Da museo “degli eroi” a museo dove al centro c’è l’uomo

Novant’anni fa, l’8 giugno 1924, a palazzo Attems Petzenstein veniva inaugurato il Museo della redenzione. A guerra ancora in corso, Giovanni Cossar aveva iniziato a raccogliere documenti e cimeli che potessero servire a ricordare l’esperienza dell’immane conflitto. Nel marzo 1918 ebbe l’incarico di prendere in consegna e ordinare, a Palazzo Attems, sede del Museo Provinciale,  le raccolte di carattere artistico ed etnografico dei vari musei cittadini. A guerra terminata, avviò il restauro del palazzo che si concluse nell’estate del 1923 quando prese avvio il riordinamento delle collezioni.Il Museo della redenzione occupava 24 sale espositive; di queste, però, soltanto l’atrio e due sale erano dedicate propriamente all’evento bellico, mentre la altre spaziavano dal materiale etnografico ai reperti archeologici, all’araldica, alla sfragistica, alla pittura.

L’idea che informava e dava omogeneità al museo era, secondo le stesse parole di Giovanni Cossar, divenuto nel frattempo direttore, quella di dare conto dell’italianità di Gorizia, partendo dall’epoca preistorica per giungere fino alla contemporaneità.La parte etnografica era tesa a dimostrare che usi, costumi, folclore erano quelli legati all’italianità, che via via collimava ora alla latinità, ora al legame con Venezia. Insomma, nel museo, Cossar  aveva inserito quanto già negli anni precedenti il conflitto aveva raccolto in vista della costituzione di un museo civico ad indirizzo artistico-etnografico con carattere eminentemente patriottico.Ben presto si vede che l’interesse maggiore, tuttavia, era suscitato dalla sezione dedicata alla guerra, difatti continuavano ad arrivare in dono oggetti che la connotavano.Nel 1937 era stata nominata una commissione per il riordino del museo. Vi facevano parte, oltre al direttore, non più Giovanni, deceduto, ma il fratello Ranieri Mario Cossar, alcuni esponenti delle forze armate ed esperti della materia. L’allestimento fu affidato allo scultore Celestino Petrone. Con l’andare del tempo, le collezioni relative alla guerra presero sempre più consistenza tanto da indurre l’Amministrazione provinciale a cercare, per le altre collezioni, una nuova sede: nel 1939 la sezione storico-artistica fu ospitata a Borgo Castello, in casa Formentini, mentre la sezione dedicata alla guerra rimase ad occupare tutto il palazzo Attems e, dal 1938, prese il nome di “Museo della guerra e della redenzione”, inaugurato solennemente il 24 maggio dal Principe di Piemonte.I concetti ispiratori del nuovo museo della guerra sono ben sintetizzati in un opuscolo della federazione locale dei giornalisti, uscito in occasione della visita di Mussolini a Gorizia nel settembre del 1938. In quello strumento sintetico si scrive che il museo “rappresenta una delle più imponenti e significative realizzazioni recenti della nuova Gorizia, fascista e guerriera”, sottolineando le caratteristiche propagandistiche e la valenza nazionale del museo rispetto al carattere prettamente locale del “Museo della redenzione” di Giovanni Cossar.In un articolo apparso qualche giorno prima dell’inaugurazione si legge che la visita costituirà – per le migliaia di reduci che qui ogni anno ritornano e per le nuove generazioni – la preparazione spirituale alla visita dei campi della gloria e della morte”, inserendo di fatto il museo nel circuito delle visite ai campi di battaglia annualmente organizzate, in primo luogo per i reduci e i familiari. Nello stesso 1938 vennero infatti inaugurati l’ossario di Oslavia e l’imponente sacrario di Redipuglia, entrambi tesi a sottolineare, in piena continuità con il museo, il senso dell’eroismo, del sacrificio collettivo volto al raggiungimento dell’obiettivo: l’affermazione del fascismo e la conquista dell’impero.Dopo la seconda guerra mondiale, eliminato ogni riferimento allo scomparso regime fascista, fu mutato anche il nome del museo che tornò a chiamarsi provinciale ma, nella declinazione plurale, in quanto formato da collezioni diverse, una delle quali era costituita dal “Museo della guerra 1915-’18” che nuovamente occupava solo alcune sale del pianoterra del palazzo. Per la prima volta una sala veniva