Cento anni fa la nascita di San Giovanni Paolo II

In coincidenza con l’apertura delle Messe con il popolo, lunedì 18 maggio, ricorre quest’anno il centenario della nascita di Karol Wojtyla, san Giovanni Paolo II. Una coincidenza che può sembrare un caso ma che può esser anche letta come un dono fattoci da chi ha voluto bene all’Italia, diventata, sono sue parole, “la mia seconda patria”, pur rimanendo nel profondo radicato nella cultura e spiritualità polacca, di una Chiesa cioè che ha sofferto e pagato con grandi restrizioni, terrore e con il sangue la sua fedeltà a Dio e alla Chiesa di Roma. Ricordare questo centenario non può ridursi a una mera memoria celebrativa, ma è un invito a magnificare il Signore che trova nelle pieghe dell’umanità degli uomini disposti a donarsi totalmente a Lui, a lasciarsi spogliare di tutto per rivestirsi della sua presenza salvifica e diventare così, specificatamente nella persona di Giovanni Paolo II, il vicario di Cristo che non è solo un titolo storico, ma come dice il documento conciliare Lumen Gentium, il Papa è a tutti gli effetti Vicario di Cristo  e in virtù di questo ufficio e di pastore della Chiesa universale, ha su tutta la Chiesa la potestà piena ed è “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli (cfr. LG n. 22.23). Ricordare i cent’anni della sua nascita è anche fare memoria di una spogliazione. Della mamma in tenera età, poi del fratello medico, infine del padre. Oltre poi le vicende storiche della sua Polonia che avevano spogliato della libertà e della dignità tutti i polacchi, ma che per il coraggio e la fede di una Chiesa viva, rappresentata da sacerdoti e vescovi e tra questi proprio Karol Wojtyla, ha saputo vivere il riscatto, testimoniare la dignità dell’uomo e innescare quel cambiamento che portò il Paese alla libertà. Ma questa data vorrebbe ricordare in particolare a noi goriziani anche alcune parole intramontabili che il santo pontefice espresse proprio per la Chiesa di Gorizia nella sua ormai lontana visita apostolica del 1992. Nella sua omelia il 2 maggio alla S. Messa in piazza Vittoria, disse tra l’altro: “Vi rendete ben conto che, proprio perché il nucleo familiare sta attraversando difficili situazioni di disagio e sofferenza, occorre intensificare e concentrare su di esso lo sforzo pastorale della Diocesi. Se la famiglia respira un’atmosfera dove prevalgono modelli scarsamente significativi, è doveroso far di tutto per promuovere e alimentare nella società un’autentica mentalità di fede; se la famiglia appare impoverita di ideali umani e cristiani e appesantita dal costume dominante, è necessario con ogni mezzo renderla capace e preparata a rispondere con la fede alle sfide della nostra epoca”. Si potrebbe dire, sì son discorsi fatti da sempre, nulla è cambiato, anzi la realtà sociale e quella delle famiglie è forse peggiorata, oppure è un discorso datato di quasi trent’anni fa…Sì è vero, ma forse impostare come avremmo voluto, a causa della pandemia, e del peso che ha messo addosso alla famiglia, una nuova pastorale e presenza di Chiesa e di annuncio con la famiglia e a partire dalla famiglia, abbiamo compreso che è ormai di una urgenza impressionante e che farlo potrebbe essere anche il modo più bello di rendere feconda quella visita lontana nel tempo e quasi dimenticata.