vita”.