“Consapevoli e fieri del proprio cristianesimo”

L’assemblea diocesana – ospitata presso la parrocchia dei Santi Nicolò e Paolo di Monfalcone – ha visto quest’anno la preziosa presenza di monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico per l’Anatolia, che ha portato la testimonianza di una comunità cristiana che, per quanto piccola, ha una fortissima Fede dalla quale anche noi possiamo lasciarci ispirare.L’appuntamento è stato introdotto da monsignor Redaelli, che ha sottolineato come l’incontro con lo Spirito Santo sia alla base della presenza proprio dell’assemblea: “siamo qui – ha affermato – perché ci interessa fare la volontà di Dio e perché desideriamo testimoniare il suo amore. Quest’anno infatti vuole essere ancor più missionario e desidera far mettere in cammino ogni comunità, sui quattro obiettivi che ci siamo posti; comunione, missione, ministerialità e incidenza nel sociale”. Il vescovo ha anche ricordato gli ottimi segnali arrivati dall’avvio di nuove Unità Pastorali e dai Gruppi della Parola, “proposte ben accolte e dal cammino promettente. La preziosa testimonianza di monsignor Bizzeti non potrà che incoraggiare il nostro ruolo di testimoni del Risorto nella nostra realtà”.L’intervento di monsignor Bizzeti è stato preceduto da Emanuela Vanzan, che ha presentato il lavoro del vicario apostolico in quella che è la diocesi più grande di tutto il territorio turco e rimarcando come il “vivere in minoranza può dare una grande chiave di lettura anche per la nostra Gorizia, che ha la particolarità di essere Chiesa di confine e di passaggio”.La parola è passata quindi a monsignor Bizzeti che, nella sua analisi, è partito proprio da una considerazione di papa Francesco, secondo cui è nelle periferie che, a volte, succedono cose che da altre parti è più difficile accadano. Monsignor Bizzeti, da quando ha iniziato il suo compito in Turchia, ha testimoniato di essersi reso conto di quanto le parole del Papa siano vere e di quanto proprio le periferie possano dare stimoli alle nostre realtà dove “troviamo un Cristianesimo un po’ imbambolato; siamo improvvisamente di fronte ad una perdita di interesse – se non molte volte per tornaconti squallidi – e non si sa bene cosa fare. Il punto di partenza è riconoscere e domandarci perché siamo in questa situazione”.Ha proposto quindi l’esperienza turca, un Paese dal punto di vita religioso molto composito (i musulmani divisi in sciiti e sunniti, accanto ad aleviti, sufi, cattolici e tante altre realtà) e come, al suo arrivo, abbia trovato una comunità disorientata: il suo predecessore era stato ucciso, mancavano missionari, la minoranza dei fedeli era veramente piccola, le casse quasi vuote e i laici poco preparati. Si è chiesto quindi da dove poter ripartire e ha deciso, per comprendere gli avvenimenti, di ripercorrere la storia delle comunità cristiane in Turchia, realizzando così come, ai tempi dei primi cristiani, la realtà era bella e vivace, forte di un annuncio evangelico nuovo e della testimonianza dei discepoli che parlavano di qualcosa di diverso, innovativo e dirompente. Con l’epoca costantiniana finalmente il cristianesimo venne riconosciuto come religione e nel 380 Teodosio lo confermò come religione di Stato, dando il via alla sua “esplosione” (“il cristianesimo era a Oriente”, ha ricordato il monsignore). Seguì poi l’epoca delle grandi invasioni con molti che decisero di abbracciare l’Islam perché teologicamente più semplice – basato su 5 punti fondamentali, mentre il Cristianesimo era più complesso – e perché stanchi di un Cristianesimo che subiva troppe intrusioni di interessi politici e lotte interne. Nel 16° secolo però all’interno dell’Impero Ottomano ancora 1 abitante su 4 era cristiano. Nel ’900 invece le stragi degli armeni e dei siriaci portarono al tracollo del Cristianesimo, riducendolo al 3% della popolazione.”Non conoscersi e non fare più le cose insieme ha determinato l’allontanamento – ha spiegato quindi il vicario apostolico – perché, da parte cristiana, si pensava non ci fosse veramente più niente da fare; la scelta di isolarsi per costruire un gruppo omogeneo, rende sconosciuti gli altri, alimentando menzogne e fantasmi. Oltre a questo, scontri e conflitti di interessi di imperi e di culture in conflitto interno, sono stati un problema ancora prima delle invasioni e degli scontri tra civiltà”.Monsignor Bizzeti ha raccontato così come, dopo questa presa di coscienza, abbia compiuto il primo passo verso il “cosa fare” e lo abbia realizzato andando a cercare i segni positivi e di speranza. “Ho trovato così delle vere e proprie perle all’interno delle comunità cristiane, con persone consapevoli e fiere del loro cristianesimo – contrariamente all’Europa che vive questo senso di paura verso una musulmanizzazione – e mi sono domandato se, per caso, i cristiani d’Europa non apprezzino più quello che hanno tra le mani… I cristiani in Turchia hanno una grande consapevolezza dell’attaccamento alla propria Fede e trovano in essa un motivo per spendere la propria vita. Ad Antiochia oggi ci sono circa 1.200 cristiani, ma c’è un Dio che rimane ed è il loro punto di riferimento; inoltre tanti arrivano in Diocesi spinti dalla voglia di evangelizzazione; c’è un Gesù che è ancora capace di affascinare e presentarsi per quello che è: il Signore della tua vita”.Monsignor Bizzeti si è anche soffermato sul dramma dei rifugiati in Turchia da Iraq, Afghanistan e Siria, i quali hanno perso tutto e vivono una situazione di stallo dove non possono né lavorare né andare a scuola; in tutto questo però la loro Fede rimane ferma e viva, e chiedono di poter incontrare qualcuno che possa dire per loro una Messa, almeno a Pasqua e Natale.L’intervento di monsignor Paolo si è concluso quindi con un invito: “si tratta di imparare a distinguere ciò che è essenziale dal secondario: il Cristianesimo non inizia con la liturgia, ma va trovato un modo per re – incontrarsi tra cristiani d’Oriente e d’Occidente, riducendo quella separazione che ha impoverito tutti e riscoprendo la solidità di un’appartenenza. Forse così potremo dare e ricevere la Gloria di Dio”.