dedicata all’esercito austroungarico. L’allestimento tuttavia non mutò sostanzialmente, tanto che lo sviluppo narrativo e la scelta dei temi rimasero sostanzialmente invariati.Il cambiamento avvenne più tardi. Due inondazioni (1983 e 1986) arrecarono gravi e numerosi danni al museo tanto che l’amministrazione provinciale decise di riallestirlo a Borgo Castello. Questa sosta forzata aveva però dato occasione e posto le basi per adeguare l’allestimento secondo criteri moderni di museologia e con particolare attenzione alla storiografia più aggiornata.Il rinnovato Museo della Grande Guerra fu inaugurato l’11 giugno 1990 alla presenza di esponenti di primo piano dei governi italiano e austriaco. L’allestimento, curato da Lucio Fabi e Antonio Sema, era stato preceduto da una complessiva ricognizione delle collezioni, da un lungo studio preparatorio e da una serie di contatti con studiosi italiani e stranieri. I curatori hanno mantenuto il criterio di concentrare la narrazione degli eventi privilegiando il dato locale,  il fronte dell’Isonzo, pur non perdendo di vista le coordinate generali che permettono di comprendere appieno la portata dell’evento bellico.Se il vecchio museo si poteva definire un museo degli eroi, in cui il sacrificio si sublimava, in una visione trionfalistica della vittoria, nell’ eroismo, sempre più declamato e utilizzato dal regime in nome degli alti destini della nazione, l’attuale propone due chiavi di lettura che prendono spunto da una visione totalmente diversa della guerra.Al centro di questa riflessione è l’uomo, prima ancora del soldato, indifferentemente da quale parte fosse schierato. Il Leitmotiv diviene la rappresentazione della quotidianità del soldato. È il punto di vista di milioni di uomini che si sono trovati su fronti contrapposti a combattere contro di quello che gli avevano detto essere “il nemico”.I quasi dieci milioni di soldati morti sui vari fronti sono subito ricordati all’inizio del percorso espositivo con la ricostruzione del campo di battaglia per rammentare che la guerra significa innanzi tutto morte e, allo stesso tempo, funge da monito ad ogni visitatore a considerare con rispetto  materiali, oggetti e documenti esposti.La “vita di trincea”, durissima esperienza comune ai soldati di tutti gli eserciti, viene presentata con immagini, documenti, oggetti evocativi di quella terribile lotta, innanzitutto per la sopravvivenza, che si perpetrò nelle trincee in condizioni talvolta estreme e che è ben sintetizzata nella ricostruzione, a grandezza naturale, dello spazio angusto di una trincea, elemento che, insieme con il filo spinato, è tra quelli che in modo più immediato richiamano la prima guerra mondiale.La sala dedicata alla città di Gorizia introduce il secondo tema chiave dell’esposizione: la condizione dei civili di fronte alla guerra. Per Gorizia, in particolare, si racconta la vita quotidiana di una città sul fronte, con gli abitanti costretti a scegliere la profuganza oppure a convivere con i bombardamenti quotidiani, le privazioni e il terrore, perlopiù rintanati nelle cantine. I due temi chiave, che hanno anche uno sviluppo cronologico, lasciano spazio ad altri argomenti ad essi strettamente legati: le armi , la propaganda, le diserzioni, i prigionieri, in definitiva il significato di guerra totale.Il museo oggi si rivolge ad un pubblico eterogeneo, non solo di appassionati, ma costituito prevalentemente da quanti, visitando il territorio, sono interessati a conoscerne la storia e le vicende. In particolare poi, negli anni, si è consolidata una proficua collaborazione con le scuole che riconoscono nel museo un significativo supporto didattico. Esso tiene conto altresì di un lungo e a volte faticoso processo teso al superamento delle esasperazioni nazionalistiche, mirando ad una pacifica convivenza tra popolazioni che oggi vivono in diversi stati ma che percepiscono ancora un legame derivante da una storia che li aveva visti, insieme, parte di una unica entità statale, nella consapevolezza della particolare posizione di Gorizia che, anche a fronte della storia più recente, la obbliga a farsi promotrice di un messaggio di pace.

*Conservatore del Museo della Grande Guerra di Gorizia