“Non è bene che l’uomo sia solo”

È sollevata da papa Francesco, attraverso l’espressione tratta dal Libro della Genesi scelta come tema per la XXXII^ Giornata mondiale del malato – che viene celebrata anche nella nostra diocesi con una serie di iniziative in questo fine settimana – una questione che riguarda tanta parte dell’umanità, soprattutto del nostro occidente: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen.2,18).
Questa Parola, pronunciata da Dio all’inizio della creazione, ha lo scopo di rimettere in gioco la vocazione dell’uomo alla comunione, allo stare insieme e ad accorgersi del bisogno dell’altro, specie quando è in difficoltà, quando la malattia debilita il corpo e l’animo, quando la paura prende il sopravvento. L’unica vera lotta da fare, allora, è quella contro l’individualismo che svilisce la bellezza dell’uomo fatto a immagine di Dio, che è mistero di carità. Giustamente Papa Francesco nel messaggio esprime preoccupazione verso la cultura dell’individualismo “che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo”.
Solo curando le nostre relazioni, recuperando l’autenticità dei rapporti, potremo comprendere che il malato va considerato, va curato, va accompagnato, perché vale fino all’ultimo respiro.
Abbiamo diagnostica, protocolli, farmaci, linee guida, ricerca medica di altissimo livello rispetto ad alcuni decenni fa. Ma si sente crescere l’insoddisfazione. Persone malate che non si sentono curate.
Medici, infermieri e personale sanitario che faticano a trovare il senso ultimo del loro agire. Perché? Forse perché manca a tutti il bello della relazione necessaria per la vita, che è per sé stessa relazione.
È necessario- come ci richiama Papa Francesco nel messaggio- rallentare il passo per riuscire a guardarci gli uni gli altri e ciascuno a guardarci dentro.
Credo, inoltre, che proprio il pensiero efficientista porti anche a vedere la morte come buona soluzione quando c’è la sofferenza e la persona non è più in grado di essere attiva e autosufficiente come prima. Vige, purtroppo, nel nostro modo di vivere, la tentazione di pensare che la nostra vita vale per quello che facciamo, pensiamo di coincidere solo con le nostre opere.
Nello scorso editoriale il professor Gismano ben sottolineava l’importanza di contrastare la malattia non con la morte “ma con il sollievo della sofferenza”. E certamente il sollievo non si ottiene meramente dalle opportune cure mediche ma dallo stare accanto dei familiari, degli amici, degli stessi curanti.
Nostro compito non è parlare male di questo mondo ma preoccuparci perché non vada a male, non scada in disumanità. Compito della Chiesa, con la sua fede, è annunciare il volto di Gesù Cristo nella carne di ogni uomo e aiutare l’uomo a diventare sempre più umano. E ciò che è umano non può che avere il sapore di cristiano.
È sempre bello quando la Chiesa, che è sempre un intreccio di relazioni, renda possibile l’incontro concreto, personale e consolante di Cristo, a partire dai più sofferenti. Guardando ai vangeli, proprio Gesù usa e ci insegna una strategia di prossimità che nasce dall’ascolto della persona malata, per poi farsi vicino e, infine, offrire sé stesso come punto di appoggio in quella sofferenza. E da qui nasce la liberazione dal primo male che tormenta: la paura data dalla solitudine.
Ecco che dopo la constatazione da parte di Dio che “non è bene che l’uomo sia solo” nasce il suo impegno: “voglio fargli un aiuto che gli sia simile”, che corrisponda alla profonda natura dell’uomo.
Qualcuno che permetta all’uomo di uscire fuori di sé, comunicando con un essere che abbia la sua stessa dignità, e comunicando con libertà le sue gioie e paure, le sue attese e il suo dolore, senza sentirsi giudicato.
“Un aiuto che gli sia simile”, per dire che all’uomo serve qualcuno che gli permetta di rompere il muro dell’isolamento in cui si trova o si può trovare. Chi sarà mai questo essere in grado di farlo diventare veramente uomo in ogni fase della vita, nel momento della forza e della fragilità? Che sia proprio io, tu, ogni uomo e donna?

mons. Mirko Franetovich, direttore della Pastorale diocesana della Salute

(Foto ANSA/SIR)


La Giornata mondiale del malato sarà celebrata anche in diocesi attraverso diversi appuntamenti:
venerdì 9 febbraio alle ore 16 presso la chiesa di San Giusto a Gorizia si terrà il momento di preghiera e ringraziamento per tutti i curanti “Invece un samaritano”, che verrà trasmesso anche in diretta su YouTube al canale @CeiSalute, della Pastorale della Salute della Cei;
sabato 10 febbraio alle 20.15 a Monfalcone, presso la chiesa di San Nicolò, si terrà la Veglia mariana, animata dall’Unitalsi;
domenica 11 febbraio alle 15, nuovamente presso la chiesa di San Giusto a Gorizia, si svolgerà una Preghiera animata del santo Rosario, seguita alle ore 15.30 dalla Celebrazione Eucaristica presieduta dall’Arcivescovo Redaelli.